Si scrive catcalling, si legge molestia

 PARITÀ DI GENERE • Sicuri che fischiare verso una donna sia un complimento? Ne parliamo con Elena Guerreschi di Aida

Benedetta Fornasari

Fischi, battute, domande invadenti, commenti volgari e sessisti ricevuti per strada da estranei. In una parola, presa in prestito dall’inglese, la molestia verbale perpetrata da uomini sconosciuti nei confronti delle donne si definisce catcalling (il termine nasce nel XVII secolo nei teatri inglesi come fischio di disapprovazione nei confronti degli artisti). Un anglicismo sempre più diffuso, che sta facendo il giro dell’Italia grazie alle dichiarazioni di Aurora Ramazzotti, giovane conduttrice figlia di Eros Ramazzotti e di Michelle Hunziker, vittima di “apprezzamenti” non graditi (da lei definiti “schifezze”), denunciati tramite un video-racconto postato su Instagram. Un fenomeno vecchio come il mondo, bollato come “normale” e a tutti noto, che nella lingua italiana, con un significato simile ma non identico a quello della lingua inglese, viene chiamato “pappagallismo”. Il confine tra complimento e commento irrispettoso, lusinga e indignazione non è così netto. Per una parte dell’opinione pubblica non c’è niente di male, si tratta di una sorta di gioco delle parti simpatico, di un modo per attaccare bottone e magari di rimorchiare e, perché no, di fare sentire desiderata una donna, il tutto però senza considerare che colei la cui attenzione viene richiamata da versi e parole non eleganti potrebbe anche sentirsi legittimamente importunata. Secondo Elena Guerreschi, avvocato e presidente di A.I.D.A. Associazione Incontro Donne Antiviolenza di Cremona, «è finalmente giunto il momento di parlare di catcalling, perché si tratta di una abitudine a cui siamo ormai assuefatti senza porci il problema e farci una domanda fondamentale: ma alla donna piace? È un comportamento accettabile e desiderabile da subire?». Una pratica fastidiosa ed estemporanea che non si configura come reato ma assume tutti i connotati di una vera e propria intrusione nella sfera femminile intima. «Fa parte del nostro modo di vivere e viene proposto anche dalla pubblicità (non dimentichiamoci che la sessualità è alla base delle strategie commerciali) e dai mass media come un comportamento sociale positivo mentre, a mio avviso, è una manifestazione estremamente sessista della realtà che può sfociare anche in qualcosa di pericoloso e per questo, da donna, mi spaventa. Un uomo che manifesta questi atteggiamenti, oltre a essere dotato di scarsa educazione, non dimostra di avere un totale rispetto dell’altra persona proprio perché parte da una mancanza di consapevolezza della privacy altrui e della intimità». In Francia e negli Stati Uniti la molestia verbale costituisce reato mentre in Italia non è così. «Si tratta di un comportamento difficile da inquadrare in quanto non si può stabilire a priori una sanzione penale ed economica ma bisognerebbe valutare il grado e l’intensità dell’offesa. Per considerare il catcalling un reato ci devono essere una serie di elementi: ad esempio un riconosciuto disvalore intrinseco, il ricorso a epiteti volgari pronunciati ripetutamente e con caratteristica di petulanza. Ricordiamoci che serve sempre un equilibrio tra lo strumento giuridico e l’opportunità di un suo utilizzo, a maggior ragione nella fattispecie di un comportamento disdicevole ma non paragonabile certamente a condotte gravi». Un dibattito tanto antico quanto estremamente attuale. «Ora mi aspetto, finalmente, una presa di coscienza collettiva rispetto a una “moda” radicata e scontata che però non deve essere minimizzata. Anzi è arrivato il momento di riflettere e di interrogarci su questo fenomeno. Nella nostra società determinati stereotipi femminili, l’uso del corpo della donna e di codici comportamentali e modelli sbagliati sono ancora dominanti e pertanto da contrastare. Per questo motivo è fondamentale intervenire con strumenti di educazione e di sensibilizzazione per sviluppare e consolidare la cultura della uguaglianza, delle pari opportunità e del rispetto della donna. Bisogna lavorare a livello scolastico e famigliare per formare le giovani generazioni, affinché crescano adulti consapevoli: donne in grado di prevenire e evitare maltrattamenti e uomini che non commettano reati di genere, all’insegna della parità tra i sessi e della non violenza».

l’associazione

aida, 79 le donne accolte nel 2020

Nel 2020 l’Associazione A.I.D.A, che opera nella città di Cremona e nell’area cremonese, ha accolto 79 donne. Per 73 di loro sono stati previsti specifici percorsi individuali. Sono stati rilevati 48 casi di violenza fisica, 51 casi di violenza psicologica, 12 casi di atti persecutori (c.d. stalking), 10 casi di violenza sessuale e 26 casi di violenza economica. Le diverse forme di violenza non sono alternative le une alle altre, al contrario molto spesso due o più tipi si sovrappongono. I dati mostrano che la maggior parte delle donne che si sono rivolte al Centro Antiviolenza, il 62%, è di nazionalità italiana. Il 38 % è di nazionalità straniera. Il 19% ha dai 18 ai 29 anni, il 21 % ha dai 30 ai 39 anni, il 18% ha dai 40 ai 49 anni, il 19% ha dai 50 ai 59 anni e il 5% ha più di 60 anni. Il 40% delle donne è disoccupato. Del restante 60% fanno parte donne occupate (35%), precarie, studentesse, casalinghe e pensionate. I/le figli/e sono presenti nella maggior parte dei casi (quasi l’80%). Inoltre, rispetto a quanto dichiarato dalle donne che si sono rivolte al Centro Antiviolenza, l’uomo che agisce violenza è per lo più il partner o l’ex partner. I dati mostrano che la maggior parte dei maltrattanti è italiana, ha un’età compresa tra i 40 e i 59 anni ed è occupata.
A.I.D.A. O.d.v. Associazione Incontro Donne Antiviolenza, Via Palestro, 34, 26100 Cremona. Tel. 0372-801427 Cell. 338-9604533. e-mail: aida.onlus@virgilio.it. PEC: aida.onlus@pec.it

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