1969: “L’autunno potrà essere veramente caldo”

LA STORIA • Lo Statuto dei Lavoratori frutto dell’impegno del ministro Giacomo Brodolini 


francesco agostino poli 
Mai, la soggettività operaia si era espressa in forma così palese, così efficace. Avvenne con il cosiddetto “autunno caldo”: correva l’anno 1969. Come tutti i fenomeni storici rilevanti, non accadde tutto all’improvviso. C’era stato il ’68: una tempesta aveva percorso il mondo occidentale. Studenti, giovani, donne, e anche operai e operaie: erano i nuovi soggetti che avevano preso parola, invaso le piazze e dato vita a nuovi modi di agire, di esprimersi, a nuovi stili di vita. Il vecchio mondo sembrava tramontato: idee e pratiche antiautoritarie, il sovvertimento dei luoghi comuni imperanti, la critica feroce alla società boghese, e una critica profonda al sistema capitalistico. Evidente che il lavoro, il lavoro sfruttato dal sistema capitalistico, il lavoro stretto tra la dimensione dell’affermazione di sé e l’espropriazione da parte di sé non poteva che divenire centrale. I lavoratori e le lavoratrici lottavano da anni per i propri diritti, perlomeno fin dall’800: ma è nel biennio 68-69 del XX secolo che tutte queste dimensioni vengono ad emersione. Negli scritti, nelle assemblee di fabbrica, nei collettivi studenteschi, sulla stampa, nelle canzoni. 
Andiamo al 28 novembre 1969, piazza del Popolo, Roma. Centomila operai e operaie - le “tute blu” - sono lì giunte per una manifestazione. Pochi giorni prima, a Milano, dopo uno sciopero generale per la casa e un comizio, ci sono stati scontri con la polizia ed è morto l’agente Antonio Annarumma. Le organizzazioni sindacali sapevano bene che avrebbero potuto esserci delle provocazioni e avevano costruito robusti ed efficaci servizi d’ordine: a volte, non bastavano. Quasi subito si sarebbe capito che, dietro alle provocazioni che davano il via alle risposte delle forze dell’ordine, spesso molto violente, c'erano infiltrati, per esempio, dei servizi segreti, in una spirale che sarebbe culminata, anni dopo, in Genova G8. Ma torniamo a Roma. Fu una sorta di prova del nove della capacità di essere classe dirigente della componente operaia: Fiom, Fim e Uilm (rispettivamente, i sindacati metalmeccanici di Cgil, Cisl e Uil) condussero in porto la manifestazione senza che un vetro andasse in frantumi. Nel passare davanti agli ospedali, fischietti e slogan tacevano. Come si è detto, i timori erano tanti: Giancarlo Pajetta, esponente di punta del Pci, che, ragazzino, era stato in carcere per aver combattuto il fascismo, si era detto preoccupato di manifestazioni atte solo a “spaventare la borghesia”. Storicamente, il Pci temeva che un ricorso eccessivo alle piazze potesse rallentare il processo di avvicinamento al potere politico da parte del maggior partito di opposizione. Preoccupazione legittima, ma che non dette sponda, non dette risposta alla necessità di profondo cambiamento espressa da tanta parte della società italiana, in quegli anni, soprattutto dalle giovani generazioni. Ma questa è un’altra storia, che bisognerebbe , però, indagare e raccontare.
Tornando a Roma, vi fu un comizio di Bruno Trentin (Fiom), Luigi Macario (Fim) e Giorgio Benvenuto (Uilm). Senza nulla togliere agli altri, occorre spendere qualche parola su Bruno Trentin. Figlio del giurista antifascista Silvio Trentin, nato in Francia dove il padre si era rifugiato, dopo che, nel 1925, era stato fra i pochi docenti universitari a rifiutarsi di sottoscrivere il giuramento al fascismo, arrestato con lo stesso padre nel novembre 1943 (Bruno aveva 17 anni), alla morte del padre, avvenuta nel marzo del 1944, Bruno Trentin divenne comandante di una brigata partigiana Giustizia e Libertà. Uomo raffinato e colto, nel dopoguerra, l’impegno politico e sindacale lo portò alla Camera dei deputati e, dopo essere stato segretario Fiom, nel 1988 divenne segretario generale della Cgil. Pochi cenni alla grande serietà ed al senso di responsabilità con cui condusse la vicenda dell’abolizione della scala mobile, al di là delle opinioni che si possono avere in merito: Trentin, con Cisl e Uil, firmò, nel 1992, l’accordo con il governo, ma, sapendo del forte dibattito e delle aspre resistenze che c’erano nella Cgil, si dimise da segretario. 
Ma torniamo all’autunno del 1969. La mobilitazione operaia si collegò anche alla scadenza triennale dei contratti di lavoro, in particolare a quella dei metalmeccanici. Si chiedevano aumenti salariali, ma non solo: si pretendeva una nuova dignità del lavoro e dei lavoratori e delle lavoratrici. Statuto del sindacato nell’impresa, giustizia del lavoro e tutela dei diritti individuali, adeguamento del sistema di formazione professionale, riforma del collocamento e potenziamento delle ispezioni, per eliminare il caporalato, condizioni migliori in fabbrica, diritto a poter studiare, diritto a conquiste sociali: idee che uscivano dal recinto dei luoghi di lavoro e, per così dire, si facevano Stato. Avrebbe detto lo stesso Bruno Trentin: «Il confronto, la critica reciproca, lo scontro anche di posizioni diverse fra organizzati e movimento studentesco possono oggi diventare la matrice di una forza nuova che va benaldilà di una lotta contrattuale». A questo punto, è obbligo parlare dell’allora ministro del lavoro, Giacomo Brodolini: socialista, divenne ministro nel 1968. Trascorse il capodanno 1969 in una tenda in piazza, a Roma, innalzata dagli operai di una fabbrica in crisi, per porre all’attenzione di tutti la loro situazione: un gesto di grande valore simbolico. Brodolini era profondamente convinto della bontà delle rivendicazioni operaie, e si impegnò a fondo, non solo per il rinnovo dei contratti, che sarebbe avvenuto nei mesi successivi - gli edili, i chimici, i metalmeccanici e via via le altre categorie -, ma per la sussunzione di quei contenuti in un atto legislativo. Il ministro aveva fretta: sapeva di essere malato di cancro, e voleva “chiudere”. È stato lui, a livello governativo, il “padre” dello Statuto dei lavoratori, la legge 300 del 1969, portata in Parlamento dal suo successore, Carlo Donat Cattin (Bro- dolini, nel frattempo, era scomparso, l’11 luglio del 1969). E’ lo Statuto che, ancora oggi, regola i rapporti di lavoro e dà garanzie di agibilità sindacale, di rappresentanza, di discussione sui luoghi di lavoro, nonostante le picconate molteplici ed i tentativi di stravolgimento che, negli ultimi anni, lo hanno colpito. Ma lo Statuto ancora resiste, e, a modesto avviso di chi scrive, va difeso con le unghie e con i denti.

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