Graffiti di luce che graffiano l’anima

 

L’Accademia della Follia di Cremona e le opere pittoriche dei “diversamente artisti”


Vittorio Dotti e Caterina Madda
«Compagni patetici che a pena sussurrate, andate con la lampada spenta e restituite i gioielli. Un nuovo mistero canta nelle vostre ossa. Sviluppate la vostra legittima stranezza!!». Mutuiamo queste parole, trascritte dai polverosi archivi del dolore, dalla prefazione che Michel Foucault scrisse ad Amburgo, in una gelida notte di febbraio, mentre nell’avenue prossimo alla cattedrale gotica le prostitute, piangendo la loro solitudine, dimostravano col loro incedere verso l’Inferno quanto vero sia ciò che aveva intuito Blaise Pascal, lui al caldo, però, del focolare d’una baita di montagna: «Gli uomini sono così necessariamente folli, che il non esser folle equivarrebbe ad esserlo secondo un’altra forma di follia». Inoltre, siccome non abbiamo il coraggio di ammettere che potremmo comporre questo articolo anche solo basandoci sulla nostra personale frequentazione con la follia, chiediamo all’amico Gian Luca Barbieri di prestarci il titolo del suo magnifico “Graffiti di luce”, nel quale, una ventina d’anni or sono, il noto psicologo e docente presentava l’esito lirico di un geniale percorso di espressività poetica, condotto presso la Crt (Comunità Riabilitativa Terapeutica) di Cremona. Geniale, ma non unico nella provincia di Cremona, dove già nel 1994 veniva condotta a termine l’esperienza teatrale di “Crucifige”, la pièce messa in scena dal grande attore e regista triestino Claudio Misculin, che aveva collaborato con la compagnia neoformata da alcuni volenterosi operatori della Salute Mentale e da un gruppo di degenti non completamente naufragati nei gorghi della patologia psichica (e preservati da tale degrado forse proprio in virtù di questo iperterapeutico in- tervento di rimotivatizzazione). Su indicazione del dottor Franco Spinogatti, paladino gentile di queste e d’altre benemerite iniziative parapsichiatriche (lo diciamo con deferente stima), abbiamo incontrato la simpatica, dinamica, sensibilissima Federica Cervini, mentre era impegnata a tener tese le vele dell’associazione onlus di cui è presidente onoris causa, e in un tranquillo anfratto di relativo silenzio, durante la Festa del torrone, domenica 17 novembre dell’anno domini in corso, all’ora sesta (ore 12 a.m.) del mattino, ci illustrava l’identità dell’Accademia della Follia. Dichiara a noi Federica:
«L’Accademia nasce nel 2011, per volontà di un gruppo d’operatori impegnati nel campo della riabilitazione psichiatrica. L’intento dell’associazione è quello di indebolire, attraverso eventi culturali aperti alla cittadinanza, il pregiudizio che ancora alligna, fortissimo, nei riguardi della marginalità psichica. L’Accademia si configura quale luogo dove l’accettazione delle diversità, e nel nostro caso del disagio psichico, non è mai semplificazione, ma vaso comunicante di idee e centro di irraggiamento di ricchezze umane. L’Accademia intende dialogare con la follia, non solo nei luoghi autorizzati, ma in ogni luogo e in ogni dimensione. Quali strumenti espressivi e comunicativi utilizza l’Arte, la Musica, la Danza, il Teatro, l’Affabulazione... Attraverso queste forme di comunicazione, pensiamo di poter informare e conoscere.» Dopodiché Federica, con volto mesto ma con memoria allegra, ci rimanda ai tempi in cui il grande Misculin, recentemente scomparso, aveva lavorato coi (cosiddetti) “matti”, prima a Trieste poi a Cremona, e cita, con accenti toccanti, le parole programmatiche di lui: «Parlando di metodo di lavoro, mi sento in dovere di affermare che non esiste metodo in arte - esiste l’esperienza. “L’arte è un’apertura permanente, che non si può vivere senza l’accettazione e la ricerca lucida e deliberata del rischio” - come diceva Kantor (geniale drammaturgo e regista teatrale polacco, ndr). Ebbene, il fattore rischio che ho scelto di giocare all’interno dell’arte, è la follia. (...) Solo la follia e’ il rifugio delle menti lucide e libere, che non accettano di vegetare nella follia della realtà della condizione umana. (...) E per concludere sul “metodo di lavoro”, vorrei dire due parole sull’eccesso, e cioè parlare del Sistema dell’eccesso. Oggi viviamo nella dimensione dell’anticipazione dei desideri. Ovvero, i miei desideri non nascono più da pulsioni interne, ma dalla scelta delle soluzioni fornitemi. (...) Viviamo già nell’eccesso: eccesso di mezzi, di strumenti, di ignoranza. Il risultato è incomprensione della realtà, incomprensione di sé stessi, incomprensione tout court! Invece il palco è il luogo deputato all’eccesso: nel mio teatro è questo. (...) L’Accademia della Follia e’ un eccesso (...) per l’accademia della follia l’eccesso e’ un valore!!!». I tre esclamativi li abbiamo apposti noi, e proponiamo di incidere queste parole, vergate con inchiostro fluorescente, sui visi decerebrati dei burocrati e sui volti infetti degli amministratori del potere – di ogni potere. Le sottoscriviamo toto corde e fervidamente le divulghiamo, convinti che tali le approvino anche le operatrici e gli operatori volontari che lavorano affettivamente coi (cosiddetti) “folli”, e supponendo che tali le condivida il dottor Franco Spinogatti (Franco come il mitico Basaglia – come si dice: un nome, un programma!...). Pensiamo e speriamo che siano dette parole d’auspicio, di conforto e di energizzante motivazione per tutti coloro i quali, come noi, ritengono antiquate e inappropiate le terapie meramente farmacologiche della (cosiddetta) “malattia mentale”, frutto com’esse sono di ’ragionamenti’ diagnostici e di supposizioni ’terapeutiche’ basati/e sui principi ormai sfranti del positivismo, da sostituire - secondo il nostro punto di vista - con le “strategie” della psicoterapia gestaltica e della psichiatria fenomenologica – ardenti argomenti di cui tratteremo, fra due settimane, sulle pagine di questo settimanale, durante una conversazione che il dott. Spinogatti si è impegnato a concederci (atto di stima di cui sentitamente lo ringraziamo).

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