Le sardine bagnate inondano Cremona


Ieri hanno riempito Piazza della Pace nonostante il meteo poco clemente. Musica e Costituzione protagoniste

FEDERICO PANI
È bastato un quarto d’ora a Piazza della Pace per riempirsi, nonostante la pioggia battente. In quei primi minuti, è stato difficile sottrarsi agli adesivi e alle sagome di cartone a forma di sardina. Poi, quasi impossibile guadagnarne una, in mezzo a una foresta di ombrelli. Come promesso, non ci sono stati discorsi programmatici: solo musica e la lettura, rotta dagli applausi, di articoli della Costituzione e della lettera mandata dagli organizzatori nazionali a Repubblica. Gli organizzatori locali, Alessandro Parmigia-ni, Elena Bodini e Stefano Carlino hanno detto di aver trovato una città disponibile, perfino generosa, parlando delle autorità e degli esercenti cre-monesi. Il movimento delle Sardine ha, da ieri, raggiunto anche Cremona. Ma da dove si è partiti? Quattro amici trentenni, un gruppo Facebook, le elezioni in Emilia Romagna: ecco la combinazione che ha generato il movimento. Il gruppo sui social si chiamava “6.000 sardine contro Salvini”, cifra della capienza del Paladozza a Bologna, dove Salvini avrebbe tenuto un comizio il 14 novembre. L’obiettivo di Mattia Santori, Andrea Garreffa, Roberto Morotti e Giulia Trappoloni era di riempire piazza Maggiore, il giorno stesso, con almeno una persona in più. A presentarsi sono stati 15mila. Mission accomplished, obbiettivo raggiunto. Ma perché fermarsi lì? E poi: perché sardine? “Volevamo dare un messaggio: staremo stretti come le sardine in scatola, perché saremo in tanti”. Oltre al fatto che si tratta, come tutti i pesci, di animali silenziosi, che si muovono in banchi, simbolo da contrapporre al dibattito politico urlante.
La protesta, nata per avversare Lucia Borgonzoni, la candidata di Salvini alle regionali, e sostenere l’uscente Stefano Bonaccini, ha travalicato subito i confini locali. Dopo il successo di Bologna, le Sardine hanno riempito molte piazze: Modena, Firenze, Sorrento, Torino, Milano, Roma, Palermo, Perugia, Piacenza, ma anche decine di centri più piccoli come Fiorenzuola e perfino città estere (ad Amsterdam hanno manifestato 400 persone). Dopo aver riempito le piazze, gli organizzatori hanno riempito la protesta di contenuti. Sei punti. I primi tre riguardano l’attività e la comunicazione politica: vanno ricondotte a sedi istituzionali. Il quarto riguarda l’informazione, che deve riprendere il suo ruolo di mediazione. Il quinto riguarda i toni verbalmente violenti, che non vanno solo messi al bando: vanno equiparati alle violenze fisiche. L’ultimo riguarda il decreto sicurezza, del tutto da rifare.
Il movimento è diventato anche un manifesto contro il populismo. Più che politico, fa notare Guido Vitiello sul Foglio, si tratta di un programma meta-politico, che si occupa cioè di rifondare le regole del gioco rifacendosi di fatto allo spirito costituzionale. Idee generiche? Forse, ma «non è nostro compito fare proposte specifiche» hanno detto i bolognesi (ed è questa una delle ragioni del successo). Di fare un partito, nemmeno per sogno. Sul punto, vale la pena di far parlare ancora loro: «La forma stessa di un partito sarebbe un oltraggio a ciò che è stato e che potrebbe essere. E non perché i partiti siano sbagliati, ma perché veniamo da una pentola e non è lì che vogliamo tornare. Chiedere che cornice dare a una rivolta è come mettere confini al mare. Puoi farlo, ma risulterai ridicolo. Noi ci chiediamo ogni giorno come fare, e ci sentiamo ridicoli, inadatti e impreparati... ma finalmente liberi».

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