Diamoci un taglio! E poi chi mi rappresenta?

Vanni Raineri

Come dovrebbe essere ormai noto ai più, domani e lunedì saremo chiamati a confermare o meno il taglio del numero di parlamentari. Un taglio di oltre un terzo, che porterà, nel caso vincesse il sì, i seggi al Senato da 315 a 200, alla Camera da 630 a 400. Complessivamente, si scenderebbe da 945 a 600: ben 345 seggi in meno.
Questo è il quarto referendum costituzionale della nostra storia, che dovrà confermare la legge di revisione costituzionale approvata in doppia lettura da entrambe le Camere a maggioranza assoluta. E’ necessaria la conferma dei cittadini in quanto, come prevede la Costituzione, un quinto dei senatori ha chiesto il referendum confermativo (che in caso contrario non sarebbe stato necessario).
La drastica riduzione dei parlamentari faceva parte del contratto di governo sottoscritto da M5S e Lega nel 2018, ed è stato confermato nel quadro dell’accordo, un anno dopo, tra M5S e Pd.
Resta sullo sfondo l’anomalia di un Parlamento che prima si schiera in modo pressoché unanime per il taglio, e a distanza di un anno vede le posizioni quasi ribaltate. Nelle seconde deliberazioni, la Camera ha infatti approvato la riforma con 553 voti favorevoli, 14 contrari e 2 astenuti. Al Senato è passata con 180 voti favorevoli e 50 contrari. Considerate le assenze, 180 non arriva ai due terzi che avrebbero in ogni caso evitato il referendum. La strada per il referendum era stata aperta dal Partito Radicale che aveva iniziato la raccolta firme, ma la soglia dei 500mila elettori era ben lungi dall’essere raggiunta. Inutile anche la ricerca di 5 consigli regionali, quindi l’unica strada si rivelava la raccolta di una settantina di senatori, riuscita grazie al contributo di senatori di diversi schieramenti.
Il referendum avrebbe dovuto tenersi lo scorso 29 marzo, ma la consultazione fu rinviata a causa dell’emergenza Coronavirus.
Ma come mai, ci si potrebbe lecitamente chiedere, prima i parlamentari votano in massa per il taglio e poi un numero rilevante di loro si dice contrario? Ha certamente contribuito il clima di sfiducia dei cittadini: solo qualche mese fa dirsi contrari al taglio significava porsi automaticamente a difesa della “casta”, mentre oggi prevale una discussione meno demagogica, basata più sui contenuti.
Difficile districarsi tra le dichiarazioni politiche, spesso condizionate dalla linea del partito. E così, se il M5S sembra in massa deciso a proseguire una delle sue battaglie più simboliche, nella Lega non pochi si sono smarcati dalla linea del sì, e ancor più ciò avviene per Fratelli d’Italia. Forza Italia invece si è schierata per il no.
Quanto al Pd, la linea del sì è dettata dall’accordo programmatico di governo, ma anche in questo caso sembra che la maggioranza interna sia decisamente per il no. Coerente la posizione della sinistra, che però è poco rappresentata in Parlamento, che ha sempre messo in discussione la bontà della riforma ed è la parte politica più attiva nella battaglia per il no.
Anche le conseguenze pratiche dell’esito del voto sul governo giallorosso stanno condizionando il referendum, ma può avere una logica compiere una scelta così importante per il futuro del nostro Paese sulla base di quanto condizionerà il governo attuale? In realtà con la riforma Renzi ciò avvenne, e pesò parecchio, anche se ciò si dovette a una mossa improvvida dell’ex sindaco di Firenze.

PERCHE' VOTARE SI'
E’ la terza volta che possiamo tagliare i parlamentari. Le prime due volte votammo no perché bocciammo la riforma complessiva, prima voluta dalla destra poi dalla sinistra. Stavolta si vota solo per il taglio. Quando ci ricapiterà?

Per un Parlamento più efficiente, senza troppi assenteisti, in linea coi numeri degli altri parlamenti europei.

Per un risparmio di circa cento milioni all’anno.

PERCHE' VOTARE NO
Per difendere il pluralismo mantenendo al centro il ruolo del Parlamento rispetto a quello del Governo, consentendo ai cittadini la necessaria partecipazione. Se si vuole risparmiare è meglio ridurre gli stipendi dei parlamentari.

Per non aumentare il potere delle segreterie di partito con un ceto che sarebbe sempre più di nominati.

Per non indebolire la rappresentatività dei territori.

COME SI VOTA
Le urne rimarranno aperte domenica 20 settembre dalle 7 alle 23 e lunedì 21 dalle 7 alle 15. Lo spoglio delle schede inizierà lunedì con quelle del referendum costituzionale.

Per le amministrative si procederà martedì 22 dalle ore 9, partendo dalle Regionali, e a seguire le Comunali.

Nei tre comuni cremonesi alla lista collegata al sindaco eletto spettano i due terzi dei seggi totali, mentre gli altri seggi verranno ripartiti proporzionalmente alle altre liste.

ELEZIONI AMMINISTRATIVE
Voto comunale a Corte de’ Frati, Persico Dosimo e Soncino
In concomitanza con l’importante voto referendario decine di milioni di italiani saranno chiamati anche ad esprimersi per la tornata amministrativa.
Si vota per eleggere i consiglieri di 7 regioni e di 1179 comuni italiani, tra i quali 3 capoluoghi regionali e altri 15 capoluoghi provinciali. Sicilia e Sardegna hanno invece deciso di far slittare ad ottobre il voto amministrativo.
In provincia di Cremona si vota solo per il rinnovo di tre amministrazioni comunali: Corte de’ Frati, Persico Dosimo e Soncino. Trattandosi di piccoli comuni con popolazione inferiore ai 15mila abitanti, qui non si andrà al ballottaggio (a parte il caso singolare di parità esatta di voti tra due liste).
Partiamo da casa nostra. A Corte de’ Frati non c’è lotta, in quanto si presenta solo l’esperto sindaco uscente Giuseppe Rossetti, 81 anni e un’esperienza amministrativa che supera il mezzo secolo. Qui l’unica incognita è data dal numero di votanti: va ricordato che serve il voto del 50% più uno degli aventi diritto perché l’elezione sia valida, pena l’arrivo di un commissario. A Soncino il sindaco uscente Gabriele Gallina, che 5 anni fa superò il 50% di un’incollatura (ma contro altri due candidati), affronta il nuovo avversario del centro-sinistra, cioè Daniela Cavalli.
Fece discutere un anno fa il caso di Persico Dosimo, dove a presentarsi fu una sola lista, ispirata al centrodestra: le polemiche nacquero dal fatto che il centrosinistra non si presentò ma invitò i cittadini all’astensione per invalidare il voto, cosa che riuscì di misura (votò il 47%). Oggi ci riprova Alessandro Galli (nel 2019 il candidato fu Zaffanella) ma trova sulla sua strada Giuseppe Bignardi in una battaglia elettorale che anche qui non appare scontata. Gli elettori potranno esprimere una sola preferenza sui consiglieri, tranne a Soncino, che supera i 5000 abitanti, dove quindi si potranno esprimere due preferenze, rispettando il criterio delle preferenze di genere.
Restando alle Comunali, in Lombardia sono chiamati al voto 84 comuni, dei quali 15 con oltre 15mila abitanti. Complessivamente le elezioni riguardano 818mila residenti, dei quali 670mila aventi diritto al voto. I comuni più importanti sono Mantova e Lecco, il più piccolo è Spriana, in provincia di Sondrio, che ha solo 101 abitanti.
Venendo alle Regioni, si tratta di un test importante anche per la tenuta del governo, col centrodestra che si ripromette di aumentare il numero di regioni amministrate ribaltando la situazione in regioni da sempre ostiche, quali Puglia, Marche e soprattutto Toscana. Oltre a queste, il centrosinistra amministra oggi anche la Campania, mentre il centrodestra cerca la conferma in Liguria e in Veneto. Caso a parte la Val d’Aosta, per la presenza massiccia dell’Union Valdotaine e l’anomalia del sistema proporzionale. Ovviamente a incidere sull’esito del voto è anche la popolarità dei presidenti uscenti: ad esempio la sinistra punta sulla conferma di Emiliano in Puglia e De Luca in Campania, che godono di un discreto consenso interno.
Stando ai più recenti sondaggi, Veneto e Liguria dovrebbero vedere la conferma del centrodestra, dato in sensibile vantaggio anche nelle Marche, mentre la Campania dovrebbe rimanere al centrosinistra. Scontro aperto in Toscana e in Puglia.

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