«Proietti, l’ultimo grande attore italiano completo»

 L’INTERVISTA • Matteo Vacca, suo allievo, ricorda il mattatore del palcoscenico recentemente scomparso

FEDERICO PANI
Nell’ultima settimana, nel giro di appena due giorni, il mondo dello spettacolo ha subìto un doppio lutto. Il primo, la morte di Sean Connery, ha colpito certamente anche molti italiani, che da sempre lo vedevano come uno 007 d’impareggiabile eleganza.
L’altro lutto, invece, è stato vissuto in modo diverso, più intimo. Gigi Proietti era conosciuto praticamente da tutti, in Italia. E praticamente a tutti ispirava un’irresistibile simpatia. Come ce l’aveva fatta a conquistare così tanti cuori? Lo abbiamo chiesto a Matteo Vacca, attore, regista e allievo di Gigi Proietti.
«Proietti ha avuto una grande carriera: dalla canzone, al teatro, al cinema. Ma la realtà è che era riuscito a diventare, per noi, come qualcuno di casa. Ne parlavo i giorni scorsi con le sue figlie e ci sorprendevamo nel ricordare come continuasse a riempire i teatri e gli stadi con i suoi arcinoti “cavalli di battaglia” (nome del programma che andò poi in onda su Rai 1). Erano pezzi che conoscevano tutti, molti perfino a memoria. E’ stato, insomma, come se morisse un papà, un fratello, uno zio».
Chi è stato per lei Gigi Proietti, umanamente e professionalmente?
«Ho iniziato la carriera teatrale da ragazzo, quasi per scherzo, rifacendo proprio alcuni pezzi di Proietti. Avevo assistito allo spettacolo “A me gli occhi, please”, che avevo avuto anche la fortuna di registrare in tv. Il mio debutto sul palco lo feci interpretando lo sketch “Il vecchietto delle favole”. Mai mi sarei aspettato che, dieci anni dopo, sarebbe stato proprio lui a dirigermi in ben due spettacoli. A livello umano, superata l’emozione di conoscere il proprio mito, mi fece impressione scoprire una così bella umanità: era solare, allegro e divertente. Ricordo tante cene insieme, tanti aneddoti meravigliosi, molte visite a casa sua. Essere diretti da lui, per me, ha significato tantissimo: ho imparato più in quei mesi che nei dieci anni prima. Del resto, moltissimi di quelli che sono passati dal suo laboratorio creativo hanno intrapreso poi una solida carriera professionale».
Un bell’episodio insieme?
«Subito dopo una replica del suo spettacolo “Parole, parole, parole” (nel quale Matteo Vacca recitava insieme alla figlia di Proietti, Carlotta, ndr), avrebbe dovuto rilasciare un’intervista sul suo ultimo libro, “Decamerino”. Finito lo spettacolo, davanti alle telecamere, decise di portare in scena alcuni suoi pezzi. Fece “Il vecchietto delle favole”. E indovinate chi lo aiutò a indossare l’abito di scena? Fu un’emozione che non dimenticherò mai. Ad ogni modo, io sono stato solo uno dei tantissimi fortunati ad aver incontrato l’immensa generosità di Gigi Proietti. Per dire: tra quello che ci lascia, c’è senza dubbio il Globe Theatre di Roma a Villa Borghese. Ecco, proprio lì fece esordire schiere di compagnie giovanili, anche alle prime armi».
Cosa resterà di Gigi Proietti?
«E’ stato l’ultimo grande attore italiano davvero completo. Se ci si pensa, ci sono tic e modi di dire comuni a tutti quanti, che arrivano proprio da suoi pezzi. Insomma, qui si va oltre la bravura. Siamo a qualcosa che solo personaggi come Alberto Sordi e Petrolini hanno saputo incarnare. E poi, c’è il romanesco, che non è il romanaccio, ma poesia: è Rugantino, Belli, Trilussa, Ciceruacchio. Anche facendo cose più commerciali, meno auliche, Proietti non era mai né volgare, né sguaiato. Vi cito due pezzi di bravura. Uno è lo sketch dell’idraulico: la semplicità apparente (ripete semplicemente la battuta “l’idarulico!”) rivela una gamma espressiva unica. L’altro è lo spettacolo dove interpretò Edmund Kean, eroe del periodo scespiriano, simulandone l’ubriachezza in scena: due ore e venti di spettacolo, rette da solo. Proporre forme di teatro apparentemente popolare e leggero, per lui, non voleva dire fare un teatro di serie B. In fondo, è stato il fondatore dell’one-man-show come lo conosciamo oggi e che, giustamente, molti hanno copiato. I suoi spettacoli sono una contaminazione di generi che ne testimoniano la versatilità: barzellette, canzoni, poesie, pezzi comici, virtuosismi verbali; tutto ciò, accompagnato dalla capacità di saldare i pezzi tra loro, come se fosse tutto un grande racconto. Dietro tutto questo, mi ricordo, c’era un grande lavoro: lo vidi personalmente impegnato a sistemare ogni singolo “raccordino”, cioè i passaggi da un pezzo all’altro. Non dimentichiamoci, poi, del suo lavoro di doppiaggio. Quello fatto sul Genio della lampada del colossal Disney “Alladin” (1992) resta un lavoro straordinario, unico. Non a caso la voce, nell’originale, era quella di Robin Williams. Ecco, il livello era quello. Dispiace che Gigi Proietti se ne sia andato proprio in un momento come questo, nel quale i teatri sono chiusi e chissà quando riapriranno. Mi piace pensare, però, che alla fine, si sia detto: “Sapete che ve dico? Allora me ne vado pure io».

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