Ceriello, un mercante di sogni da riscoprire

 GRANDI DIMENTICATI • Non fu solo autore di antologie legate ai grandi autori, ma firmò un grande romanzo sepolto dall’oblio

Alessandro Zontini

Tra i tanti insigni intellettuali appartenuti a quel fecondo momento di studi classici compreso tra gli anni ’20 e la fine degli anni ‘50, Gustavo Rodolfo Ceriello è ricordato per alcuni preziosi testi: un’antologia, annotata, dedicata a Galileo Galilei (Messina, Edizioni Principato 1924), un pregevole “Saggi di varia letteratura” (Milano, Casa editrice Ceschina, 1943), un’altra antologia di opere scelte di Ugo Foscolo (Milano, Carlo Signorelli editore, 1957) di cui l’autore curò note e commento ed altri volumi ancora. Ma di Gustavo Rodolfo Ceriello, autore in prosa, pare quasi essersi perso qualsiasi ricordo. Per la “Casa Editrice Adriatica” l’autore diede alle stampe, nel 1933 (per errore, sulla copertina, è riportata la data “MCMXXIII”), un romanzo di grande bellezza: “Il mercante dei sogni”, un disperato monologo interiore che esalta l’individuo ed i suoi sentimenti ed emozioni. L’opera parrebbe essere, almeno in parte, autobiografica; il dubitativo è obbligatorio poiché dell’autore sono avarissimi i cenni biografici. Di questo romanzo sono note solo quattro copie (nelle biblioteche di Firenze, Milano, Monza e Pesaro) ed imbattersi in un esemplare è davvero un’impresa; probabilmente, all’epoca, non venne adeguatamente valorizzato e le vendite furono assai scarse. Ceriello, conscio del valore della sua opera, cercò di riproporla: ne esiste, infatti, una successiva versione, con titolo lievemente ampliato: “Paolo Del Gaudio mercante di sogni” (Milano, Elettra, 1935) ma del tutto irreperibile. Fu un altro insuccesso? Le pochissime copie note in circolazione avvalorerebbero tale tesi. Eppure si tratta di un capolavoro. “Il mercante dei sogni”, sempre caratterizzato dalla presenza “fissa” della morte e dall’amore, alterna momenti di delicata sintesi poetica e lirica a passaggi densi di paura, angoscia, disperazione, dubbio, odio, e appare più come una discesa in uno spaventoso abisso di introspezione psicologica e di ricerca di una sfuggente felicità, che un semplice romanzo autobiografico. Le descrizioni di alcune scene sono, a tratti, intollerabili per capacità drammaticamente evocativa e per “crudezza” descrittiva. Già l’incipit del romanzo è rivelatore di un pessimismo di fondo: “Il romanzo di Paolo del Gaudio (il protagonista, n.d.a.) ha principio là dove un autore provetto chiuderebbe, con un matrimonio o con una tragedia, la satira patetica e crudele del suo eroe”, una dichiarazione di quella disillusione che permea tutto il libro. Le pagine, spesso, indugiano su descrizioni pittoriche e sognanti, quasi a voler addolcire la crudezza dei “momenti” più tragici: “I sentimenti furono romanticherie, ricordi di scuola, petrarcheschi e foscoliani, nei primi tempi; poi divennero adattamenti di maniera, fiorendo però in modo strano e inverosimile, specialmente quando i tepori primaverili riscaldavano il sangue e i canti selvaggi delle tempeste marine riempivano il cielo autunnale della loro musica”. Tali descrizioni fungono da lungo preambolo al primo grave fatto che irrompe nella vita del protagonista: “la Grande Guerra”. Il protagonista è chiamato a partecipare al conflitto e vede, gradualmente, acuirsi il senso di disperazione, di dolore, di paura, di angoscia: “Lo colse la guerra mondiale, in tale ascensione della carne verso la distruzione (omissis) … non riusciva ancora a valutare chiaramente quali privazioni, angosce, viltà, terrori e sacrifizi nascondesse nelle branche spietate, la piovra purificatrice dell’umanità”. Viene così ripreso il concetto marinettiano di “Guerra sola igiene del mondo”, ma sfrondato dell’impeto eroico ed estetico del padre dei Futurismo, ristagnando solo un profondo dolore psicologico. Le descrizioni abbondano di dettagli “crudi” e spaventosi (“Tombe solitarie rozze e rovine e sangue e indumenti fradici ovunque: rottami di proietti, fosse, giubbe, teli da tenda, paletti, borracce, gavette, marmitte, pane ammuffito, pozzanghere di vino, acido e fetore, in una innumerevole costellazione di escrementi e di luccicanti scatolette vuote di carne in conserva”; “E poi un’onda disordinata di profughi; carri zeppi di masserizie, bestiame macilento, bimbi mocciosi, madri doloranti e vergini baldanzose, le cui pupille lanciavano sguardi di simpatia, come se volessero donarsi generosamente a quei poveri morenti, che andavano a battersi per loro, nelle loro case abbandonate”) e il ricorso a figure retoriche è ricercato e frequente: similitudini, allegorie e la severa personificazione di un celebre monte, teatro di cruente battaglie: “Il S. Michele ardeva, non era sazio di sangue: tre primavere voleva il mostro spietato!”. L’autore consegna anche momenti più delicati, alternati alle pagine dense di angosce e di paure: “Una villa signorile, flirt e musica: Debussy e Madame Butterfly. Lunghe passeggiate notturne con qualche velo di ricordi sugli occhi, mentre i ranocchi assordavano l’aria tiepida e profumata di fieno verdeggiante, e nel silenzio, di quando in quando, i rosignoli pregavano con dolci ricami e velari di note, accordandosi al fioco ritmo dei canali popolati di stelle” e “C’era un piccolo caffè sul corso, e un retrostanza silenzioso; e tre fanciulle che erano belle come le rose di ottobre e frullavano intorno a una fioca lampada con melanconia di farfalle notturne”. Poi la disfatta di Caporetto (“Paolo del Gaudio si espose cento volte alla morte”) e la vittoria di Vittorio Veneto, ma “Ma la giovinezza era rimasta sul Carso, con le sue ultime virtù: ora non aveva forza più e si attaccava disperatamente al passato; c’era sepolta ogni speranza; quegli abiti grigi, sdruciti, rattoppati, arsi dal fuoco delle granate, ingialliti nel fango, che avevano ancora macchie sanguigne e nidi di pidocchi”. Conclusa l’esperienza bellica, Paolo del Gaudio torna ad una vita che auspica possa essere, se non eroica, almeno “ordinaria”: e, ecco, divampare l’amore per Olga. La ragazza era in attesa di un figlio dell’uomo che la trascurava, ma corrispondeva l’amore per il protagonista; questi, tuttavia, la troverà morta nel suo letto in tragiche circostanze (“… la vide supina, abbattuta; il letto era rosso di sangue; come se avessero sgozzato un vitello;”). Paolo fugge e ritorna alla casa paterna dove, tuttavia, lo attende un altro tragico amore, stavolta per la bella cognata Rosa che è sensualmente descritta: “era discinta, intenta a pettinarsi; i capelli di un biondo cinereo le si ammassavano come uno scialle sul seno”). Per fuggire dalla passione, ricambiata, per Rosa, passione che percepisce come iniqua ed ingiusta, Paolo si accosta alla preghiera ed al sacerdozio, ricevendo anche gli “ordini”. Ma Rosa muore e la disperazione in Paolo si acuisce. Nulla nella vita del protagonista sembra essere in grado di regalargli quella pace che tanto cerca. Un’altra morte, quella di Maddalena la “strega”, lo avvicina a “Irene, la figlia del dottore, una fanciulla caritatevole e buona”. Don Paolo e Irene si innamorano (“Irene lo riamava; e un sentimento soave gli raddolciva la vita”), anche se la passione tra un sacerdote ed una giovane ragazza non può certo essere tollerato. Ma il Fato priva Don Paolo del suo amore terreno: anche Irene manca ai vivi. Quest’ultima tragedia segna l’esistenza terrena del protagonista. Nel fuggire disperato, si imbatte in un vecchio cane, cieco, lurido e vagabondo che lo accompagna nel suo vagare per campi e boschi. Entrambi muoiono per la disperazione, l’uno accanto all’altro, in un reciproco, estremo atto d’affetto: “Si adunarono festosi nel bosco, al sole tiepido di settembre, sotto un cielo purissimo, tutti gli insetti della contrada; e fu gran gioia per tutti e ognuno ebbe un briciolo di carne morticcia…”. Paolo aveva trovato la pace tanto invano cercata. Un romanzo, quello di Ceriello, nel quale il lettore moderno individuerà rimandi sia a Charles Baudelaire, Blaise Cendrars, Céline e E. A. Poe, per l’odio, l’angoscia, la poesia della perversione che venano l’opera stessa, sia a “prodotti” della cultura c.d. “popolare” quali “Rambo” (il tema del reinserimento del soldato tornato dalla guerra) e “Uccelli di Rovo” (l’amore tra un sacerdote ed una fanciulla). Un romanzo da riscoprire con urgenza.

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