I politici parlano alla pancia ma oggi la pancia è vuota

 POLITICA • Intervista al senatore Walter Montini sulla crisi del Governo Conte: «Il premier deve saper dialogare»

Il tempo stringe e il Governo di Giuseppe Conte, che nel frattempo prosegue il pressing sui cosiddetti responsabili per allargare la coalizione, è atteso al banco di prova del prossimo 27 gennaio, quando in aula si voterà la relazione del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.
Abbiamo chiesto il parere autorevole di Walter Montini, già senatore della Prima Repubblica e democristiano, fine conoscitore dei meccanismi politici e delle problematiche istituzionali e sociali che da decenni caratterizzano l’Italia.
Dopo il fallimento dell’alleanza Lega-Movimento 5 Stelle, abbiamo visto naufragare anche il governo Pd-M5S e Italia Viva. In che misura ne è responsabile il Premier Conte?
«In Italia abbiamo un Presidente del Consiglio sprezzante, incapace di dialogare con le forze politiche, che non è aperto alla ricerca di una collaborazione con la compagine di Italia Viva nel tentativo di ricucire lo strappo e di sanare la crisi politica. Matteo Renzi ha sbagliato modalità e tempistiche però ha posto l’attenzione su tematiche giuste, per questo motivo il capo dell’Esecutivo dovrebbe superare il torto subìto, andare avanti, cercare di recuperare e di ricostruire un rapporto di alleanza che peraltro gli garantirebbe i voti necessari per governare tranquillamente. Un contesto totalmente diverso rispetto agli Stati Uniti, ma che fa emergere una sostanziale differenza di atteggiamento da parte di chi ha la responsabilità di governo. Joe Biden è diventato Presidente in un clima lacerato, in una situazione democratica sospesa e proprio per questo durante il discorso di insediamento ha citato circa trenta volte la parola unità. Un impegno talmente forte e convincente da essere stato accolto da diciotto parlamentari repubblicani, che si sono dichiarati disponibili a collaborare».
La caccia ai “costruttori” è stata bollata dal centrodestra come una compravendita di senatori, una manovra da Prima Repubblica. Cosa ne pensa?
«È innegabile il mercimonio di senatori che è andato in scena negli ultimi giorni. Le promesse e le offerte sono lecite in ambito politico, ma non in questi termini. Il vecchio trasformismo oggi viene definito un atto di responsabilità e i voltagabbana sono diventati costruttori e volenterosi. Nella storia della nostra Repubblica abbiamo già assistito alla ricerca di un consenso forzato ma pensavo che, nel 2021, questo modo di agire fosse ormai superato. Anche il capo dello Stato Sergio Mattarella ha fatto capire che il Governo non può sopravvivere con voti raggranellati all’ultimo minuto. Per proseguire occorre quindi che si costituisca un gruppo di almeno dieci senatori per garantire una solida maggioranza».
Quali sono i possibili scenari dopo la crisi del governo?
«Vedo soltanto due possibilità: un governo Conte-ter con un rimpasto inevitabile (tanto più che a breve occorre sostituire due ministri e un sottosegretario), che consentirebbe di andare avanti fino alla elezione del Presidente della Repubblica nel gennaio 2022 o addirittura fino al 2023 ovvero al termine della legislatura. L’altra opzione è quella delle elezioni da svolgersi contestualmente alle elezioni amministrative previste nei mesi maggio-giugno e comunque prima del semestre bianco (gli ultimi sei mesi del mandato del Presidente della Repubblica Italiana), che fissa per l’inizio di agosto il termine ultimo per lo scioglimento delle Camere».
È favorevole o contrario all’ipotesi delle elezioni anticipate?
«Negli ultimi due anni Giuseppe Conte ha governato praticamente con tutto l’arco costituzionale e ormai la sensazione è che non voglia rinunciare alla poltrona. È un dato di fatto però che, ad oggi, la maggioranza non c’è più, perché non si può governare con i voti di 156 senatori e perché mancano i numeri per approvare i provvedimenti nelle commissioni del Senato. Una maggioranza giustamente definita “raccogliticcia”, nel senso che raccoglie di volta in volta i voti che servono ma che vive con il fiato sospeso, limitatamente alla gestione del quotidiano. Se manca l’appoggio del Parlamento serve un momento di chiarezza e dunque le elezioni.  Che cosa ci vieta di recarci alle urne? Si vota, per esempio, sia in Francia sia in Germania e anche in circa 1300 comuni italiani. Non c’è interesse però da parte dei politici a spingere per il voto anticipato perché con il Referendum di approvazione del taglio dei parlamentari la loro rappresentanza si ridurrebbe drasticamente e quindi hanno convenienza nel difendere con i denti la situazione attuale per non perdere il posto».
Non le sembra che gli italiani vivano sempre più la politica da tifosi, come in una partita di calcio, e giocoforza i politici parlino più alla pancia del Paese che alla testa?
«È così. Un discorso però è parlare alla pancia “piena”, un altro alla pancia “vuota” degli italiani. Per il nostro Paese i prossimi mesi saranno tragici: bisognerà affrontare una questione sociale esplosiva e i tempi saranno davvero difficili. Ecco perché risulta prioritario giungere quanto prima a una soluzione. La vera politica è fatica, studio, approfondimento, lungimiranza e capacità di programmare il futuro. Manca totalmente la “cultura politica” quell’alto e nobile servizio alla società, espresso dai partiti che hanno una identità e una storia, attraverso un confronto che può essere anche aspro ma aperto al dibattito costruttivo, seppure con visioni divergenti. Non possiamo aspettarci stabilità dai movimenti delle piazze, da gruppi nati in dissenso a tutto. I partiti politici sono ben altra cosa, sono una parte strutturata della società. Questo è uno dei grandi deficit culturali del nostro Paese».
Mastella, Calenda e anche gli esponenti dell’Udc auspicano un nuovo progetto politico di centro. Quanto potrebbe giovare all’Italia una nuova stagione centrista?
«Il popolo italiano è moderato. In termini politici è appunto centrista ma ciò non deve essere un alibi per i cambi di casacca. Il Centro oggi deve essere nuovamente rifondato e strutturato affinché possa tornare a essere quel luogo fisico-politico in cui collocarsi stabilmente. Assistiamo a diversi tentativi di costruzione di un’area moderata che raccoglie consensi da tutte le parti ma è un’operazione che a mio avviso richiederà un ventennio e deve essere condotta in modo intelligente e pensata come contenitore di diverse espressioni e sensibilità basata sulla imprescindibile capacità di un colloquio serio tra le forze politiche, accompagnato da un sistema elettorale maggioritario o da un proporzionale che definisco “corretto” per una adeguata rappresentanza». 

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