Prezzo benzina, la rabbia francese e l’italica apatia

Anche per il caso treni la protesta è solo social. In Francia è diverso: parla una cremonese che vive oltralpe 


di Vanni Raineri 

Per dirla alla Antonio Lubrano, la domanda sorge spontanea: ma perché in Francia sta succedendo tutto ‘sto baccano per la benzina a 1 euro e 50 quando da noi, che non siamo certo più ricchi, tale cifra è costantemente superata e nessuno scende in piazza? 
Da diversi giorni tra i nostri cugini d’oltralpe imperversa la cosiddetta protesta dei gilet gialli, tesa ad ottenere la revoca degli aumenti sulle accise dei carburanti. Il “rischio” per i francesi è di operare il sorpasso sui prezzi italiani a partire dal gennaio prossimo. La protesta inizialmente non ha avuto una matrice politica, è partita dal basso; ora ovviamente sono tanti i politici che tentano di “metterci sopra il cappello”, visto l’ampio appoggio della popolazione e la perdita di consenso del presidente Macron. 
Ma cosa dovremmo dire noi italiani delle accise che ci perseguitano da quasi un secolo? Paghiamo ancora la guerra dell’Abissinia del 1935, la Crisi di Suez del 1956, la Diga del Vajont del 1964, l’inondazione dell’Arno del 1966, il terremoto del Belice del 1969 e i successivi del Friuli del 1976 e dell’Irpinia del 1980, e poi le missioni Onu: in Libano del 1982 e del 1983, in Bosnia del 1996, solo per fermarci al millennio scorso. Anche negli ultimi anni, ogni occasione è buona per saccheggiare qualcosina dal pieno che facciamo un po’ tutti alla pompa di benzina. 
Salvini aveva promesso che avrebbe eliminato le vecchie accise, di recente c’è stata una prima frenata (taglio rinviato), attendiamo fiduciosi. 
Detto questo, se al nostro posto ci fossero i francesi sarebbero scesi in piazza da un pezzo. Qui andrebbe fatta un’analisi sociologica, che qualcuno farebbe partire dalla Rivoluzione Francese. Il popolo francese si sente più partecipe delle scelte che riguardano il loro portafoglio, mentre noi siamo più propensi a scendere in piazza su sollecitazione politica per motivi ideologici o per opporci a grandi progetti. Poche le eccezioni: quella dei forconi di qualche anno fa e forse la manifestazione torinese a favore dello sviluppo organizzato da un gruppetto di imprenditrici. Chissà, in fondo i torinesi sono un po’ francesi... Pensiamo solo all’incubo che stanno vivendo i nostri pendolari che ogni giorno raggiungono Milano: sarcasmo, proteste sui social, ma poi? 
Secondo qualcuno siamo abi- tuati allo scandalo, e cerchiamo ogni volta il nostro piccolo tornaconto. Quando abbiamo sopportato pensioni a 39 anni spacciate per conquiste sociali, ben sapendo che un giorno qualcuno avrebbe bussato alla nostra porta (come accade oggi), non abbiamo battuto ciglio. Altri si sarebbero ribellati, noi no. Ma cosa sta accadendo davvero in Francia? La versione un po’ romantica delle fonti di informazione è veritiera? Lo abbiamo chiesto a una nostra concittadina, una ricercatrice cremonese che da diversi anni vive proprio in Francia. 
«La benzina qui è cara – afferma – ma non più di quanto fosse 5 anni fa. Il punto è che tanta gente ha problemi economici e fatica sempre più ad arrivare a fine mese. Più che la benzina è il diesel che è rincarato fortemente, e fa rabbia sapere che fino a pochi anni fa c’erano agevolazioni per comprare vetture diesel». 
Ma come si è sviluppata la protesta? «La protesta iniziale era intrisa di populismo: ad esempio ha avuto successo una signora che in un video sosteneva che coi soldi degli automobilisti Macron si è rifatto la piscina. Inizialmente tanta gente simpatizzava senza avere un’idea precisa, ora però il movimento sta perdendo consensi perché è manovrato dall’estrema destra, e inoltre ha avuto derive violente. Ad esempio vicino a casa mia il casello autostradale è rimasto bloccato una settimana, han fatto pure un falò con bombole di gas rubate da un vicino supermercato e interi camion di generi alimentari sono stati gettati. Inoltre un po’ ovunque hanno rallentato le ambulanze, e infastidisce molto che quando trovi i manifestanti alle rotonde devi suonare il clacson mostrando loro un gilet giallo per poter passare. 
Una mia collega è rimasta bloccata con un bebé di 2 mesi senza possibilità di passare. Insomma, diciamo che prima a protestare erano persone con problemi economici, quindi si trattava di una protesta da ascoltare, poi è degenerata». 

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