LILIANA SEGRE • Lunedì il Ponchielli gremito di giovani ha accolto la neo senatrice

«Ad Auschwitz ero il numero 75190»


di Enrico Galletti

Più di ottocento studenti con i loro insegnanti, le autorità in prima fila e i ragazzi che a marzo parteciperanno al viaggio deIla Memoria. Un teatro Ponchielli gremito all’inverosimile ha accolto, lunedì scorso, Liliana Segre, nominata senatrice a vita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 19 gennaio scorso. Il 30 gennaio 1944 Liliana Segre viene deportata nel campo di concentramento di Auschwitz- Birkenau e quel numero, il 75190, le viene tatuato sul braccio. La voglia di testimoniare l’orrore dell’Olocausto vissuto in prima persona da una parte e la gioia di raccontare agli studenti cremonesi le coordinate della sua storia d’amore con il marito Alfredo Belli Paci, che ha conosciuto una volta uscita dal campo di sterminio. E la storia di quel legame in- dissolubile scoppiato sulla sabbia rovente di luglio lo racconta a tutti i ragazzi che incontra, prima di salutarli. Perché la sua storia, effettivamente, è una storia che lascia il segno. «Ho portato per tutta la vita quel tatuaggio sul braccio con il mio numero di matricola - racconta ai ragazzi attenti che si commuovono a ogni parola della neo senatrice a vita in visita a Cremona -. Ero una ragazzina quando sono uscita da Auschwitz, tutti mi chiedevano il motivo di quel codice sul braccio. Mi inventavo le scuse più strane per non raccontare la mia vera storia. Un giorno, al mare, mi si è avvicinato un bel giovanotto e mi ha detto: “So che tu hai sofferto molto”. Mi ha dato la mano e non me l’ha più lasciata. Ci siamo sposati, mi ha lasciato dieci anni fa quando è morto».
Il racconto di quegli anni con una forza disarmante. Liliana Segre colpisce tutti, e dopo l’incontro si ferma per qualche battuta con la stampa. Di ciò che ha vissuto parla senza usare mezzi termini: «Un giorno, un comandante ha perso la pistola che è caduta a terra. Ho pensato di raccoglierla, di puntargliela addosso e di ucciderlo. Poi ci ho ripensato e ho scelto la vita».
Ai suoi nipoti Liliana racconta l’importanza di non disprezzare la vita: la cosa più bella che abbiamo. E ricorda a tutti: «Non dite mai “Non ce la faccio”». L’orrore di Auschwitz in cui a parlare sono i ricordi: «Sono i volti, i cani, le divise, il fuoco, le urla. È tutto ciò che porto con me di quell’esperienza».
Lo diceva Primo Levi e Liliana Segre lo ripete al Ponchielli: «Da Auschwitz non si esce». Non si esce mai.

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