LA STORIA • Nel giugno 1941 Hitler lanciò la grande operazione militare contro la Russia: una tragedia enorme
francesco agostino poli
La seconda guerra mondiale era scoppiata da quasi due anni, quando la Germania nazista decise di attaccare l’Unione Sovietica, mediante una enorme operazione militare denominata “Operazione Barbarossa”, dal nome dell’imperatore Federico Barbarossa.
Fu la più vasta operazione militare terrestre di tutti i tempi; si aprì un vastissimo fronte orientale, che divenne il più grande teatro bellico dell’intera seconda guerra mondiale e vi si svolsero alcune tra le più grandi e sanguinose battaglie della storia. Nei quattro anni seguenti, decine di milioni di militari e civili persero la vita o patirono enormi sofferenze, sia a causa degli aspri ed incessanti scontri che delle condizioni di vita miserevoli in cui vennero a trovarsi. L’operazione, iniziata meno di due mesi dopo il deludente risultato della battaglia d’Inghilterra, avrebbe dovuto costituire un punto di svolta decisivo per assicurare la vittoria totale del Terzo Reich ed il suo predominio sul blocco continentale eurasiatico, ma il suo fallimento, assorbendo buona parte delle risorse umane, economiche e militari della Germania, ne segnò l’inizio della fine.
L’idea di Hitler era certamente di colonizzare quella terra immensa, abitata, tra l’altro, da popolazioni considerate “razze inferiori” dal perverso sistema razziale nazista, e che quindi dovevano essere sfruttate fino alla morte, oppure subito sterminate. Si trattava di Untermenschen, sub-umani: vi erano compresi gli slavi, i bolscevichi sovietici, gli zingari e, ovviamente, gli ebrei. La folle ideologia nazista si appellava al concetto di Lebensraum, lo spazio vitale di cui necessità il superiore popolo tedesco, ed il destino dei popoli inferiori doveva essere quello contenuto nel Generalplan Ost, il progetto che prevedeva, nei territori occupati, pratiche quali il genocidio, l’espulsione, la riduzione in schiavitù e la germanizzazione. Hitler non aveva mai camuffato le sue idee: nel suo testo aberrante del 1925, Mein Kampf, scritto ben prima della sua salita al potere, nel 1933, aveva scritto, tra le altre cose: “Noi vogliamo arrestare il continuo movimento tedesco verso il sud e l’ovest dell’Europa e volgiamo il nostro sguardo verso i paesi dell’Est [...] Quando oggi parliamo di un nuovo territorio in Europa, dobbiamo pensare in prima linea alla Russia e agli stati limitrofi suoi vassalli. Sembra che il destino stesso ci voglia indicare queste ragioni. [...] Il colossale impero dell’Est è maturo per il crollo e la fine del dominio ebraico in Russia sarà anche la fine della Russia quale stato”. Hitler, però, puntando sulla avversione di Stalin nei confronti dell’occidente capitalista, aveva avviato trattative segrete con l’Unione Sovietica, che si conclusero positivamente il 23 agosto 1939 con il patto Molotov- Ribbentrop: nella sostanza, un patto di futura spartizione della Polonia ed un patto di non aggressione che consentiva alla Germania di non temere nessuna offensiva sovietica da est e di continuare ad usufruire delle forniture di petrolio, grano ed acciaio provenienti proprio dallo stato sovietico.
Ma Stalin non si fidò del dittatore tedesco e fece approntare un sistema di fortificazioni, detto “Linea Molotov” a protezione dei confini dell’Unione Sovietica. Lo stesso Stalin, come Hitler, coltivava comunque una politica espansionista: il 30 novembre 1939 l’Unione Sovietica aveva attaccato la Finlandia e, diversamente da quanto previsto nel patto Molotov-Ribbentrop, a fine giugno-inizio luglio 1940 aveva imposto alla Romania di cedere non solo la regione della Bessarabia ma la parte settentrionale della Bucovina, occupando anche il territorio di Herța appartenuto sin dal XIX secolo al vecchio Regno di Romania. Hitler, quindi, coltivava molti timori, tra cui la possibile perdita del petrolio rumeno: si aprirono consultazioni e si lanciarono accuse reciproche di violazione del patto da parte di entrambi gli Stati. La situazione era diventata incandescente: Hitler pensava che, entrando in guerra e sconfiggendo l’Unione Sovietica (essendo convinto della pochezza del suo esercito e dei suoi comandanti), gli USA non sarebbero mai entrati in guerra e l’Inghilterra, alla fine, avrebbe capitolato.
Nell’estate del 1940, la Germania e Hitler in prima persona cominciarono ad elaborare la strategia da utilizzare per un attacco contro l’Unione Sovietica: tra l’autunno del 1940 e la primavera del 1941 ebbe inizio un enorme spostamento di mezzi e di truppe lungo i confini orientali del Reich e circa 17.000 treni furono impiegati per trasportare la massa di materiali e l’impressionante numero di circa 3.500.000 uomini; tale spostamento non si concretizzò immediatamente in un “dislocamento” in quanto una parte di questi mezzi fu impiegata, nell’aprile del 1941, per le due campagne lampo contro la Jugoslavia e la Grecia ma, ai primi di giugno, l’esercito tedesco era pronto per sferrare l’offensiva.
I grandi movimenti dell’esercito tedesco ovviamente non sfuggirono ai servizi segreti sovietici, così come non furono ignorate le frequenti missioni di aerei da ricognizione tedeschi che ad alta quota studiavano il terreno in previsione dell’avanzata, ed è da rilevare che nel dicembre 1940 l’addetto militare sovietico a Berlino era entrato in possesso, grazie ad un’informazione anonima, delle linee di condotta delle operazioni verso ovest, ma sembra che tutti questi indizi – unitamente a rapporti pervenuti dagli USA e dall’Inghilterra - fossero ignorati da Stalin che, oltre a non sollevare proteste, diramò ordini alla stampa al fine di impedirle di affrontare l’argomento ed evitò di mobilitare l’esercito.
C’è da rilevare che Stalin sapeva bene che, in quel periodo, l’Armata Rossa era impreparata, in fase di addestramento e soprattutto di riammodernamento: i generali Žukov e Tymošenko si adoperavano per elaborare una strategia difensiva, basata non più sull’antiquata concezione dello schieramento del grosso delle truppe lungo il confine ma piuttosto sul concetto della “difesa mobile”, che prevedeva linee di difesa distanti un centinaio di chilometri l’una dall’altra, che, in caso di attacco, avrebbero consentito con maggiore facilità il ripiegamento ed il contrattacco.
Il 21 giugno l’ambasciatore tedesco a Mosca, von Schulenburg, ricevette via radio dal Ministro degli Esteri tedesco, Ribbentrop, la dichiarazione di guerra all’Unione Sovietica, da consegnarsi immediatamente al Ministro sovietico degli Esteri Molotov. In essa la Germania accusava l’Unione Sovietica di aver violato sistematicamente gli accordi del patto di non aggressione firmato dai due Paesi il 24 agosto 1939 a Mosca, di aver tramato contro la Germania con un’aggressiva condotta diplomatica anti-tedesca e di stare ammassando al suo confine occidentale forti contingenti di truppe, destinate ad un attacco alla Germania. La stessa dichiarazione venne letta da Ribbentrop, alle 4 del mattino del 22 giugno 1941, all’ambasciatore russo a Berlino, Vladimir Dekanozov, che il giorno prima aveva tentato invano di farsi ricevere da lui per sottoporgli le proteste del suo governo a causa di ripetute violazioni dello spazio aereo russo da parte di velivoli militari tedeschi.
Il 22 giugno 1941, giorno precedente all’anniversario in cui, centoventinove anni prima, l’esercito di Napoleone aveva attraversato il fiume Niemen in direzione di Mosca, tra le 3:15 e le 3:45 del mattino, sulla linea che andava dal mar Baltico al mar Nero, iniziò un intenso fuoco di sbarramento da parte dell’artiglieria tedesca ed alle 4:45 fu dato l’ordine di avanzare ai reparti corazzati.
La sorpresa dell’attacco tedesco fu assoluta, nonostante poche ore prima fosse stato inviato a tutti i distretti di confine l’ordine del ministero della difesa sovietico di mettere le truppe in “stato d’allarme primario” e, in conseguenza della frammentarietà delle comunicazioni, solo dopo quattro ore Stalin diede l’ordine di contrattaccare; l’aviazione sovietica fu duramente colpita al suolo (la Luftwaffe, solo nel primo giorno, distrusse più di 1.800 velivoli) ed i pochi aerei che riuscirono ad alzarsi in volo, i superati caccia Polikarpov I-16, furono abbattuti in massa e nei successivi quattro giorni i sovietici persero il 50% del loro potenziale aereo. La crisi delle comunicazioni provocò il caos totale: i ponti non furono fatti saltare e le truppe tedesche poterono avanzare attraversando i fiumi.
Stalin ruppe il silenzio solo alle 6:30 del 3 luglio denunciando, dai microfoni di radio Mosca, la rottura del patto di non aggressione da parte della Germania ed il “richiamo alla lotta” per il popolo sovietico. Nei primi giorni di guerra, furono distrutti migliaia di carri armati e cannoni sovietici, furono distrutte 40 divisioni e 300.000 soldati sovietici caddero prigionieri.
Si era aperta una tragedia enorme, che avrebbe portato sofferenze terribili, anche e soprattutto tra la popolazione civile: la ferocia delle truppe tedesche nell’accanirsi anche contro i civili fu inaudita. Milioni e milioni di persone sterminate, deportate, ridotte in schiavitù. Sarebbero seguite le epopee di Stalingrado, di Leningrado: la scellerata decisione di Mussolini di inviare un corpo d’armata italianao avrebbe portato alla tragedia della ritirata di Russia delle truppe italiane.
Un testo valga per tutti per leggere “in diretta” cosa fu la guerra in Russia, e si tratta di un testo degli invasori, a loro volta intrappolati, nel giro di poco più di un anno, in una guerra che li avrebbe visti sconfitti e costretti al ripiegamento o alla prigionia: le “Ultime lettere da Stalingrado” scritte da soldati tedeschi, che patirono anch’essi la barbarie e la follia nazista.
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