L’eroe dei fumetti creato da Giovanni Luigi Bonelli è senza tempo e riesce ancora ad emozionarci
di Francesco Agostino Poli
Una volta, diversi anni fa, un mio conoscente, che aveva attraversato il ’68 ricavandone qualche ferita, ma anche un’inesausta curiosità verso il mondo e la capacità di indignarsi, sempre e comunque nei confronti dell’ingiustizia, mi disse una cosa che non ho mai dimenticato, riferito alla situazione politica: “E’ come se, in un saloon del west, i buoni si riunissero per mandare via i taglieggiatori del paese, ma lo sceriffo li ascoltasse da un’altra stanza e corresse ad avvisare i cattivi”. Grande metafora. E a me venne spontaneo dirgli: “Ci vorrebbe Tex Willer”.
Già, il grande Tex. Scritto e creato da Giovanni Luigi Bonelli e dal disegnatore Aurelio Galleppini nel 1948 e tuttora pubblicato da Sergio Bonelli Editore. Tex, secondo il suo creatore,
«...quando vede un torto, il povero cristo che soffre ingiustamente, si ribella e prende le sue parti. Che poi sia negro, che sia bianco, che sia indiano, che sia un contadino, che sia una persona colta, non gliene frega niente». Tex che si batte contro lo sterminio degli indiani d’America e che sposa la figlia del sakem dei Navajos, entrando a far parte della tribù con l’appellativo di Aquila della Notte. Dalla loro unione nasce Kit, che affiancherà presto il padre nelle sue avventure.
Io amo il western, da sempre. Il western al cinema è un’avventura ininterrotta, un susseguirsi di questioni etiche, che danno origine ad atti di gran coraggio o di estrema viltà. Anche quello più datato, quello, per dire, in cui i pellerossa sono selvaggi e i bianchi sono buoni e portano la civiltà, contiene sempre o quasi momenti di scelta, di crisi, di decisione. E Tex sta in questo universo simbolico. Tex lotta con tutto se steso contro l’ingiustizia, anche a costo di trasgredire (molte) regole. Mutatis mutandis, la sua è una sorta di mora- le di Antigone: le leggi naturali, quelle che impongono il rispetto dei vivi e dei morti, sono superiori alle leggi umane, e, se una legge scritta ci obbliga ad un comportamento ingiusto o immorale, ebbene, occorre ribellarsi ad essa.
La fenomenologia di Tex Willer è complessa: nasce come fuorilegge, poi diventa ranger, sta nell’universo degli uomini bianchi, ma è anche capo indiano, è spietato contro i prepotenti e i crudeli, ma è capace di grande tenerezza. Figura della contraddizione umana e della libertà di scelta, Tex è un uomo libero.
Tex come epigono della morale kantiana, “il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me”? Può darsi. Certo è che possiamo immaginarlo nelle notti selvagge del west, sotto un manto di stelle, accanto ad un fuoco, a domandarsi cosa sia giusto e cosa ingiusto, e se, l’indomani avrebbe dovuto scegliere, ancora una volta, tra il suo senso di giustizia e l’impero della forza di una legge spesso vessatoria, fatta per proteggere i più forti e opprimere i deboli. Domande di oggi, domande di sempre. Solo che Tex ha sempre la risposta giusta. Noi, purtroppo, no.
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