Pochi ricchissimi e tanti poveri. Che fare?

Dal rapporto Oxfam una situazione insostenibile. Un’altra ricerca evidenzia come in Italia ci sia la più grande diseguaglianza tra regioni


di Vanni Raineri
Forse solo al tempo dei faraoni egiziani la ricchezza era concentrata in poche mani come avviene oggi. O cadiamo anche noi nella retorica qualunquista?
L’annuale rapporto Oxfam ha come sempre scatenato i commenti e l’indignazione un po’ di tutti. D’altra parte come si può accettare benevolmente che 26 persone del mondo abbiano la stessa ricchezza della metà più povera della popolazione mondiale? 
LE CIFRE 
Non solo, ma altri dati emersi nel corso del World Economic Forum che si è tenuto a Davos la scorsa settimana fanno rizzare i capelli, se pensiamo alla gravissima crisi che ha colpito l’economia mondiale. Nel mondo ci sono 1900 miliardari, e in un anno, dal 2017 al 2018 (quando sono cresciuti di 165 unità), la loro ricchezza è aumentata di poco meno di mille miliardi di dollari, con un aumento del 2,5%. Nel contempo, quella metà della popolazione mondiale (tre miliardi e mezzo di persone) sprofonda nella fame non arrivando a 6 dollari al giorno. Nell’ultimo decennio, più o meno dall’inizio della crisi, il numero dei miliardari è raddoppiato mentre la stessa metà più povera ha visto ridursi ulteriormente dell’11% la propria “ricchezza”: sono 10mila le persone che ogni giorno muoiono per mancanza di cure. 
COMUNQUE MEGLIO OGGI? 
Partiamo da chi sostiene che nell’indignazione su queste cifre (ammesso che siano veritiere) ci sia molta retorica. Costoro affermano innanzitutto che rispetto ai tempi antichi le modalità di accumulo di ricchezza sono molto più democratiche, inoltre i poveri oggi godono di condizioni di benessere mai avute in passato. Questi paperoni inoltre hanno conquistato la loro ricchezza non con i meccanismi del mondo feudale, ma perché imprenditori di successo, e sono soggetti alle leggi e ai tribunali dei diversi stati, mentre i loro predecessori le leggi se le facevano ed esercitavano il diritto di vita e di morte sui loro sudditi. La ricchezza oggi non è un dato divino, ma può anche essere persa a vantaggio di altri più capaci. 
IN EUROPA 
Info Data del Sole 24 Ore ha recentemente analizzato il reddito netto disponibile nei paesi europei, differenziandolo tra le diverse regioni. Chiariamo che per reddito disponibile si intende quello che resta al netto di imposte e contributi vari. Svetta nettamente, con 40.700 euro di reddito medio pro capite, la parte ovest dell’Inner London, il centro di Londra. Seguono la Baviera (25.800) e il Lussemburgo (25.300), poi altre regioni tedesche (Stoccarda, Amburgo, Tubinga, Darmstadt, Friburgo). Al 10° posto il Voralberg in Austria. Unica presenza nei primi 30 posti. fatta eccezione per Londra, Germania, Lussemburgo e Austria. per Bolzano (16a con 22.400 euro) e l’Ile de France (la Regione di Parigi, al 29° posto). 
IN ITALIA 
Alle spalle di Bolzano, buon 44° posto per la Lombardia (20.800 euro), mentre terza in Italia è l’Emilia Romagna (49a con 20.500 euro). Seguono Trento (56a), Piemonte (63°), Friuli Venezia Giulia, Val d’Aosta, Veneto e Toscana. Le altre sono fuori dalle prime 100, in un totale di 257 regioni (ultima è una regione bulgara con 5.600 euro). L’ultima tra le regioni italiane è la Calabria, 206a con 11.700 euro. 
Sono tre le nazioni in cui il differenziale interno è più elevato: Germania, Spagna e naturalmente Italia, dove il reddito medio disponibile per chi risiede a Bolzano è quasi doppio rispetto a chi vive in Calabria. In Gemania la disparità non è altro che un retaggio di una separazione tra Ovest ed Est ancora da assorbire, mentre il caso spagnolo è simile a quello italiano, anche se con differenze meno marcate: svetta il Paese Basco (20.100 euro) davanti a Madrid (19.400) e Catalogna (17.800). In coda l’Andalusia (12.000).

intervista al docente di economia politica 


Manasse: «Scandalizza di piùil reddito di alcuni manager»

Per commentare i contenuti del rapporto Oxfam ci siamo avvalsi del professor Paolo Manasse, professore ordinario di Economia Politica presso l’Università di Bologna. L’esistenza di 26 persone sul nostro pianeta che posseggono la ricchezza della metà della popolazione mondiale non si è mai verificata in epoca moderna. Probabilmente bisogna risalire a tempi antichi, quando governavano faraoni, re ed imperatori per avere una situazione simile. Come abbiamo potuto arrivare a que-sto? Colpa della tecnologia senza filtri? 
«Premetto che l’Oxfam non è la Banca Mondiale e nel passato si è distinta per analisi molto controverse. Ciò premesso, cosa vuol dire questo dato? Che ci siano delle imprese che hanno valore sul mercato di borsa superiore al reddito di centinaia di stati poveri e che coloro che le hanno fondate e ne hanno quote importanti siano “ricchissimi” non è sorprendente. La domanda è: per quante centinaia se non milioni di persone queste imprese generano reddito e offrono un lavoro? Sono sceicchi che possiedono il petrolio oppure grandi innovatori? La valutazione è molto diversa nei due casi» 

Riconoscere una differenza come sorta di premio a chi si dimostra più capace e chi si impegna di più è indiscutibile, ma quando questa differenza è così enorme non deve intervenire lo Stato? 
«Più che la ricchezza di chi ha fondato imprese diventate giganti del mercato, mi scandalizza di più la differenza di reddito tra l’operaio e il manager, che non ha fondato nulla. Questa differenza è esplosa: il manager guadagnava un tempo 5-6 volte l’operaio, oggi anche mille volte. Questo spesso non segue una razionalità economica. Capisco il calciatore famoso che genera business, ma non l’ad di una banca che magari fallisce. E’ poi rilevante il fenomeno della classe media che si è impoverita, e ancor più la differenza è all’interno delle stesse categorie. Faccio un esempio che mi riguarda: il professore universitario “superstar” guadagna 50 volte di più rispetto al professore di una piccola università. Le distanze sono aumentate all’interno delle singole professioni, il che ha a che fare con la tecnologia. Bisogna infine considerare che la globalizzazione ha danneggiato alcune categorie ma ha elevato i salari in diversi paesi emergenti: gli stipendi in Cina sono ormai comparabili con quelli dei paesi industrializzati. Quindi va messo sulla bilancia anche chi si è sollevato dalla povertà assoluta, grazie alla tecnologia e al commercio internazionale». 

La gravissima crisi economica, come sempre accade, ha enormemente allargato la forbice tra ricchi e poveri. Era inevitabile? E cosa potremmo chiedere a chi ci governa per ristabilire distanze accettabili? 
«Questo è stato evitato in parte in alcuni paesi e per nulla in altri. A chi governa potremmo chiedere competenza. E’ però difficile da evitare, poiché la ricchezza non deriva da rendita di lavoro, quindi chi la possiede è in grado di gestirla in modo opportuno. Chi ha solo il reddito da lavoro non ha cuscinetti di ricchezza cui attingere. Chiaro che se i governi non adottano strategie di compensazione, questo fenomeno esplode con virulenza. Ci sono governi che erano in condizioni di farlo e l’hanno fatto (come gli Usa), altri molto meno e altri per niente, come l’Italia, anche perché qui le risorse sono destinate alla spesa pubblica e ben poco all’assistenza sociale». 

Da questo punto di vista crede che il reddito di cittadinanza possa servire?
«E’ la giusta reazione a quanto detto sulla spesa pubblica. I tagli non sono facili, la parte assistenziale e clientelare è fortissima e nessun governo per anni ci ha messo mano. Quindi, a parte il modo contorto e problematico con cui il reddito di cittadinanza è stato pensato, l’idea va bene se viene finanziata dal risparmio di altro tipo. Ma se si finanzia col debito pubblico o con tasse spostate (vedi le clausole di salvaguardia di 50 miliardi in due anni) allora è un’operazione facile, come sempre avvenuto nel dopoguerra: oggi il debito è così alto che ci impedisce di fare manovre per aiutare i poveri. Non abbiamo i margini di bilancio degli altri paesi». 

Anche in Italia la disuguaglianza è forte. Anzi, recenti studi (vedi Info Data del So- le 24 Ore questa settimana) hanno mostrato differenze tra regioni più ampie che nel resto d’Europa, e anche all’interno di queste stesse regioni. Tanto che il 20% degli italiani più ricchi possiede il 72% della ricchezza nazionale. Come si concilia un debito pubblico astronomico con l’incapacità di prelevare risorse dove queste ci sono? 
«La diseguaglianza tra regioni, vedi il Mezzogiorno, rappresenta il fallimento di una classe politica inetta e spesso disonesta. Il debito pubblico e la mancata risoluzione del divario tra Nord e Sud del Paese sono i principali risultati di politiche assistenziali e clientelari». 



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