Medici di base «il nuovo progetto di cronicita’ e’ una grande occasione per i nuovi medici: rappresenta il loro futuro. paesi senza medici? dipende dalla sensibilita’ dei singoli»
FEDERICO PANI
Volendo fare una previsione, è difficile sbagliare dicendo che il medico di base sarà una delle figure chiave del sistema sanitario nazionale di domani. Così la pensa, per esempio, il dottor Francesco Crea, medico di medicina generale, consigliere dell’Ordine dei medici di Cremona e Presidente della Cooperativa Medici Territoriale (CMT), che copre ben tre ATS (Agenzie Territoriali della Salute): Cremona-Mantova, Monza-Lecco e la provincia di Brescia. Crea spiega in che modo sta cambiando la professione medica, restituendo uno spaccato dell’attività della Cooperativa che presiede.
«Una sfida centrale del sistema nazionale sanitario è rappresentata dalle malattie croniche, malattie per le quali non esiste una cura risolutiva nell’immediato. Per fronteggiarle, il Ministero della Salute ha attivato il Piano Nazionale della Cronicità, chiedendo agli enti sanitari regionali di progettare dei modelli di gestione più efficienti. L’onere è caduto sui medici di famiglia. La nostra cooperativa, che ne raccoglie oltre cinquanta nella sola provincia di Cremona, si è attivata coinvolgendo, quindi arruolando, ad oggi, seimila pazienti, per seguirli nel percorso di cura. In Lombardia, ogni medico di medicina generale che aderisce alla Presa In Carico del paziente cronico riceve dall’ATS locale un elenco dei pazienti dalla Banca Dati Assistito (un grosso archivio regionale dove afferiscono tutte le informazioni relative alla situazione sanitaria del cittadino). La prima fase del lavoro consiste nel verificare che le informazioni che provengono dalla banca dati siano corrette. Al cittadino “cronico” viene spiegato il progetto e, se d’accordo, sottoscrive un patto di cura, cui farà seguito la redazione di un Piano di Assistenza Individualizzato (PAI). La fattibilità di quest’ultimo viene poi verificata a livello regionale. Nel nostro caso, la maggior parte dei Piani di assistenza viene vali- data. Inizia quindi il percorso di accompagnamento del cittadino da parte della cooperativa (Gesto- re della cronicità), attraverso una complessa organizzazione interna che si avvale di un Centro Servizi e un sistema gestionale integrato con: quello regionale, le strutture erogatrici e i software di ogni singolo medico».
Di che numeri stiamo parlando per quanto riguarda i medici di base presenti sul territorio? «Nella realtà cremonese sono circa 224, di cui 190 hanno costituito reti di condivisione dei dati (medicina di rete), mentre altri condividono anche una sede fisica (medicina di gruppo). La metà del totale sono raggruppati in cooperative. L’interconnessione è fondamentale per fare fronte al futuro della professione: se fino a pochi anni fa la medicina era “di aspettativa”, ora invece è “di iniziativa”, cioè proattiva. Per ridurre il numero di riacutizzazioni di patologie croniche, accessi in Pronto Soccorso e Ricoveri, il medico sottopone in anticipo i pazienti ad esami e visite di controllo programmando il tutto nei PAI, in modo che il gestore (la cooperativa) possa pianificare le prenotazioni e monitorare l’andamento della presa in carico. È chiaro che, nell’ottica di una razionalizzazione delle risorse, il medico deve sviluppare competenze manageriali e allocare al meglio le risorse di cui dispone. Serve abilità clinica e dirigenziale allo stesso tempo». C’è speranza, in futuro, per chi abita nei centri periferici rimasti sguarniti da un ambulatorio e che magari ha anche problemi di mobilità?
«Lo sforzo che si sta compiendo è quello di estendere la rete di assistenza anche ai centri periferici. Non solo: fare in modo che gli esami di primo livello possano essere compiuti magari in ambulatorio – come un elettrocardiogramma, una spirometria o alcune analisi ematiche – senza doversi recare nell’ospedale più vicino. Il futuro sarà certa- mente la tele-medicina con possibilità che, da sedi secondarie, i dati vengano inviati a centri specializzati. Nella nostra realtà, per fare un esempio, abbiamo ormai da anni attivato un collegamento tra il Centro Emostasi e Trombo-si dell’ASST di Cremona con una serie di punti di appoggio sul territorio dove i pazienti in terapia anticoagulante orale accedono regolarmente per i controlli necessari all’adeguamento terapeutico. Io credo che dinamiche di questo genere rappresentino, ad oggi, la frontiera della nuove politiche sanitarie».
il parere di alcuni medici di famiglia. Ipocondria, università e anziani senza medico
Non bisogna scomodare il dottor Živago o altri celebri dottori del cinema o del teatro per capirlo: il ruolo del medico di famiglia è cambiato e, almeno finora, agli occhi di molti pazienti l’ambulatorio è diventato l’anticamera dell’Ospedale o della farmacia e il medico una specie di passacarte, quasi un rivenditore al dettaglio di esami clinici o ricette. Certo: qualche colpa deve avercela avuta anche internet. E così capita che qualche medico consigli ai suoi pazienti, perlomeno, di consultare i siti più affidabili per non cadere nel panico senza alcun motivo. «Sì, l’ipocondria è aumentata, direi dilagata», ci racconta un giovane medico di base di Cremona: «molti pazienti sulla base del minimo sintomo si diagnosticano in anticipo la malattia».
Si potrebbe dire che questo sia uno dei problemi maggiori legati alla professione? «Sì, ma non è certo il solo: in realtà c’è poca attrattività per la professione in generale, perché non se ne fa conoscenza in università. Anzi: nella maggior parte delle facoltà il corso di medicina generale non esiste nemmeno. Oltre al fatto che la materia, per farne una professione, non è oggetto della classica specializzazione, ma di un diploma di formazione regionale, che dura tre anni e il cui assegno, rispetto a quello di qualsiasi altro specializzando, è dimezzato. Esistono però delle realtà virtuose: a Modena e a Reggio Emilia, su impulso di gruppi di medici di base, sono stati istituiti dei corsi universitari, e qualche studente è riuscito perfino a laurearsi sull’argomento. Cosa impossibile da fare, per esempio, nella vicina Parma».
Sentiamo un altro medico di base, in questo caso che opera nei paesi della Provincia, sul nuovo modello organizzativo della Regione Lombardia sulla cronicità. «A mio parere, se colto dalla Medicina Generale, dà l’opportunità di avere la centralità nella gestione del paziente. Il progetto è ancora in fase sperimentale e ha criticità: serve integrazione tra chi gestisce e chi eroga, e comporta oneri maggiori. Certo per il paziente poter scegliere il proprio medico è preferibile rispetto a indicare una struttura». Quanti cittadini hanno optato per il medico? «Circa il 90%». E quanto medici hanno aderito? «A Cremona il 70-80%, altrove la percentuale è più bassa. Occuparsi della cronicità è un carico pesante, sia dal punto di vista lavorativo che economico, ma i nuovi medici dovrebbero avvicinarsi di più a questo progetto che rappresenta il loro futuro».
Un altro tema caldo: con le nuove regole capita che alcuni paesi rimangano con gli ambulatori vuoti, senza un medico e costretti quindi a spostarsi, cosa che per gli anziani non è agevole. «Gioca molto la cultura della centralità, con poliambulatori organizzati in una sede cui fanno riferimento le periferie». In pratica tutti in poliambulatorio a Casalmaggiore e chi vive nei piccoli centri si arrangi. «In questo modo si possono dividere le spese». Magari i sindaci sono disposti a venire incontro alle esigenze dei medici. «Ci sono difficoltà varie, spese di segreteria eccetera». Come superare il problema secondo lei? «Alla fine si tratta di rapportarsi coi colleghi che occupano il posto vacante concordando il passaggio, ma il tutto è affidato alla sensibilità del singolo medico»
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