LA STORIA • Il 2 giugno del 1946 la monarchia ottenne due milioni di voti in meno e fu cancellata
francesco agostino poli
È noto che per Giuseppe Mazzini la liberazione dell’Italia potesse avvenire solo attraverso la costituzione di uno Stato repubblicano unitario. Il pensiero politico repubblicano trae origine dall’antica Grecia e dalla Roma classica, arricchendosi di contenuti nel periodo tardo medievale, nel Rinascimento italiano (abbiamo parlato, su queste pagine, di Machiavelli e del suo ideale di repubblica), ma anche a seguito delle esperienze della rivoluzione inglese e di quella francese, fino a giungere ai nostri giorni. È propria del repubblicanesimo una concezione di libertà che rimanda all’essere liberi dal dominio, dalla volontà arbitraria di altri uomini: una libertà politica tale da informare di sé le politiche pubbliche.
È noto anche che, fino al 1946, quindi in tempi recenti, il nostro Paese non sia stato una repubblica, bensì una monarchia, retta da quella casa Savoia sotto le cui bandiere si era svolto il processo ottocentesco dell’unità d’Italia. Da allora, molta acqua era scorsa sotto i ponti: fino al fascismo ed alla seconda guerra mondiale, in cui l’Italia era entrata fianco della Germania di Hitler e del Giappone imperiale, al cui termine il nostro Paese era un cumulo di macerie materiali, istituzionali, politiche, economiche, sociali. La Resistenza segnò il desiderio di riscatto e di costruzione di un’altra Italia: la monarchia che aveva avallato la presa di potere del fascismo, che aveva controfirmato le leggi razziali del 1938, che aveva abbandonato a se stesso il proprio esercito dopo l’8 settembre 1943 non poteva rimanere. Non fu una scelta lineare, né semplice: ma, all’indomani della Liberazione, si stabilì che l’assetto istituzionale del Paese sarebbe stato deciso con un referendum popolare tra monarchia e repubblica, che si svolse il 2 ed il 3 giugno 1946. Per la prima volta in una consultazione politica nazionale votavano anche le donne circa 13 milioni e circa 12 milioni di uomini pari complessivamente all'89,08% degli allora 28,005.449 aventi diritto al voto. il 2 giugno insieme alla forma dello Stato, i cittadini e le cittadine italiane elessero anche i componenti dell’Assemblea Costituente che doveva redigere la nuova carta costituzionale. La Democrazia Cristiana ottenne la maggioranza relativa dei 556 deputati, 207, seguita dai socialisti e dai comunisti. Alla sua prima seduta, il 28 giugno 1946, l’Assemblea Costituente avrebbe eletto come capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola , Il voto, quindi si svolse tra le macerie dei bombardamenti alleati e quelle delle demolizioni dei nazisti in ritirata, con centinaia di migliaia di italiani ancora sparsi per i campi di prigionia in tutto il mondo e intere zone ancora sotto il governo militare alleato. Gli italiani scelsero la repubblica, con 12.718.641 voti contro i 10.718.502 della monarchia.
Lo spoglio del risultato mostrò chiaramente che l’Italia era divisa in due metà. In tutte le province a nord di Roma, tranne due (Padova e Cuneo), vinse la repubblica. In tutte le province del centro e del sud, tranne due (Latina e Trapani), vinse la monarchia. La repubblica ottenne il risultato più ampio a Trento, dove conquistò l’85 per cento dei consensi. La monarchia ottenne il risultato migliore a Napoli, con il 79 per cento dei voti. Non poterono votare i prigionieri di guerra nei campi degli alleati e gli internati in Germania che stavano cominciando lentamente a ritornare. Non si votò nella provincia di Bolzano, che dopo la creazione della Repubblica di Salò era stata annessa alla Germania e che dopo la fine della guerra era stata messa sotto governo diretto degli Alleati; e nemmeno a Pola, Fiume e Zara, tre città italiane prima della guerra, ma che sarebbero passate alla Jugoslavia, né a Trieste, sottoposta ad amministrazione internazionale e al centro di un complicato contenzioso diplomatico che si sarebbe risolto soltanto nel 1954, con il ritorno della città all’Italia. Comunque, occorre sfatare una leggenda: quella dei brogli. I risultati elettorali di allora sono stati analizzati con tecniche moderne e si concorda nel dire che il voto si svolse in maniera tutto sommato regolare. Il di- stacco era molto forte, quasi due milioni di voti, e non è possibile manomettere una tale quantità di voti senza lasciare tracce palesi ed evidenti. Ma la diceria è durata a lungo, in parte a causa del clima politico incandescente, in parte perché lo spoglio e il processo con cui venne annunciato il referendum furono gestiti in maniera incerta e a volte decisamente pasticciata.
I principali partiti erano a favore della Repubblica, ma temevano che nel sud i monarchici avrebbero potuto organizzare insurrezioni o rivolte e che in caso di disordini i carabinieri si sarebbero schierati con il re. Dopo la proclamazione dei primi risultati, ci fu un vero e proprio scontro tra il governo provvisorio guidato dal leader della Democrazia Cristiana Alcide De Gasperi e la monarchia, al cui culmine, De Gasperi si rivolse al ministro della Real Casa, Falcone Lucifero, con una frase che, in varie forme, è entrata nella storia: «Entro stasera, o lei verrà a trovare me a Regina Coeli, o io verrò a trovare lei». Alla fine vinse De Gasperi, che il 13 giugno, prima che uscissero i risultati definitivi, proclamò il passaggio dei poteri dal re, Umberto II, al governo provvisorio. Il re denunciò il gesto, ma si rassegnò a lasciare il paese il giorno stesso, partendo in aereo per Lisbona dove era già arrivato suo padre, Vittorio Emanuele III, che aveva abdicato poche settimane prima, e il resto della famiglia reale. Il periodo immediatamente successivo al referendum fu complicato e poco chiaro, finendo per alimentare il sospetto di irregolarità. I primi risultati arrivarono il 4 giugno e sembravano dare in vantaggio la monarchia. Durante la notte e la mattina del 5, la Repubblica passò in netto vantaggio e il 10, la Corte di Cassazione proclamò il risultato: 12 milioni di voti a favore della Repubblica e 10 a favore della monarchia. A sorpresa, nel comunicato utilizzò una formula dubitativa, che rimandava l’annuncio definitivo al 18 giugno dopo l’esame delle contestazioni presentate soprattutto dai monarchici. Intanto, erano in corso scontri, soprattutto nel sud. A Napoli, un gruppo di monarchici attaccò una sede del Partito Comunista, e quando la polizia intervenne nove manifestanti furono uccisi. Il 13 giugno, il clima era divenuto così teso che De Gasperi decise di forzare la mano agli eventi e, senza attendere il responso della Cassazione, proclamò il passaggio di poteri dal re al governo. Il 18 la Cassazione confermò il risultato: la repubblica aveva vinto con la maggioranza assoluta dei voti espressi, anche contando schede bianche e nulle. “O la repubblica o il caos”, aveva detto il grande socialista Pietro Nenni. Fortunatamente, fu repubblica.
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