SOCIETA’ • Alle pratiche tradizionali i gruppi criminali hanno affiancato l’uso delle nuove tecnologie
Francesco Agostino Poli
Non si deve parlare di “mafia”, bensì di mafie. Di criminalità organizzata, che continua a rappresentare una delle principali minacce alla sicurezza dei cittadini e alla democrazia. Anche i gruppi criminali organizzati si sono “evoluti”, con la globalizzazione, e, oltre alle pratiche tristemente consuete – estorsione, corruzione, ricatto, distorsione degli stessi risultati elettorali – si registra una continua “crescita” a livello internazionale, nella gestione dei grandi traffici illegali di droga, armi, esseri umani. Ma c’è di più: l’avvento delle nuove tecnologie della ICT ha consentito una penetrazione di infiltrazioni mafiose nell’economia globale, anche in settori ad alta densità produttiva e conoscitiva. La criminalità organizzata nasce all’interno di Stati che hanno registrato grosse difficoltà nel processo di unificazione nazionale. Il governo centrale, in questi casi, si è dimostrato incapace di reprimere tutti i poteri locali, soprattutto alla periferia del paese, consentendo loro di mantenere anche un’elevata capacità di utilizzare la violenza a uso privato. Storicamente, le grandi organizzazioni criminali – in Italia si parla di mafia, camorra, ’ndrangheta, sacra corona unita - hanno seguito tutte un percorso analogo: una prima fase di radicamento territoriale, con pratiche estorsive, e il reimpiego del denaro nell’acquisto di merci illegali, quali sigarette, droghe, armi; una seconda fase di espansione territoriale e di crescita esponenziale di sfera di influenza. Si è trattato di un lungo percorso, con connotazioni anche operative e simboliche comuni: il rito di iniziazione, ad esempio, alimenta un forte senso di appartenenza ed il senso di comunità e di invincibilità.
Sono state e sono fondamentali, d’altra parte, le relazioni con il mondo esterno, che fornisce loro supporto e che consente l’infiltrazione in ambienti tra i più disparati, compresa la pubblica amministrazione e la politica. Nel campo degli affari e dell’economia l’attività dei criminali-imprenditori ha come scopo quello di realizzare profitti al minimo costo, con conseguenze spesso tragiche, legate al lavoro nero, allo sfruttamento esasperato della forza lavoro, al ricatto ed alle minacce. La costruzione di un’immagine di legalità è congeniale alla pratica del riciclaggio di denaro sporco. La cassa di espansione delle attività criminose riguarda storicamente il traffico di droga, le migrazioni illegali, il traffico di esseri umani (per esempio legato alla prostituzione), l’estorsione, il riciclaggio di denaro sporco, le truffe e le contraffazioni di prodotti di marche famose, il traffico di auto rubate. Ed è un fatto che i clan mafiosi dimostrano una straordinaria capacità di adattamento a diverse condizioni sociali ed economiche.
Prova ne siano, tra le altre, i dati recentemente forniti dalla Guardia di Finanza, che ha messo in piedi, per riuscire a captare fenomeni di infiltrazione mafiosa nelle aziende, quattro alert: il tasso di crescita dell’impresa, il trasferimento di personale, l’intestazione a soggetti inesistenti o che presentino caratteristiche poco adeguate a ricoprire ruoli dirigenziali, e il compimento di determinati negozi giuridici.
Ne esce un quadro pesante: tale da far presumere al procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho che ci sia un accordo di fondo, tra le varie mafie, per la spartizione degli interessi finanziari in tutta Italia. «Oggi tutte le aree del nostro Paese sono a rischio. Ovunque registriamo la presenza delle mafie: analizzano il tessuto imprenditoriale, riuscendo ad adattarsi e ad infiltrarsi». E ancora: «La strategia della sommersione ha lo scopo di avviare l’attività di impresa utilizzando i canali leciti, ma cannibalizzando il mercato [...] Entrano nelle varie regioni con alcune famiglie, con un gruppo limitato, ma poi crescono, si allargano. In ciascun territorio individuano il fronte produttivo più vulnerabile e ci entrano con società».
I dati su tremila cosiddetti “reati-spia” sono allarmanti. Di più: sono tragici. Tolti gli “storici” business come droga, armi, prostituzione, le mafie di oggi utilizzano sofisticati strumenti finanziari, investendo denaro sporco in settori in apparenza leciti, come l’intrattenimento, le costruzioni e i servizi di alloggio e di ristorazione, soprattutto nel Nord Italia. La Lombardia è tra le regioni più coinvolte dalle mafie in termini di riciclaggio del denaro sporco. Ma non è sola: una mappa pubblicata recentemente dal Sole 24 Ore mette in evidenza il notevole tasso di presenza di operazioni di stampo mafioso anche in Liguria e in Emilia Romagna.
Le mafie, quindi, mettono in opera forme di imprenditoria avanzate nelle regioni più produttive: entrano in possesso di società ormai “decotte” e puntano ai finanziamenti del Mise e del Mef.
È del tutto evidente come questa realtà, una vera e propria piovra, come la definì anni fa una famosa fiction, sia in grado di inserirsi ovunque o quasi. La coscienza civile dovrebbe ribellarsi a questo stato delle cose, che, oltre ad essere criminale, risucchia il denaro della collettività, a danno di tutte e di tutti. E dovrebbe farlo la politica, impegnandosi sempre di più in un contrasto che sia strutturale e non delegato alle azioni, assai encomiabili e coraggiose, di procure, forze di polizia, privati che si ribellano. Ma questa è un’altra storia.
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