1981-2021 • La tragedia vissuta in diretta Rai da oltre 20 milioni di italiani inaugurò la tv del dolore. Ma fece anche nascere la Protezione Civile
Vanni Raineri
Chi ha più di 50 anni non potrà mai dimenticare le lunghe ore di attesa in diretta davanti alla Tv per seguire le sorti di Alfredo Rampi, il piccolo Alfredino precipitato in un pozzo nei pressi di Frascati nel tardo pomeriggio del 10 giugno 1981. Come noto, non si riuscì a salvare il piccolo di 6 anni, che morì alle prime ore del 13 giugno.
I giovani che si stupiscono dell’originalità di una diretta televisiva durata quasi un giorno intero è evidente che lo facciano perché non conoscono la televisione di quei tempi. Nel 1981 la tv a colori esiste da soli 4 anni. Da poco è stata creata la terza rete Rai, Rai3 chiamata a dar voce alle regioni. Siamo nel boom delle televisioni private, e solo un anno prima, nel 1980, Silvio Berlusconi raggruppò 5 televisioni locali creando un network e chiamandolo Canale 5. La legge allora consentiva solo televisioni locali, e quindi impediva di trasmettere in contemporanea sul suolo nazionale. Berlusconi aggirò la norma lasciando che trascorresse un tempo minimo tra la trasmissione del programma da parte di un canale rispetto agli altri 4, in modo da rispettare, letteralmente, la legge. Arriveranno poi in Fininvest (non è ancora Mediaset) anche Rete 4 e Italia Uno. Non esiste nemmeno l’Auditel.
Questo il quadro di un’Italia che era abituata in quei giorni del giugno 1981 a seguire in tv fatti che riguardano personaggi celebri, non gente comune. Poche settimane prima della tragedia di Vermicino c’era stato l’attentato a papa Wojtyla ad opera di Ali Agca, e ancora poco prima l’attentato al presidente americano Ronald Reagan. In Italia si parla di loggia P2, di Brigate Rosse. In questo quadro, piomba sulle coscienze degli italiani la disavventura fatale di Alfredino, che quel 10 giugno stava giocando tranquillamente all’aria aperta quando è caduto in un pozzo stretto poco più di 25 centimetri abbastanza per incastrarlo a diversi metri dalla superficie.
È incredibile come la partecipazione popolare e il disastro dei tentativi di salvarlo siano andate di pari passo. Il primo tentativo dei soccorritori consiste nel calare nel buco una tavoletta di legno, col solo risultato che si incastri sopra la testa del bambino, peggiorando quindi la situazione. Sale l’ottimismo quando viene illustrato il progetto che salverà Alfredino: scavare un tunnel parallelo a quello esistente, collegandolo poi al di sotto di dove si trova il giovane per prelevarlo. Era l’11 giugno all’ora di pranzo quando il Tg1 si collegò per seguire in diretta il tentativo; subito dopo, il Tg2 poi il Tg3, quindi le tre a reti unificate. Ricordiamo tutti che in quel frangente si pensò che il più era fatto. Niente affatto: gli scavi smuovono il terreno e fanno precipitare ulteriormente Alfredino, che dai 36 in cui si trovava scende a 60 metri di profondità. Adesso prevale lo scoramento, in un’alternanza drammatica di speranza e dramma. Si tenta di calare alcuni speleologi, ma il passaggio è troppo stretto. Con coraggio pari solo all’ingenuità, parecchie persone si rendono disponibili. Tra queste, e dopo alcuni tentativi falliti, il piccolo e magrissimo sardo Angelo Licheri, che si fa calare per 60 metri fino a sfiorare la mano di Alfredino. La tocca ma non può stringerla per colpa del fango; prova a stringergli un’imbracatura ma i tre tentativi falliscono. Dopo 45 minuti, un tempo lunghissimo, passato a testa in giù in quello stretto cunicolo, Licheri viene riportato in superficie provatissimo. Quel 12 giugno arriva anche il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, che parla con un microfono ad Alfredino, e rimarrà a Vermicino fin dopo l’annuncio della morte.
Ha scritto bene Walter Veltroni sull’ultimo numero di Sette uscito ieri, quando fa un interessante parallelo tra due notti passate in bianco dagli italiani a 12 anni di distanza: lo sbarco sulla Luna e Vermicino, la sensazione di poter volare altissimo e la brusca caduta al suolo. Dice bene Veltroni anche quando afferma che si è trattato di un’esperienza psicologica collettiva molto intensa per gli italiani, che infatti a distanza di 40 anni non hanno dimenticato quelle sensazioni.
Ma al di là del dramma personale, che si aggiunge ai tanti che ogni giorno accadono in ogni dove, a fare la differenza fu proprio la condivisione dello sgomento in tv: quel bambino là sotto che soffre e chiama la mamma spinge ogni italiano collegato in diretta ad abbracciare la televisione pur di fare qualcosa. L’urlo di Alfredino al Tg è lacerante. Si comprende il lato cinico della vicenda, e si capisce anche quanto possa pagare in termine di audience una vicenda come quella, con tutte le conseguenze del caso: oltre 20 milioni di italiani, nonostante l’orario, rimasero incollati alla tv. Vermicino, con quella diretta finale durata 18 ore, è il primo vero reality della televisione italiana, e inaugura, ovviamente in modo involontario, la tv del dolore che avrà un così grande successo. D’altra parte già le automobili incolonnate per raggiungere il luogo della tragedia ricordano da vicino situazione simili che viviamo ai giorni nostri. Su quelle auto c’erano i padri di chi oggi si affaccia al finestrino per scattare una foto all’incidente stradale, oppure si fa un selfie davanti alla casa che ha ospitato una tragedia resa celebre dalla tv. In quel pozzo si consumava un dramma familiare, in superficie era solo spettacolo, con giornalisti e cameraman ma anche tanti curiosi che non lasciavano nemmeno spazio ai soccorritori.
Ecco, i soccorritori: possiamo dire che almeno una cosa positiva quella tragedia l’ha lasciata: proprio sulla scorta delle disfunzioni registrate e dei tanti errori dovuti all’improvvisazione, si arrivò alla nascita della Protezione Civile. Nemmeno il terremoto che si scatenò in Irpinia sei mesi prima, e che provocò quasi 3mila morti, poté quanto la morte di un bambino.
La prossima settimana siamo certi che questo fatto di cronaca che contribuì fortemente a cambiare i nostri costumi verrà celebrato, e Sky Cinema trasmetterà il 21 e il 28 giugno una serie in due puntate dal titolo “Alfredino, una storia italiana».
Se la storia di Alfredino Rampi “ispirò” la tv del dolore, alla spettacolirizzazione della vicenda non contribuirono certo i suoi genitori, i quali hanno sempre rifiutato di tornare su quei giorni, nonostante le tante richieste da parte di tv e stampa. Escono certamente a testa alta da questa immane tragedia che li ha colpiti.
Potremmo chiederci: ma se un fatto simile accadesse oggi?
Sarebbe un incubo collettivo, e assieme una grande occasione. Alla fine il bambino sarebbe salvato, grazie alla tecnologia (si pensi solo alle webcam): sperabilmente in un tempo non troppo breve, che ci sono gli spot.
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