Ristori per 29 miliardi, ma buco di 423

 ECONOMIA • La ricerca è della Cgia di Mestre. La verità non detta derivante dall’evasione fiscale

Da una parte la scienza, rappresentata da virologi e immunologi che chiedono di non abbassare la guardia. Fosse per loro, la soluzione ideale sarebbe un lockdown completo che possa abbattere il numero di contagi. Dall’altra l’economia, rappresentata da imprenditori, artigiani ed esercenti che hanno opposte necessità: l’ideale per loro sarebbe consentire le aperture sia pure con attenzione ai protocolli sanitari. In mezzo? In mezzo c’è la politica, che ha il compito davvero ostico di trovare un equilibrio tra le due esigenze: non morire di virus e non morire di fame.
Ovvio che di ristori non si può sopravvivere a lungo, e per un Paese come il nostro già fortemente indebitato la crisi sta provocando un aggravio sensibile delle spese, e quindi di debiti che tramandiamo alle già oberate prossime generazioni.
Le proteste sulla quantità di ristori e sulle modalità di erogazione sono in crescendo, e ad alimentarle c’è anche una ricerca fatta dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, che ha calcolato come gli aiuti diretti erogati fino ad ora dal Governo alle attività economiche coinvolte dalla crisi pandemica siano di 29 miliardi di euro. Una somma rilevante, ma del tutto insufficiente a porre rimedio ad una perdita di fatturato delle imprese italiane che per il 2020 è stato stimato in 423 miliardi di euro. In pratica, il Governo ha coperto solo il 7% delle perdite. Ora la speranza è per i nuovi ristori in arrivo, ma il malessere come detto è in aumento, soprattutto per i piccoli imprenditori. Tutto ciò nel quadro di un 2020 che ha visto un boom del fatturato dei cosiddetti big digitali, aumentato nel primo semestre del 17%.
Sono pochi coloro che mettono in discussione la necessità di limitare gli spostamenti per tenere sotto controllo il virus, ma la chiusura forzata, se non adeguatamente calmierata con aiuti economici, rischia di provocare non poche chiusure. E per chi ha investito tutto il proprio tempo e le proprie risorse in una attività, si tratta di uno scenario davvero drammatico.
Questo 7% non riguarda tutti: ha avuto un sostegno superiore chi si è trovato in grandissima difficoltà, dovendo abbassare la saracinesca o comunque registrare un calo notevole di fatturato.
E qui va anche sottolineato un aspetto che spesso non si considera. E’ risaputo, senza mettere in croce nessuna categoria, che il fatturato denunciato non sempre corrisponde all’introito vero, ed i ristori, giustamente, sono erogati sulla base di quanto denunciato regolarmente. Per fare un esempio: se un’attività ha incassato nel 2019 100 ma denunciato 50, un ristoro di 25 corrisponde sulla carta a metà del fatturato saltato, ma nella realtà è solo un quarto. In questo caso l’imprenditore non può certo lamentare il dato reale (sarebbe un’autodenuncia), ma resta il fatto che quei conti che gli permettevano di portare avanti l’attività rischiano di saltare. Si può sostenere che sia una giusta punizione nei confronti di chi barava, sta di fatto che in gioco c’è spesso l’unica fonte familiare di reddito.
Anche i ristoranti faticano a rimediare alla chiusura del servizio ai tavoli con l’asporto e il delivery: un conto è preparare un piatto, un altro metterne il contenuto in una vaschetta di alluminio. Meglio va alle pizzerie, abituate al take away, e ancor più ai negozi di gastronomia, alcuni dei quali hanno fatto registrare con la pandemia grossi incrementi di vendite.
Una richiesta degli operatori è quella di passare dal ristoro al rimborso, considerato che chiudere un’attività non significa solo non incassare, ma continuare a pagare bollette, affitti e spese varie, oltre a quelle beffarde sostenute per regolarizzare il locale con le norme anti-Covid per poi richiudere dopo averlo fatto.
Anche l’Istat ha fotografato la situazione: sono quasi 300mila le attività in crisi profonda, che occupano poco meno di 2 milioni di persone e sono a serio rischio chiusura. I settori produttivi più coinvolti sono il tessile, l’abbigliamento, la stampa, i mobili e l’edilizia. Nel settore dei servizi, invece, spiccano le difficoltà della ristorazione, degli alloggi, del commercio dell’auto e altri comparti come il commercio al dettaglio, il noleggio, i viaggi, il gioco e lo sport.

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