Immigrati: gli arrivi sono in calo ma c’è l’emergenza dei “fantasmi”

Intervista a don Antonio Pezzetti direttore della Caritas Diocesana, che gestisce la Casa dell’Accoglienza 



di Vanni Raineri 
Gli sbarchi sulle nostre coste da tempo sono in forte calo, ma nella percezione comune non si è affievolita la tensione, favorita anche da uno scontro politico che continua a mettere il tema dei migranti nelle posizioni do- minanti dell’agenda. 
Sul tema abbiamo fatto il punto con chi ha forse l’osservatorio privilegiato sul fenomeno, ovvero don Antonio Pezzetti che dirige la Caritas Diocesana, e quindi la Casa dell’Accoglienza nella quale sono transitati migliaia di migranti in cerca di un futuro migliore lontano da situazioni critiche, sia in senso politico che economico. 

Don Antonio, nell’ultima intervista parlammo dell’emergenza di chi è costretto a lasciare la Casa dell’Accoglienza magari dopo aver sostenuto un percorso di formazione e inserimento, privo di un diritto di asilo e altre forme di protezione, diventando una sorta di fantasma con tutti i rischi del caso. Questa grande criticità permane? 
«Ci troviamo nella situazione di dover ospitare noi tanti ragazzi: non abbiamo mandato via chi era da noi e abbiamo accolto altri segnalati da parroci e gente che li ha conosciuti. Quella che ha descritto è una criticità che permane, e anzi diventa più grande perché a parole si afferma che chi non ha documenti deve tornare nel Paese di origine, ma nei fatti questi tornano a bussare da noi, e non c’è giorno che non lo facciano» 

Negli ultimi tempi il numero di migranti sbarcati in Italia è decisamente diminuito, lo si nota anche dagli arrivi alla Casa dell’Accoglienza? E in questo modo c’è la possibilità di trattenere più a lungo chi non ha diritto di asilo? 
«Questo non c’entra, perché il fenomeno di ritrovarsi senza diritto riguarda chi è arrivato oltre un anno fa; intanto a nessuno viene chiesto di accogliere nuovi immigrati, forse nei prossimi anni conteremo meno emergenze di questo tipo». 

Anche l’obbligo di rimpatrio non è così agevole da far rispettare. 
«Sulla carta si continua a parlare di accordi ma intanto questa gente non sa dove andare, e purtroppo è spesso alla mercé di chi opera al di fuori della legalità. E’ un grande disagio ingigantito tra l’altro dalla stagione invernale». 

La nostra società non è pronta ad abbattere i confini nazionali, per diversi motivi, ma è possibile che la politica non sappia trovare una mediazione tra la visione cristiana di accoglienza del bisognoso e l’erezione di muri invalicabili, materiali o meno? 
«Purtroppo è così. L’immigrazione ovviamente va regolata, e non è facile farlo, ma se non si prevedono strumenti poi si pagano le conseguenze: pensare che poi uno si arrangia come può senza che vengano meno le altre problematiche sociali non è possibile. Effettivamente la fatica di creare ponti o mettere risorse per l’integrazione, visti i tanti altri problemi urgenti, ha fatto sì che il tempo che passa non sia bastato. Si sono dati per scontati valori che sembravano condivisi, poi però si fanno equazioni facili: aiutiamo i nostri deboli. Non è questione di cattiveria o razzismo: la fatica del pre- sente e la crisi economica hanno incattivito le persone, che cercano alibi in chi è loro accanto e che, avendo pure lui bisogno, è diventato un concorrente invece che un compagno di viaggio». 

Allora concorda sul fatto che la nostra società si è incattivita come afferma il recente rapporto Censis. 
«E’ proprio così: diventa facile cercare nel diverso una giustificazione. Poi, certo, come tutti i problemi anche l’immigrazione è complessa: tra il bianco e il nero c’è un ampio spazio di grigio. Ovvio che quando la politica se ne occupa cerca il consenso per vincere, e si inserisce in dinamiche che esistono nella società. E’ la fatica del condividere: in poco tempo sono arrivati tanti ragazzi, e non è facile gestire il fenomeno. Quando ci si conosce è più facile, ma per chi non li frequenta sono “loro”, quindi rappresentano un pericolo, e il tutto si esaurisce nel tema della sicurezza. Di questo non si può incolpare l’ultimo governo: se pensiamo che il reato di clandestino non è mai stato attuato...». 

In generale il tema dei migranti è diventato predominante nei confronti politici, fino ad influenzare pesantemente l’esito delle elezioni. Come favorire la conoscenza, il rapporto diretto che spesso facilita l’integrazione e abbatte la diffidenza? La distribuzione nei paesi e nei quartieri non sembra abbia dato risultati tangibili. 
«La prima attenzione era quella di coinvolgere i territori per la quotidianità dei rapporti, ma di riscontri positivi se ne sono avuti pochi: è prevalsa l’indifferenza che alla fine diventa insofferenza come valvola di sfogo. A questo si aggiunge il fenomeno dei social che rilanciano le notizie, e si arriva a collegare l’attentato all’immigrazione. Sono situazioni da affrontare con più serietà, invece la lettura è superficiale. E’ indubbio che il clima economico non abbia aiutato e non aiuti, fatto sta che si è sempre più facili alla condanna che alla comprensione, è un egoismo che monta di fronte alle problematiche che le famiglie italiane stanno attraversando». 

Recentemente siete stati nel mirino di chi vi accusa di dare ospitalità a criminali e spacciatori, con tanto di striscioni esposti nelle vicinanze. E la situazione non può che peggiorare con le recenti notizie di attentati. Come affrontano gli ospiti questo clima di diffidenza che indubbiamente percepiscono? 
«Al di là di qualche striscione, per la grande maggioranza non abbiamo problemi con la città. Gli ospiti sono molto presi dalla loro situazione personale: pensavano fosse più facile arrivare, imparare la lingua e trovare un lavoro, invece trovano lavoretti e contratti che spesso non bastano per i documenti necessari e restano delusi. Ma non c’è rabbia nei confronti degli italiani, prevale questa delusione di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. E aggiungo che loro per primi distinguono chi fa male da chi invece si comporta bene. Anni fa era più facile integrarsi, ora il muro sale sempre di più, e resta la loro delusione accompagnata al timore di non arrivare agli ambiti documenti, col rischio che gli sforzi fatti, anche quelli delle loro famiglie che li hanno sostenuti in questo sogno, si rivelino inutili».



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