AMBIENTE • Sogin ha reso noto l’elenco delle aree idonee ad ospitare il deposito unico nazionale
VANNI RAINERI
Dell’individuazione del deposito unico nazionale di rifiuti radioattivi, provenienti dalle centrali nucleari dismesse e non solo, ci siamo occupati su queste pagine in più occasioni. Finalmente in settimana Sogin, soggetto responsabile dell’individuazione del sito in base al Decreto legislativo approvato 11 anni fa, ha finalmente pubblicato l’attesissimo elenco dei luoghi ritenuti idonei ad ospitare il deposito, unitamente al cosiddetto parco tecnologico, che al contrario di quanto possa far pensare il nome non è una sorta di Disneyland 4.0 bensì un “centro di ricerca sullo smantellamento delle installazioni nucleari e sulla gestione dei rifiuti radioattivi”.
L’enorme tempo trascorso non è dovuto tanto alle difficoltà di individuazione quanto a problemi di tipo politico. Le prime sono state affrontate valutando i criteri di integrità e sicurezza nel tempo sulla base delle caratteristiche geologiche, ma il vero nodo è superare le perplessità dell’opinione pubblica. Tutti abbiamo ancora nella mente le grandi proteste avvenute a Scanzano Jonico nel lontano 2003 quando il Consiglio dei ministri designò la località lucana come idonea ad ospitare il deposito unico nazionale: proteste e movimenti popolari che portarono alla cancellazione del nome di Scanzano dal decreto. Da allora è apparso ben chiaro che imporre una scelta del genere dall’alto sarebbe stato pressoché impossibile: “ovunque ma non da me” è il classico mantra in presenza del quale è impossibile prendere alcuna decisione importante. Anche il pur considerevole “compenso economico” (e di posti di lavoro) non sembra convincere i territori che via via sono stati “candidati” ad ospitare il sito.
Martedì dunque Sogin ha reso noto finalmente l’elenco dei siti papabili. Diciamo subito che né Caorso né alcuna area nelle regioni Lombardia ed Emilia Romagna sono indicate. In elenco sono ben 67 aree, alcune delle quali sovracomunali. Le uniche al nord (8) sono tutte in Piemonte, tra le province di Torino e Alessandria. Quindi 2 in Toscana, 22 nel Lazio (tutte in provincia di Viterbo), 14 in Sardegna, 4 in Sicilia, 17 tra Puglia e Basilicata. Ci sono anche Montalto di Castro, dove fu realizzata una delle centrali nucleari chiuse in fretta dopo il referendum, e Montalbano Jonico, che confina con Scanzano. Ci sono anche località a prima vista improbabili, come Pienza nel Senese, straordinaria città d’arte Patrimonio Unesco visitata da frotte di turisti.
Ovviamente, appena apparso l’elenco, è stata una raffica di dichiarazioni da parte di presidenti di regione, di provincia e sindaci contro l’ipotesi che li coinvolge. Lo stesso ministro Roberto Speranza, lucano, ha detto subito che la Basilicata non è idonea ad ospitare il deposito unico.
Ma il rischio è che le polemiche sullo sfondo facciano dimenticare il nocciolo della questione. Come spiega l’esperto Marco Pezzoni: «Si glissa sulla questione principale, vale a dire che ogni paese europeo è obbligato a individuare il sito, il cui costo è altissimo, e coinvolge il decommissioning (lo smantellamento dell’impianto nucleare, ndr). Un altro punto cruciale che viene taciuto è che il deposito unico è destinato ad ospitare scorie di media e bassa attività, perché in realtà il deposito di alta radioattività non riescono a farlo in nessuna parte del pianeta. Anche quello un giorno sarà obbligatorio (forse uno solo per l’intera Europa), ma intanto il problema sono le scorie radioattive riprocessate: le barre di uranio stanno già tornando verso il nostro paese».
Perché non se ne parla? «Perché per ora il deposito permanente è fallito ovunque, e temo che una volta individuato il deposito permanente sarà automatico portare in quel luogo anche le scorie più pericolose, per le quali non a caso Sogin parla di deposito temporaneo, che è cosa diversa. Quando non si saprà dove portare le barre di uranio di ritorno, cosa si farà?».
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