In dieci anni siamo diventati più vecchi, più malati, pessimisti, arrabbiati ma poco propensi nel voler cambiare le cose
Secondo Mario Draghi, il presidente della Banca Centrale Europea, la crisi è passata, almeno a livello macroeconomico. Draghi è persona prudente, e se ha fatto un'affermazione del genere, viene da pensare che abbia in mano dati incontrovertibili. E' anche vero che se l'Italia rimane il fanalino di coda dell'Europa, non si può certo attribuire la colpa al presidente della BCE. La crisi iniziò dieci anni fa, era l'agosto del 2007, quando la banca francese Bnp Paribas annunciò di aver congelato tre fondi d’investimento per la impossibilità di valutarli dal momento che erano imbottiti di titoli subprime americani. Questo fu l'innesco della più grande crisi economica dell’economia moderna. Un anno dopo, nel 2008. con il fallimento di una delle più grandi banche d’affari del mondo come la Lehman Brothers, fu chiaro a tutti che ci stavamo infilando nella più grave crisi della finanza globale, che ha cambiato il mondo e ancora oggi ne soffriamo le conseguenze. Dieci anni fa, prima dell'inizio della crisi, in Italia non stavamo, poi, così tanto male.
Nel 2007 eravamo 55,9 milioni di persone, con un trend in calo. Oggi siamo 63,5 milioni, con il trend in crescita, nonostante la natalità continui a calare. Siamo otto milioni di persone in più, una crescita dovuta in parte all'afflusso di migranti (nel 2007 gli stranieri erano il 5% della popolazione, oggi sono l’8,3% ) ma soprattutto dovuta all’aumento della vita media delle persone: in dieci anni l’indice di vecchiaia italiano è passato da 141,7 a 161,4. Le stime dicono che tra cinquant’anni ci saranno quasi tre anziani per ogni bambino. Questo dato si riflette sul sistema pensionistico, in un decennio, la spesa pensionistica è cresciuta dal 15,16% al 17,60% del Pil, l’importo medio annuo dei redditi da pensione è passato da quasi 14mila a quasi 18mila euro, nonostante la riforma Fornero.Da qui si comprendono meglio le dichiarazioni del presidente dell'INPS, Tito Boeri, riguardo l'apporto al sistema dei migranti con le loro contribuzioni. Il problema si presenterà, drammatico, quando tra qualche decennio, anche questi migranti raggiungeranno l'età pensionabile.
Un altro cambiamento notevole al quale stiamo assistendo confrontando il 2007 con l'oggi, riguarda la salute. In un decennio, la percentuale di persone in buona salute è scesa dal 73,3% al 69,9% nonostante la spesa sanitaria, sia pubblica, sia privata, sia cresciuta di 17 miliardi circa in dieci anni.
Questo doveva essere il decennio dell'austerità. Ma quale austerità: le spese correnti dello Stato sono passate in dieci anni da 684 a 760 miliardi di euro, con un debito pubblico che è cresciuto dal 104% al 132% del Pil, relegando l’Italia al secondo posto tra i paesi più indebitati al mondo, giusto dopo il Giappone. Mentre di contro, le tasse sono aumentate da 460 a 492 miliardi di euro nel giro di dieci anni.
Per quanto riguarda il lavoro il tasso di disoccupazione è cresciuto a dismisura: dal 6,2% all’11,3%, e quello relativo alla disoccupazione giovanile dal 21,8% al 35,4%. Il settore più colpito è quello industriale che nel 2007 occupava quasi un terzo della forza lavoro complessiva mentre oggi ne occupa a malapena un quarto. Anche in conseguenza di ciò, in dieci anni siamo scesi sotto la media europea come Pil procapite. Fatta 100 la ricchezza media personale nell’Unione, nel 2007 l’Italia era a quota 103,7. Oggi siamo a 96.
E deciso è anche il calo di investimenti negli ultimi dieci anni, sia da parte dell’amministrazione pubblica sia delle imprese (50 miliardi in meno in dieci anni) e sono calati decisamente gli acquisti di beni durevoli da parte delle famiglie. Indici questi della scarsa fiducia nel futuro da parte degli italiani.
In più, negli ultimi dieci anni, siamo diventati il paese con meno laureati in Europa.
Secondo l'ISTAT, c'è un indicatore dove siamo cresciuti, e tanto, è quello della litigiosità, che misura il rapporto tra le cause civili intentate e il totale della popolazione. Un indice che, nel giro di un decennio, è quasi triplicato, passando da 24,3 a 61,3.
Insomma ci rispecchiamo in un quadro non certo esaltante: siamo più vecchi, più malati, pessimisti e arrabbiati, ma poco propensi a cambiare lo status quo.
Un altro cambiamento notevole al quale stiamo assistendo confrontando il 2007 con l'oggi, riguarda la salute. In un decennio, la percentuale di persone in buona salute è scesa dal 73,3% al 69,9% nonostante la spesa sanitaria, sia pubblica, sia privata, sia cresciuta di 17 miliardi circa in dieci anni.
Questo doveva essere il decennio dell'austerità. Ma quale austerità: le spese correnti dello Stato sono passate in dieci anni da 684 a 760 miliardi di euro, con un debito pubblico che è cresciuto dal 104% al 132% del Pil, relegando l’Italia al secondo posto tra i paesi più indebitati al mondo, giusto dopo il Giappone. Mentre di contro, le tasse sono aumentate da 460 a 492 miliardi di euro nel giro di dieci anni.
Per quanto riguarda il lavoro il tasso di disoccupazione è cresciuto a dismisura: dal 6,2% all’11,3%, e quello relativo alla disoccupazione giovanile dal 21,8% al 35,4%. Il settore più colpito è quello industriale che nel 2007 occupava quasi un terzo della forza lavoro complessiva mentre oggi ne occupa a malapena un quarto. Anche in conseguenza di ciò, in dieci anni siamo scesi sotto la media europea come Pil procapite. Fatta 100 la ricchezza media personale nell’Unione, nel 2007 l’Italia era a quota 103,7. Oggi siamo a 96.
E deciso è anche il calo di investimenti negli ultimi dieci anni, sia da parte dell’amministrazione pubblica sia delle imprese (50 miliardi in meno in dieci anni) e sono calati decisamente gli acquisti di beni durevoli da parte delle famiglie. Indici questi della scarsa fiducia nel futuro da parte degli italiani.
In più, negli ultimi dieci anni, siamo diventati il paese con meno laureati in Europa.
Secondo l'ISTAT, c'è un indicatore dove siamo cresciuti, e tanto, è quello della litigiosità, che misura il rapporto tra le cause civili intentate e il totale della popolazione. Un indice che, nel giro di un decennio, è quasi triplicato, passando da 24,3 a 61,3.
Insomma ci rispecchiamo in un quadro non certo esaltante: siamo più vecchi, più malati, pessimisti e arrabbiati, ma poco propensi a cambiare lo status quo.
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