Spiagge, ma la concorrenza dov’è?

ECONOMIA • L’Italia si ostina a ignorare la direttiva Bolkestein prorogando la gestione degli stabilimenti balneari

vanni raineri
C’è una questione che ci pone contro le regole imposte da Bruxelles, e che ci vede da tempo inadempienti. Si tratta della cosiddetta Direttiva Bolkestein, che prende il nome dall’ex Commissario olandese per la Concorrenza e il Mercato Interno, ai tempi di Prodi. La direttiva mira a garantire il rispetto della libera circolazione dei servizi e l’abbattimento di barriere tra Paesi. Detta così potrebbe mettere tutti d’accordo, ma se si entra nel dettaglio emergono i problemi, anche perché si prevedono bandi per il rinnovo delle varie licenze che nel nostro Paese solitamente vengono prorogate di continuo. Già in passato si sono ribellati gli ambulanti, e i tassisti, che ovviamente non vogliono partecipare a gare per rinnovare licenze che erano abituati a pagare molto care (e che quindi non potrebbero rivendere) perché di fatto a numero chiuso.
Negli ultimi tempi a far discutere è soprattutto la gestione degli stabilimenti balneari italiani. Matteo Salvini nel suo recente intervento in Parlamento a sostegno del premier Draghi, ha difeso “l’interesse nazionale italiano, le spiagge italiane” contro la Direttiva Bolkestein, emblema di quell’Europa da correggere.
La direttiva punta a snellire le pratiche burocratiche per esercitare le varie attività evitando le discriminazioni basate sulla nazionalità, ma ciò comporta che le concessioni demaniali che consentono ai gestori dei bagni di rinnovare sistematicamente i loro diritti (a cifre irrisorie rispetto al fatturato), anche di generazione in generazione, siano messe in discussione. In pratica lo Stato dovrebbe appaltare per un numero limitato di anni le varie concessioni al miglior offerente.
Va detto che la situazione italiana è molto diversa rispetto agli altri Paesi europei, dove la presenza di stabilimenti balneari copre una minima parte delle coste, mentre in Italia gran parte delle spiagge sono ad accesso riservato. Inoltre il nostro settore turistico rappresenta il 15% del Pil e dell’occupazione totale. Appaltare questo servizio potrebbe significare abbandonare la gestione della piccola e media imprenditoria a favore di grossi gruppi, magari stranieri.
Spesso i 30mila concessionari storici, con i 300mila lavoratori del settore, hanno manifestato contro l’adozione della direttiva, che metterebbe a repentaglio la tutela storico-paesaggistica da parte di grandi investitori. Lo Stato sin qui li ha sempre difesi, anche a costo di ripetute procedure d’infrazione, e di sanzioni minacciate dalla Corte di Giustizia Europea. Anzi, un anno fa le concessioni vigenti sono state prorogate addirittura fino al 2035.
Ma cosa avviene negli altri Paesi? La Francia già nel 2006 ha stabilito che entro il 2020 lo Stato sarebbe dovuto rientrare in possesso dell’80% delle spiagge naturali e del 50% di quelle artificiali, e in effetti è quel che è avvenuto, anche a fronte di proteste. In Spagna la Direttiva Bolkestein di fatto non è ancora stata adottata.
La questione è aperta. Questa settimana il commissario al Mercato Interno, Thierry Breton, ha ricordato che le norme italiane violano il diritto Ue e compromettono la certezza del diritto per i servizi turistici balneari.
A favore del mantenimento dello status quo ci sono la continuità nella gestione da parte di chi da sempre è impegnato in quel territorio, il riconoscimento di tanti lavori di miglioria fatti dai vecchi gestori che andrebbero a favorire i nuovi, la conservazione delle licenze da parte degli italiani in un momento di grave crisi dovuta alla pandemia.
A favore della adozione della Direttiva Bolkestein ci sono una spinta innovativa che arriverebbe dal mercato aperto, un introito decisamente maggiore di risorse verso lo Stato, un rispetto verso i clienti che sempre caratterizza i mercati concorrenziali, e pure la fine di una discriminazione che nell’ambito dell’Unione Europea sarebbe da superare.
Una soluzione potrebbe essere quella di considerare le migliorie realizzate all’interno delle aree concesse (i bagni) scalandole dall’offerta per il rinnovo. In ogni caso non può essere il continuo ricorso a rinnovi automatici a condizioni sfavorevolissime per le casse pubbliche con cancellazione della concorrenza. E con le riforme necessarie per accedere al Next Generation UE alle porte, non è il caso di insistere con le procedure d’infrazione.
Noi italiani siamo abituati a pagare per occupare una porzione di spiaggia, ma resta vero che i proprietari di quell’area, che è e resta demaniale, siamo noi.

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