CORONAVIRUS • La psicoterapeuta Jessica Saleri: «Fondamentale distinguere l’essenziale dal superfluo: un’altra lezione del virus»
Benedetta FornasariStanchezza, demotivazione, tristezza, insofferenza verso le misure di prevenzione e il continuo richiamo ad adottare comportamenti responsabili a tutela della salute pubblica. Si chiama pandemic fatigue (fatica da pandemia) ed è quella che gli esperti definiscono “reazione psicofisica prolungata allo stress duraturo causato dal Covid-19” e dalle ondate che contraddistinguono l’emergenza sanitaria ancora in corso. Un disagio molto più comune e diffuso di quanto si possa immaginare tanto che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ne soffre circa il 60% degli europei. Tra i sintomi anche lo sviluppo di meccanismi di autodifesa, che sfociano nella sensazione di privazione della libertà personale e nella negazione dell’esistenza del virus. Abbiamo chiesto alla dottoressa Jessica Saleri, psicologa clinica e psicoterapeuta psicoanalitica per adulti, di spiegarci come riconoscere e come gestire la fatica da pandemia.
Quali sono gli effetti sul benessere e sulla salute mentale delle persone dopo undici mesi di Covid-19?
«C’è una pandemia psicologica, accanto a quella del Coronavirus, che impatta sulla vita quotidiana, sulla salute e sulla società. Il continuo stress a cui siamo sottoposti da tempo, unito alla incertezza sulla fine dell’emergenza, minano ogni giorno la nostra sicurezza personale e le nostre risorse. Ci si trova a metà tra la paura, sentimento che proviamo quando il pericolo è noto, e l’ansia, che caratterizza il nostro stato d’animo quando siamo in allarme per qualcosa di sconosciuto. Quando l’ansia supera una certa soglia subentra l’angoscia della perdita, della separazione, dell’isolamento e il passaggio successivo è il panico con la disorganizzazione della mente.
Altre manifestazioni in aumento durante l’emergenza Covid-19 sono i continui pensieri negativi, le sensazioni di impotenza e frustrazione, uniti a sensi di colpa, e la depressione, soprattutto in questa seconda ondata durante la quale è aumentata quasi del 40%, e poi disturbi del sonno, rabbia (auto ed etero diretta) e casi di violenza all’interno delle famiglie.
Abbiamo attraversato tre diverse fasi. La prima, quella del blocco nazionale primaverile, è stata caratterizzata da un forte disagio collettivo. Tutto è avvenuto in modo troppo veloce e la mente non ha avuto il tempo per elaborare quanto stava accadendo. È stato un evento traumatico, prima personale e poi collettivo, di cui abbiamo iniziato a prendere consapevolezza nei mesi tra marzo e giugno, preoccupandoci non solo di noi stessi ma anche degli altri. Con l’arrivo dell’estate siamo entrati in un breve periodo caratterizzato dalla speranza. Un momento però fugace: il virus sembrava aver perso forza e i contagi erano in diminuzione. Ora, invece, ci troviamo a vivere una maggiore depressività: la nuova ondata emotiva è caratterizzata dall’aspetto temporale. Quanto durerà ancora? Quando finirà? La seconda fase ha generato degli effetti di smembramento, provocando l’angoscia del “trauma della recidiva”, ovvero del suo riproporsi, ed è psicologicamente più devastante della prima. È dunque fondamentale chiedere aiuto, rivolgersi ai professionisti del settore per evitare di lasciarsi andare. È importante, per esempio, darsi degli obiettivi a brevissimo termine, e concedersi delle gratificazioni che possano compensare i sacrifici richiesti durante questo lungo periodo».
Una vita online, sempre connessi. Quali sono le conseguenze psicologiche?
«Viviamo perennemente online, eppure ci sentiamo sempre più soli. Siamo sempre più isolati e la solitudine è una delle conseguenze più gravi di questa pandemia. L’emergenza sanitaria ha imposto l’utilizzo di applicazioni per videochiamate da usare per svolgere qualsiasi attività: lavorativa, scolastica e relazionale (i contatti con gli amici e i parenti), privando tutti noi di ogni forma di presenza e di contatto fisico, stravolgendo i rapporti umani e le relazioni con l’altro. Se già prima della pandemia l’essere sempre connessi con smartphone e computer creava danni all’autenticità delle relazioni, e al mantenimento della distinzione tra reale e virtuale, adesso il problema è amplificato perché la tecnologia viene ritenuta essenziale. Credo sia fondamentale continuare a distinguere l’essenziale dal superfluo. Questa è un’altra lezione del virus, che sarebbe bene non dimenticare troppo presto. Non va quindi trascurata l’importanza della sfera affettiva. In questi mesi così faticosi le famiglie sono state il luogo della resistenza civile al Coronavirus. Hanno vicariato l’assenza della scuola, hanno sopportato l’angoscia dei figli, hanno mantenuto aperta la speranza, hanno sopportato materialmente condizioni di vita molto spesso difficili. Il dibattito e le polemiche delle ultime settimane, in merito alle ipotesi di inasprimento delle restrizioni durante le festività natalizie, hanno gettato nelle persone ulteriore sconforto, rabbia e tristezza, in un momento storico in cui il bisogno di vivere i propri legami “in presenza” è percepito come fondamentale per andare avanti».
Commenti
Posta un commento