Era il 1969, e fu Woodstock. Da evento commerciale a cult

LA STORIA • Nel 50° anniversario ricordiamo quei giorni irripetibili con le parole dell’unico giornalista 

Woodstock

di Francesco Agostino Poli 
Didn’t I make you feel/ Like you were the only man?/Didn’t I give you everything/A woman possibly can?/But with all the love I give you/It’s never enough/I’m gonna show you baby/That a woman can be tough ... ”.
Così cantava Janis Joplin nel 1969 a Woodstock: mitica, inarrivabile Janis. Mitico, inarrivabile Woodstock. Era partito come un evento commerciale, promosso da Michael Lang, John P. Roberts, Joel Rosenman e Artie Kornfeld. Sarebbe diventato un momento cult irripetibile (nonostante i tentativi di clonarlo) della musica mondiale. Sì, ma quale musica? Difficile definirla: rock, pop, folk; c’era tutto questo, ma, soprattutto, era musica espressione dei tempi. E i tempi erano quelli della rivolta, della contestazione, della voglia di abbattere il vecchio mondo e di costruire una società, una libertà, un modello di vita nuovo. In Europa, il maggio francese del 68, i movimenti degli operai e degli studenti, la primavera di Praga, il femminismo avevano portato un protagonismo popolare e giovanile nelle piazze. A tutto ciò, negli Usa si aggiungevano le rivendicazioni degli afroamericani il grande movimento contro la guerra in Vietnam. Niente fu più come prima, a livello economico, politico, sociale. Cambiarono in profondità la mentalità, le relazioni, i rapporti tra i sessi. Saltò il perbenismo che inchiodava le donne ad un ruolo di sudditanza e di sottomissione, si affermò un nuovo protagonismo giovanile nel volere un mondo diverso, in cui non dominassero la logica del profitto e le vecchie barriere sociali; si aprivano sperimentazioni inedite (che a volte portarono, ahimè, ad esiti tragici) su nuove dimensioni della percezione, accompagnate dall’uso di sostanze più o meno stupefacenti. La musica accompagnava questo rbollire, questa liberazione del desiderio, questo "volere il mondo e volerlo ora" , questa pretesa di "peace and love" A Woodstock in quei tre, quattro giorni, dell'agosto 1969, si ascoltò musica straordinaria, si fece l'amore, vi visse a contatto con la natura. Si stima che ci fossero cinquecentomila persone. Ogni conformismo abbattuto, ogni barriera interpersonale superata. Leggiamo le parole dell’unico giornalista presente nel primo giorno e mezzo del festival, Barnard Collier del New York Times, il quale avrebbe poi raccontato che il giornale lo incitava a parlare dei disastri: blocco del traffico stradale, sistemazioni improvvisate, uso di droghe. Queste le sue parole: «Ogni redattore, fino al redattore capo James Reston, insisteva perché il tono del reportage indicasse una catastrofe sociale in corso. Era difficile persuaderli che la mancanza di incidenti seri e l’affascinante cooperazione, premura e correttezza di così tante persone era il punto significativo. Ho dovuto rifiutarmi di scrivere quella storia se non avesse potuto riflettere in larga parte la mia convinzione di testimone oculare, che “pace e amore” era la cosa davvero importante, non le opinioni preconcette dei giornalisti di Manhattan. Dopo molte telefonate acrimoniose, gli editors acconsentirono a pubblicare la storia come la intendevo, e benché aneddoti di ingorghi stradali e piccole illegalità fossero raccontati quasi all’inizio degli articoli, i miei pezzi erano permeati dall’atmosfera autentica di quella assemblea. Dopo che la descrizione della prima giornata comparve sulla prima pagina del New York Times, molti riconobbero che “caso sorprendente e bello stesse avvenendo”. La musica fu incredibile: impossibile ricordare tutte le artiste e tutti gli artisti. Di Janis Joplin ho parlato: sorrideva, nel suo abito azzurro, e cantava con quella voce irripetibile, roca e pura allo stesso tempo. Jimi Hendrix si esibì nella sua indimenticabile versione di Star Spangled Banner, l’inno americano, martoriato, distorto, frantumato dalla sua chitarra, che riproduceva il suono delle bombe che stavano cadendo in Vietnam. Gli Who, meraviglia musicale: la giacca con le frange di Roger Daltrey, Pete Townshend e “My Generation”. “With a little help from my friends” di un Joe Cocker perso dentro al suo mondo fatto di musica e... di altro, ma capace di regalare un’emozione fortissima. La bellezza e l’impegno politico di Joan Baez, la meraviglia sonora dei Jefferson Airplane, e poi la Band, e Santana, e Ravi Shankar. 
Furono tre giorni di pace, amore e musica, come si sarebbe intitolato il celeberrimo film che ne fu tratto, per la regia di Michael Wadleigh. 
Che cosa è rimasto? Sicuramente, la certezza che un’esperienza simile è stata possibile. Nella storia, niente è mai definitivamente perduto.

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