“Povero Matteotti, te l’hanno fatta brutta”

LA STORIA • Il 10 giugno si è celebrato il 95° anniversario dell’omicidio del parlamentare socialista da parte di una squadra fascista 


francesco agostino poli 
“Povero Matteotti,
te l’hanno fatta brutta
e la tua vita
te l’han tutta distrutta!
E mentre che moriva,
morendo lui dicea:
“Voi uccidete l’uomo
ma non la sua idea”.
E mentre che moriva,
con tutto il suo eroismo
gridava forte forte:
«Evviva il Socialismo!» Vigliacchi son,
l’han fatto assassinare!
Noialtri proletari
lo sapremo vendicare”. 
L’assassinio per mano fascista del parlamentare socialista Giacomo Matteotti, avvenuto il 10 giugno del 1924, segnò una data fondamentale per la storia italiana. Matteotti, nato a Fratta Polesine nel 1885, era laureato in giurisprudenza. Eletto nel collegio di Ferrara Rovigo la prima volta nel 1919, fu riconfermato nel 1921 e nel 1924. Matteotti, soprannominato Tempesta dai suoi compagni di partito per il suo carattere battagliero ed intransigente, visse la tormentata storia del socialismo italiano nei primi anni Venti del ’900, venendo espulso, nell’ottobre del 1922, dal Partito Socialista Italiano con tutta la corrente riformista legata a Filippo Turati. I fuoriusciti fondarono il nuovo Partito Socialista Unitario di cui Matteotti divenne segretario e, nel 1924, veniva pubblicata a Londra la traduzione del suo libro Un anno di dominazione fascista, col titolo: The Fascists exposed; a year of Fascist Domination, in cui riportava analiticamente gli atti di violenza fascista contro gli oppositori, ribattendo alle affermazioni del regime, per cui l’uso della violenza squadrista era utile allo scopo di riportare il paese a una situazione di legalità e normalità, ripristinando l’autorità dello Stato dopo le violenze socialiste del biennio rosso. Matteotti denunciava che le spedizioni squadriste contro gli oppositori erano continuate anche dopo la presa del potere da parte del fascio e sosteneva che il miglioramento delle condizioni economiche e finanziarie del paese, che stava lentamente riprendendosi dalle devastazioni della guerra, era dovuto non all’azione fascista, quanto alle energie popolari; ma a beneficiarne sarebbero stati solo gli speculatori ed i capitalisti, mentre il ceto medio e proletario ne avrebbe ricevuto una quota minima. Grande oratore, Matteotti firmò la sua condanna a morte il 30 maggio del 1924, con un celebre discorso tenuto alla Camera, in cui aveva denunciato pubblicamente l’uso sistematico della violenza a scopo intimidatorio usata dai fascisti per vincere le elezioni del 6 aprile 1924 e contestato la validità del voto. Alla fine del discorso, il coraggioso deputato socialista, ben consapevole del pericolo che correva, disse ai colleghi: “Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”.Questo è un brano del discorso: “[...] Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni della maggioranza. [...] L’e- lezione secondo noi è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni. [...] Per vostra stessa conferma (dei parlamentari fascisti) dunque nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà... [...] Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse”. L’antifascismo militante ed il rifiuto di ogni tattica attendista erano vivi in Matteotti, come aveva ribadito in una lettera aTurati, poco prima delle elezioni del 1924: “Innanzitutto è necessario prendere, rispetto alla dittatura fascista, un atteggiamento diverso da quello tenuto fino qui; la nostra resistenza al regime dell’arbitrio dev’essere più attiva, non bisogna cedere su nessun punto, non abbandonare nessuna posizione senza le più decise, le più alte proteste. Tutti i diritti cittadini devono essere rivendicati; lo stesso codice riconosce la legittima difesa. Nessuno può lusingarsi che il fascismo dominante deponga le armi e restituisca spontaneamente all’Italia un regime di legalità e libertà. (...) Perciò un partito di classe e di netta opposizione non può accogliere che quelli i quali siano decisi a una resistenza senza limite, con disciplina ferma, tutta diretta ad un fine, la libertà del popolo italiano". 
Matteotti, che aveva già avuto modo di dire “Uccidete pure me, ma l’idea che è in me non l’ucciderete mai”, era pericoloso per il regime fascista: non solo per le denunce delle violenze e dei brogli, ma anche perché, proprio il 10 giugno, giorno del suo assassinio, avrebbe dovuto presentare un nuovo discorso alla Camera dei deputati, in cui avrebbe rivelato le sue scoperte riguardanti lo scandalo finanziario coinvolgente anche Arnaldo Mussolini, fratello del capo del fascismo, circa le tangenti della concessione petrolifera alla Sinclair Oil. Il parlamentare viene quindi rapito, certamente complice Benito Mussolini, a Roma: sono da poco passate le quattro del pomeriggio e si sta recando a Montecitorio. Sotto casa, in lungotevere Arnaldo da Brescia, nel quartiere Flaminio, una squadra di cinque fascisti guidata da Amerigo Dumini lo preleva con la forza e lo carica in macchina, dove viene picchiato e accoltellato fino alla morte, per poi essere seppellito nel bosco della Quartarella, a 25 chilometri dalla capitale. L’auto, una Lancia Lambda, viene fornita dal direttore del “Corriere Italiano” Filippo Filippelli. Da notare che Dumini, riconosciuto colpevole di omicidio premeditato e condannato all’ergastolo nel 1947, dopo sei anni venne scarcerato per l’amnistia concessa dal governo di Giuseppe Pella, venendo graziato definitivamente nel 1956. Tornato libero, si iscrisse al Movimento Sociale Italiano senza però entrare direttamente in politica. L’assenza di Matteotti in Parlamento non viene immediatamente notata, ma già il giorno dopo, l’11 giugno, la notizia della scomparsa appare sui giornali. Più tardi Mussolini sostenne di aver appreso della morte la sera dell’11 giugno, e, il 12 giugno, così rispose a una interrogazione parlamentare posta dal deputato Enrico Gonzales: “Credo che la Camera sia ansiosa di avere notizie sulla sorte dell’onorevole Matteotti, scomparso improvvisamente nel pomeriggio di martedì scorso in circostanze di tempo e di luogo non ancora ben precisate, ma comunque tali da legittimare l’ipotesi di un delitto, che, se compiuto, non potrebbe non suscitare lo sdegno e la commozione del governo e del parlamento”. Le accuse dell’opposizione si muovono quasi immediatamente contro il regime fascista e contro lo stesso Mussolini, il quale inizialmente nega ogni responsabilità. La situazione precipita nel caos e il 26 giugno tutti i parlamentari dell’opposizione decidono di abbandonare i lavori del Parlamento fino a quando il governo non farà chiarezza sulla propria posizione sull’omicidio (la cosiddetta secessione dell’Aventino). 
Il corpo di Matteotti venne ritrovato il 16 agosto del 1924 dal cane di un brigadiere in licenza, Ovidio Caratelli. Mussolini ordinò al ministro degli Interni Luigi Federzoni di preparare imponenti funerali da tenersi a Fratta Polesine, città natale di Matteotti, in modo da tenerli lontani dall’attenzione dell’opinione pubblica. Saputolo, ecco il testo di una lettera che la vedova, la poetessa Velia Titta Matteotti, scrisse allo stesso Federzoni, chiedendo che al funerale non fossero presenti esponenti del partito fascista e della Milizia: “Chiedo che nessuna rappresentanza della Milizia fascista sia di scorta al treno: nessun milite fascista di qualunque grado o carica comparisca, nemmeno sotto forma di funzionario di servizio. Chiedo che nessuna camicia nera si mostri davanti al feretro e ai miei occhi durante tutto il viaggio, né a Fratta Polesine, fino a tanto che la salma sarà sepolta. Voglio viaggiare come semplice cittadina, che compie il suo dovere per poter esigere i suoi diritti; indi, nessuna vettura-salon, nessun scompartimento riservato, nessuna agevolazione o privilegio; ma nessuna disposizione per modificare il percorso del treno quale risulta dall’orario di dominio pubblico. Se ragioni di ordine pubblico impongono un servizio d’ordine, sia esso affidato solamente a soldati d’Italia (Corriere della Sera, 20 agosto 1924)”. 
Velia Titta aveva subito molte minacce e angherie insieme al marito e, cinque giorni dopo la sua scomparsa, aveva interpellato direttamente Mussolini: “Eccellenza, sono venuta a chiederle la salma di mio marito per vestirlo e seppellirlo”. Ma bisognerà arrivare al 3 gennaio 1925 perché Mussolini, di fronte alla Camera dei deputati, tenga un discorso in cui, inizialmente, nega ogni coinvolgimento nella morte, ma poi si assume personalmente la responsabilità dell’accaduto: “Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere”. Durante la Resistenza, i partigiani di orientamento socialista presero il nome di “Brigate Matteotti”: nell’aprile del 1945, Mussolini avrebbe pagato anche per questo e per altri innumerevoli delitti, non ultima una guerra scellerata, a fianco del Giappone e della Germania nazista, che aveva distrutto il nostro Paese.

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