LA STORIA • Trent’anni fa i militari fecero una strage di studenti nella piazza di Pechino. La memoria nascosta di quel tragico evento
francesco agostino poli
Nella notte tra il 3 e il 4 giugno 1989, veniva repressa nel sangue la pro- testa degli studenti che, in piazza Tienanmen a Pechino, chiedevano partecipazione, diritti e lotta alla corruzione, ma non la fine del regime comuni- sta. Ha scritto la giornalista Ilaria Maria Sala, grande esperta del mondo orientale e della Cina in particolare: “Ogni volta che ricordo quei giorni rivedo gli sguardi pieni di ottimismo e speranza di chi marciava nei cortei, di chi pedalava per raggiungere gli altri, convinto di partecipare alla lotta per un futuro diverso, più aperto, per la Cina tutta”. L’immenso Paese asiatico era in preda a un profondo sconvolgimento politico: da settimane gli studenti universitari erano in Piazza Tienanmen, a Pechino, chiedendo riforme, democrazia, e lotta alla corruzione. Il loro coraggio ispirò ben presto molte altre categorie professionali e città, e le proteste si estesero a Chengdu e Canton, Xi’an, Shanghai, Xiamen. I giornalisti e i registi cinematografici, gli artisti e gli scrittori si erano uniti, chiedendo libertà di stampa e di espressione, e perfino i lavoratori decisero che era giunto il momento di sostenere gli studenti e chiedere un “sindacato indipendente”.
Han Dongfang, un lavoratore delle ferrovie che all’epoca aveva 26 anni, fondò allora il primo sindacato indipendente della Cina, proprio ai margini della Piazza: il “comitato generale”, infatti, era ospitato all’interno di una “tenda rossa”, che portava la scritta “Sindacato indipendente dei lavoratori di Pechino”, dove Han riceveva aspiranti iscritti e coordinava un movimento che diventava ogni giorno più imponente. Forse, la tragica decisione di inviare l’esercito contro la folla disarmata, causando centinaia di morti, fu dovuta al timore che si creasse un vero e proprio movimento di lavoratori organizzati Eppure, la Costituzione cinese dà a tutti il diritto di formare sindacati autonomi, ma, in realtà, esiste solo la Federazione sindacale dell’intera Cina, controllata dal Partito comunista.
Dopo la repressione, poiché non riteneva di aver fatto alcunché di proibito, Han Dongfang si presentò spontaneamente alla polizia e fu imprigionato per 22 mesi senza processo fino a quando, messo in una cella con prigionieri malati di tubercolosi, si ammalò lui stesso gravemente. Nel 1991, per evitare di creare un caso internazionale, il governo cinese decise di rilasciare Han Dongfang e grazie alle pressioni internazionali di lasciarlo partire per gli Stati Uniti. Oggi vive a Hong Kong dove, nel 1994, ha costituito il China Labour Bulletin (CLB), un’organizzazione non governativa per la difesa dei diritti dei lavoratori in Cina. Una iniziativa sostenuta anche attraverso una trasmissione radiofonica su Radio Free Asia, ascoltata in tutta la Cina, che permette ai lavoratori, ma anche ai funzionari di partito che vogliono modificare le situazioni, di contattare direttamente un team di esperti. Ascoltiamo le parole del sindacalista: «Qualche anno fa, quando parlavamo per telefono, erano i lavoratori stessi a chiedermi di modificare le loro voci, per non essere riconoscibili. Adesso invece tocca a me dire loro di stare attenti, di non commettere imprudenze e di non mettersi nei guai, mentre loro insistono, chiedono di andare in onda con nome e cognome, talmente sono esasperati dalle condizioni in cui alcuni di loro si trovano». E ancora: «Non si tratta di “proteggere” gli operai. Questo è un sentimento nobile, ma che è meglio riservare alle piante o ai panda: stiamo parlando di adulti, per cui nel loro caso ciò per cui si deve lottare è affinché ottengano il diritto di organizzarsi in modo indipendente. Nessuno meglio di un lavoratore sa quali siano i problemi all’interno di una fabbrica, di un’azienda, di un’istituzione. È a loro che si deve concedere il diritto di parola che spetta loro per legge». Oggi, l’immensa spianata di Tienanmen, su cui si affacciano la Città Proibita e la Grande Sala del Popolo che è sede delle maggiori assise del Partito comunista e dei poteri dello Stato, è guardata da decine di videocamere; i turisti che l’affollano sono infiltrati da poliziotti in borghese; gli accessi sono custoditi da uomini delle forze speciali. La piazza resta un luogo esemplare del Paese e vetrina delle sue contraddizioni. I fatti che vi si svolsero tra aprile e giugno 1989 sono un “buco nero” della storiografia ufficiale, non trovano posto sui libri di testo e nei notiziari. A volte, compaiono rari accenni all’“incidente del 4 giugno”, accompagnati da commenti inneggianti al pericolo sventato per la stabilità della nazione e al ruolo egemone del partito. Un altro esule, lo scrittore Ma Bo (noto anche con il nome d’arte di Lao Gui, “vecchio fantasma”), nei giorni di Tienanmen si era recato nella piazza con la figlioletta di sei anni. Allora giornalista e militante studentesco, aveva sperato che fosse l’avvio di un cambiamento. Invece, «fu davvero terrificante... indimenticabile. Non avrei mai pensato che potessero dare il via al massacro». Un massacro, tra l’altro, di proporzioni tuttora incerte, che le “madri di Tienanmen” hanno contribuito a ricordare nel tempo, chiedendo certezze sulla sorte dei propri figli e giustizia. Sottoposta a repressione e censura, la memoria insufficiente e fallace dei fatti di Tienanmen ha dato vita a veri e propri aneddoti, come nel caso di un’inserzione a pagamento apparsa anni fa in un quotidiano locale, in cui si lodava l’impegno delle “madri di Tienanmen”, sfuggita alla censura per l’incapacità della giovane impiegata che la ricevette di ricordare un evento già lontano. Ma credo che soprattutto un’immagine resterà indelebile nella nostra memoria: la “danza” pazza- mente coraggiosa del cosiddetto “rivoltoso sconosciuto”, davanti ad un carro armato, che volle sfidare a schiacciarlo sotto i cingoli. Il pilota del carro armato cercava di evitarlo, ma il giovane uomo gli si parava davanti, ancora e ancora. E il pilota non se la sentì di andargli addosso. Nell’aprile del 1998, la rivista Time ha incluso “Il Rivoltoso Sconosciuto” nella sua lista de “Le persone che più hanno influenzato il XX secolo”. Ma come la stessa rivista scrive, citando uno dei leader del movimento pro-democratico cinese, “gli eroi nella fotografia del carro armato sono due: il personaggio sconosciuto che rischiò la sua vita piazzandosi davanti al bestione cingolato e il pilota che si elevò alla opposizione morale rifiutandosi di falciare il suo compatriota”. Proprio come in una famosa poesia di Bertolt Brecht: “Generale, il tuo carro armato è una macchina potente/ spiana un bosco e sfracella cento uomini./Ma ha un difetto:/ha bisogno di un carrista./Generale, il tuo bombardiere è potente./ Vola più rapido d’una tempesta e porta più di un elefante./Ma ha un difetto:/ha bisogno di un meccanico./Generale, l’uomo fa di tutto./Può volare e può uccidere./Ma ha un difetto:/può pensare”.
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