Il Covid insegna: l’infermiere al centro

 SANITÀ • Alla vigilia della Giornata dell’Infermiere il punto del presidente dell’Ordine Marsella

Benedetta Fornasari

Cure domiciliari, infermiere di famiglia, case della comunità e ospedali di comunità. La sanità del prossimo futuro punta a rafforzare la medicina territoriale che vedrà protagonista l’infermiere, di cui il prossimo 12 maggio ricorre la Giornata Internazionale. Il miglior modo per celebrare i nostri infermieri, non solo simbolicamente, è quello di tramutare in realtà il “sogno” contenuto nella sesta missione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) alla voce “Salute”, che prevede uno stanziamento di 18,5 miliardi di euro entro il 2026.
Enrico Marsella, presidente dell’Ordine degli Infermieri di Cremona, accoglie con estremo ottimismo le misure ambiziose varate dal Governo che, a suo dire, vanno nella auspicata direzione di una ristrutturazione del sistema sanitario.
«Apprezzo le novità previste nel Pnrr e mi auguro che le risorse previste siano commisurate agli obiettivi da raggiungere. Il Coronavirus ha trovato un Sistema Sanitario Nazionale, e regionale, fragile e impreparato e ci ha impartito una lezione che non possiamo dimenticare. Il cambio di passo deve partire dal monitoraggio territoriale dello stato di salute della popolazione mediante una medicina proattiva che significa prevenzione, educazione sanitaria e cure a domicilio per ridurre, laddove possibile, il ricorso alla assistenza ospedaliera».
L’infermiere è al centro di questa rivoluzione che passa anche dalle case di comunità: attualmente in tutta Italia sono meno di 500 ma, secondo le stime, dovrebbero diventare 1.288 entro la metà del 2026.
«Questa particolare tipologia di struttura, di cui ne servirebbe almeno una ogni 20mila abitanti, si occupa di diagnosi precoce, di screening e di promozione di stili di vita salutari per persone sane, prive di patologie. Un team multidisciplinare composto da medici specialisti e di medicina generale, infermieri e altri professionisti sanitari lavorano insieme offrendo un efficace e valido presidio territoriale».
Esistono poi, seppur da rafforzare e da distribuire capillarmente in tutto il Paese, i cosiddetti ospedali di comunità, strutture intermedie gestite solo da infermieri che proseguono le terapie in un ambiente protetto, diverso sia da quello ospedaliero sia da quello domestico, per l’impossibilità di assistere il paziente a casa.
«A distanza di oltre un anno dall’inizio della pandemia – osserva Marsella - permangono una serie di criticità che devono essere risolte onde evitare di ritornare alla situazione di partenza anteCovid. Dare risposte adeguate al fabbisogno di personale che, ricordiamo, a livello nazionale attesta una carenza di 50-60mila infermieri e in Lombardia si contano 6 infermieri ogni 1.000 abitanti rispetto al rapporto ideale di 9 su 1.000 persone. Numeri allarmanti determinati anche da altri tre fattori: Quota 100 e gli incentivi rosa che hanno portato al pensionamento anticipato soprattutto di donne; l’esodo degli infermieri dalle Rsa e Rsd agli ospedali, in ragione di una maggiore retribuzione e poi un impianto formativo-universitario che presenta diverse lacune. A tal riguardo bisogna programmare e aprire gli accessi ai corsi di laurea in scienze infermieristiche e alle specializzazioni in ambito clinico e manageriale per consentire una crescita professionale che migliori anche la prospettiva di carriera. Parimenti è necessario migliorare il trattamento economico e il riconoscimento sociale dell’infermiere che, al tempo del Covid, è stato spesso equiparato ad altre professionisti sanitari come gli Operatori Socio-Sanitari, che svolgono invece un’altra mansione».
Quest’anno, in occasione della Giornata Mondiale dell’Infermiere, abbiamo provato a immaginare l’infermiere di domani, “nuovo” e “moderno”, maggiormente impegnato sul territorio, prossimo alle persone, che gode di un maggior riconoscimento sociale, professionale ed economico.

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