LIBRI E DINTORNI • “Il particolare superfluo” di Mauro Chiabrando esplora gli elementi che diventano spesso da collezione
Alessandro Zontini
L’avvento dell’“e-book” ha destato parecchie perplessità e timori tra i bibliofili italiani. Da un punto di vista pratico questo dispositivo elettronico è indubbiamente molto comodo (trasportare decine di libri per un lungo periodo di soggiorno all’estero costituisce un evidente problema logistico) e si temeva che questa sua peculiarità comportasse una riduzione della diffusione del libro nella sua forma cartacea.
Per fortuna l’“e-book” pare interessi neppure il 3% dell’intero fatturato del mercato librario in Italia: evidentemente il libro, inteso nella sua forma materiale, strettamente cartacea, non ha mai perso quel fascino che lo contraddistingue, non solo dalla stampa della “Bibbia di Gutemberg” ma addirittura dalla produzione di manoscritti, codici, palinsesti, realizzati fin dalle prime aggregazioni di monaci cenobiti nel Medioevo, complici la longeva tradizione universitaria italiana, una frequente riproposizione, in documentate mostre, dei tesori cartacei conservati nei musei della Penisola e anche la riproposizione del suggestivo film “Il nome della rosa” del regista Jean-Jacques Annaud.
Si dubita che l’“e-book” avrà mai larga diffusione poiché il libro è oggetto dotato di una specifica corporeità che implica sensazioni tattili ed olfattive non sostituibili da un - seppur affascinante - dispositivo elettronico; toccare un foglio di carta di riso è sensazione diametralmente opposta rispetto al toccare una pagina di carta ruvida (ma entrambe piacevoli), avvertire il “profumo“ della carta di un volume, l’odore della colla (oppure, se il volume è stato malamente conservato, quel persistente sentore di muffa o, come si dice correntemente, di “cantina”) rimanda alla vita del libro, alla sua storia ed implica un’emozione che l’“e-book” non potrà mai offrire.
Il libro, dunque, che trasmette le predette sensazioni (e anche altre ancora, quali il delicato fruscìo della carta che si apre) è “oggetto” cui si augura imperitura vita anche in questi momenti di convulso e grave dilagare dell’elettronica.
La tragica pandemia da Covid-19 (che ci sia augura quasi del tutto tramontata), accentuando quel tragico paradosso che riguarda la solitudine umana in un Mondo di miliardi di persone, ha determinato schiere di sbadati lettori a recuperare una più vivida passione per la lettura su formato cartaceo. Il fenomeno non può che essere incoraggiante e i dati delle vendite invitano all’auspicio di un Mondo più attento alla cultura e meno propenso alle trivialità cui si era abituati, complice la televisione e le sue, spesso inutili, proposte.
Il recupero della “bellezza” della lettura e, anche, il piacere collegato alla fisica tangibilità del libro cartaceo, ha implicato, seppur in ristretti ambiti di sfrenata bibliofilia (o “bibliofollia”, secondo un felice neologismo coniato dall’arguto Giampiero Mughini), la crescita dell’attenzione verso quegli elementi, posti a corredo dei libri, che li arricchiscono da un punto di vista grafico ma che, per decenni, sono stati considerati del tutto inutili.
Questi dettagli costituiscono l’oggetto dell’analisi di un meraviglioso atlante: “Il particolare superfluo” di Mauro Chiabrando (Luni editrice, 2021, Milano). Si tratta di un tomo, riccamente illustrato, attraverso cui l’autore esplora, con grande competenza e precisione, le c.d. “minuzie editoriali” che, pur non essendo strettamente funzionali al libro ed alla sua lettura, ne costituiscono un (inutile?) arricchimento ed abbellimento.
L’indagine di Chiabrando analizza dettagliatamente tutti quegli elementi posti a corredo dei libri che, solo negli ultimi anni, sono diventati anche oggetto di collezionismo: si tratta delle fascette editoriali, delle pubblicità inserite nei volumi, delle schede bibliografiche, di omaggi cartacei, di segnalibri, dei “salvo e. o o.”, delle schede bibliografiche, etc.
L’autore, prima dell’uscita di tale atlante, aveva già indagato il curioso settore con due interessanti articoli su “Il Sole 24 Ore” del 29 aprile e del 29 luglio 2012. In particolare il secondo esplorava l’affascinante mondo delle fascette editoriali. Trattasi di quelle sottili (a volte) strisce di carta che avvolgono il libro per tutta la sua estensione, coprendo, solo in parte, la copertina. La loro funzione è quella meramente promozionale: una frase “ad effetto”, uno slogan, una beffarda citazione hanno l’incarico di orientare il potenziale cliente incuriosendolo in ordine al contenuto del volume. Il colore delle fascette sovente è scelto con sapiente oculatezza: una sgargiante fascetta gialla su una sbiadita copertina color “mattone” rinvia, con un evidente contrasto cromatico, al fatto che “Il compagno di viaggio” di Curzio Malaparte è un “inedito” dell’autore dei ben più celebri “Kaputt” e “La pelle” (fig. 1). Gli inquietanti occhi di una maschera antigas che campeggiano sulla copertina della terza edizione della “Guerra chimica e protezione antigas” del dottor A. Izzo, sembrano deliberatamente rinviare alla fascetta che denuncia il carattere enciclopedico dell’opera “con particolare riguardo alla protezione della popolazione civile”: la Prima guerra mondiale era stata combattuta con largo impiego di gas tossici e, profilandosi all’orizzonte un secondo conflitto, il “richiamo” era - allora - tragicamente attuale (fig. 2). Spesso accade che il titolo di un volume risulti essere inadeguato ad abbozzarne il contenuto: la fascetta può supplire a tale carenza. Ne “La caduta e l’assassinio dello Zar Nicola II”, la fascetta introduce alle molteplici tematiche contenute: la rivoluzione russa, l’assassinio di Rasputin, la malattia del figlio dello Zar, la strage della famiglia imperiale, tutto ne “il primo libro italiano sulla fine dello zarismo” (fig. 3). Il lettore dell’epoca era inevitabilmente incuriosito e fortemente tentato dall’acquisto del volume. In effetti, un tomo di carattere storico difficilmente può affascinare un potenziale lettore attraverso il titolo, necessariamente limitato, ed una copertina spesso anonima. Il saggio “In Cina e in Giappone” di Luciano Magrini, avviluppato da una eccessivamente estesa fascetta, prometteva di spiegare come “La Cina, insanguinata dalla follia bolscevica e xenofoba…” potesse rivivere tra le pagine onde spiegare “le convulsioni e le aberrazioni d’oggi”. Quali? Il lettore doveva acquistare senz’indugio il libro (fig. 4). Il vezzo della fascetta è precipuo degli anni ’20 e ’30 anche se non mancano, nei decenni successivi, interessanti incursioni spesso legate a fattori non direttamente collegati con il mondo della bibliofilia: ecco che il successo del film “Il vecchio e il mare” in “WarnerColor” consente di corredare l’omonimo libro di Hemingway con una fascetta bicroma su cui campeggia il viso di Spencer Tracy, interprete della pellicola: un caso di, interessante, vicendevole, simbiosi pubblicitaria (fig. 5).
Pare inutile rimarcare che la fascetta aveva ed ha, dinnanzi a sé, un ben triste destino. Esaurita la funzione di richiamo pubblicitario, veniva rimossa e, spessissimo, gettata nella spazzatura. Talvolta si salvava fungendo da occasionale “segnalibro” ed è possibile, ma non accade frequentemente, rinvenirne qualche sparuto esemplare ben celato tra le pagine di qualche volume. Può sembrare sorprendente, ma recuperare una fascetta, o solo un suo misero brandello, è momento di grande felicità per un appassionato: ad esempio trovare nel libro parafuturista di Adriana Leprotty, “Cosa hai mio cuore?”, un brandello (ancorché integro nella porzione stampata) della fascetta editoriale con uno slogan “ad effetto” di F. T. Marinetti (fig. 6) è rinvenire un piccolo tesoro per l’appassionato bibliofilo… anzi, per l’appassionato bibliofolle!
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