Annie Vivanti, non solo l’amante del Carducci

 OPERE DIMENTICATE • L’autrice nata a Londra nel 1866 andrebbe riscoperta. Un successo effimero sul mercato inglese, poi l’oblio

Alessamdro Zontini

La vicenda di Annie Vivanti costituisce un emblematico caso di come, oggi, si siano dimenticate, per ragioni di balordo opportunismo politico, scrittici innovative, audaci per prosa, e feconde per lirismo ed utilizzo innovativo del linguaggio e, viceversa, si accordi credito a scrittrici di nessun valore letterario, di scialba prosa, di nessuno spessore culturale. È, l’attuale, un momento storico di latitanza di rigoroso senso estetico e, di conseguenza, masse mediamente sempre più acritiche si rifugiano in letture di autrici “alla moda” ma che finiranno per scomparire nel dimenticatoio della storia della letteratura. È, tuttavia, necessario attivarsi per recuperare da tale dimenticatoio nomi che, per raffinata prosa, gagliarda inventiva e intrepido incedere narrativo meriterebbero un sistematica - e non solo sporadica - riproposizione.
Annie Vivanti primeggia tra quelle, interessanti autrici, che dovrebbero essere riscoperte: nata a Londra nel 1866, da padre italo-ebreo e da madre tedesca, la futura scrittrice, il cui vero nome era Anna Emilia, fin da giovane viaggiò molto tra l’Inghilterra, la Francia, la Svizzera e gli U.S.A., radicandosi, infine, in Italia, per dedicarsi a quella che riteneva fosse la propria inclinazione artistica, ovverosia il canto. L’esordio della Vivanti, come cantante, non dette i risultati di successo ambiti ma la ragazza venne notata da Giosuè Carducci che la indirizzò verso la composizione poetica. La raccolta di poesie “Lirica” del 1890 incontrò il plauso del pubblico, mentre il romanzo di esordio, “Marion, artista di caffè-concerto” dell’anno seguente, passò inosservato e costituì un grave cruccio per la donna. Carducci, tuttavia, con cui nel frattempo la Vivanti aveva avviato una relazione sentimentale, definitivamente individuatene le capacità liriche e narrative, la spronò a perseverare nella scrittura che risultava connotata da una freschezza descrittiva, da una narrazione vivace e pungente, sempre protesa a cogliere le contraddizioni del mondo e delle persone che lo abitano. Indubbiamente, l’essersi spostata in vari paesi nel corso della sua fanciullezza aveva condotto l’autrice ad un’osservazione di differenti tipi umani e di svariate situazioni contingenti che, poi, ebbe modo di trasfondere nelle sue opere, traendone notevoli affreschi narrativi. Inoltre, la mescolanza di origini della Vivanti, i differenti costumi che pure convivevano nella sua numerosa famiglia, l’avvicinarsi alle diverse religioni professate dai suoi cari, la poliedricità degli interessi artistici e la versatilità delle inclinazioni politiche che contraddistinguevano i suoi congiunti, dovettero costituire un considerevole patrimonio culturale di cui l’autrice seppe far intelligente impiego nelle sue interessanti opere. Il matrimonio con John Chartres, nobile irlandese, la portò a viaggiare a lungo tra Inghilterra e U.S.A. In terra d’Albione, la Vivanti avviò una propria, soddisfacente, carriera di scrittrice dedicandosi a racconti tradizionali inglesi, lavori teatrali ed altro ancora. Solo dopo circa vent’anni, l’amore per la Penisola ricondusse Annie Vivanti verso i lidi italici ove, forte e memore degli apprezzamenti di Carducci ed incoraggiata da un certo successo che i suoi lavori “inglesi” avevano incontrato in tutt’Europa, iniziò nel Belpaese a scrivere, lasciandoci una considerevole produzione. Nel 1911 riscrisse “The devourers”, già uscito per il mercato inglese, con il titolo “I divoratori” che la consacrò definitivamente quale eccellente scrittrice. Nei decenni successivi Annie Vivanti pubblicò numerose opere di carattere romanzesco, quali “Circe” del 1912, “Vae victis!” del 1917, ”Naja tripudians” del 1920, “Sorella di Messalina” del 1922 e “Salvate le nostre anime” del 1932. Se “Circe” appassiona il lettore offrendogli le vicende arzigogolate della vita di Maria Tarnovska, detta Mura - nome che verrà, in seguito, utilizzato dalla scrittrice Maria Assunta Giulia Volpi Nannipieri (cfr.: “Il Piccolo” del 29 febbraio 2020) -, nobildonna russa accusata di aver ucciso il giovane amante e processata nella Venezia d’anteguerra mentre tutt’attorno uno sfavillante mondo cosmopolita scivola, inconsapevole, verso i campi di battaglia della Somme e le trincee del Carso, “Vae victis!” assurge ad atto di denuncia e merita qualche attenzione più accurata. Per la prima volta, uno scrittore (una donna) affronta il tema dello stupro di massa (nella fattispecie quello perpetrato dalle truppe tedesche ai danni della popolazione femminile belga nel corso della prima guerra mondiale), cogliendo, da parte dell’alto comando tedesco, l’intento di tale crimine quale tassello di una strategia militare ben “mirata” ma riconducendolo al concetto, allora soltanto in nuce di “crimine contro l’umanità”. Oltre alla produzione di romanzi, Annie Vivanti ci lascia raccolte di poesie, raccolte di novelle, quali “Zingaresca” del 1918, “Gioia” del  1921, “Perdonate Eglantina” del 1926, libri per l’infanzia e note di viaggio (“Terra di Cleopatra” del 1925, dedicato al paesaggio egiziano, è libro che stupisce per la bellezza delle descrizioni: “Ma d’un tratto il sole precipita verso l’orizzonte; il cielo s’incendia, e l’acqua si tramuta da liquido argento in liquido oro. Difatti il sole cade; cade come una palla di fuoco dietro la parete di montagne desertiche. L’incendio divampa sempre più; il Nilo arrossa. Pare di navigare nel sangue!). Nella raccolta “Perdonate Eglantina”, con originale procedura narrativa, le novelle scritte da Annie seguono una linea cronologica ben precisa: una raccolta di novelle-romanzo che si dipana in equivoci, scambi di persone, imprevisti e situazioni che si ribaltano in continuazione, secondo un gusto che risulta essere una ben riuscita crasi di verismo italiano e umorismo inglese ed ebraico. Alla scrittura Annie Vivanti accompagnò sempre anche la passione per la politica. La donna, ritagliandosi pure il tempo per svolgere attività di cronista, sostenne con veemente ardore, non appena l’Italia dichiarò guerra all’Austria Ungheria e alla Germania, la causa irredentista italiana scrivendo accorati articoli su numerosi quotidiani inglesi. Conclusasi la Grande guerra, la Vivanti sposò le cause delle minoranze oppresse. Il marito, di origini irlandesi, fu un fervente attivista del Sinn Féin, movimento indipendentista irlandese in chiave antinglese e la moglie ne condivise in pieno le posizioni. L’amore e la passione per la Penisola e la sua cultura condussero la Vivanti a intersecare la propria vita con almeno due celebri uomini italiani dell’epoca: D’Annunzio e Mussolini. D’Annunzio, a capo dei rivoltosi di Fiume, cercò attraverso Annie Vivanti di avviare contatti con i ribelli irlandesi che, con il Vate, condividevano sentimenti anglofobi e ne approvavano gli intenti ribelli ma che, tuttavia, non si fidavano dell’orboveggente Gabriele in quanto incarnava ogni difetto (o stereotipo) all’italiana. Anche Benito Mussolini dalle colonne de “Il Popolo d’Italia”, nell’agosto 1920 si lanciò in una veemente accusa anti britannica chiosando: “Viva la repubblica irlandese!”. Sedotta dalle personalità dei personaggi, la Vivanti abbracciò la causa di Fiume e si avvicinò al movimento fascista. All’entrata in guerra dell’Italia nel 1940, Annie, che formalmente risultava essere cittadina britannica, venne colpita da limitazioni di carattere personale ma l’intervento personale del Duce le restituì piena libertà di movimento fino al 1942, anno in cui si spense. Annie Vivanti è scrittrice enormemente sottovalutata: in un momento storico in cui numerosi erano gli epigoni di D’Annunzio, seppe restare completamente scevra da qualsiasi influenza artistica del poeta guerriero sia per le tematiche prescelte che per lo stile adottato. Nel dopoguerra la sua militanza fascista le valse l’ostracismo della c.d. “critica” che non volle neppure accostarla alla letteratura “rosa” e che la ritenne solo un ”prodotto” dell’ingombrante patrocinio di Giosuè Carducci. Sulla sua lapide è possibile leggere: “Batto alla chiusa imposta con un ramicello di fiori / Glauchi ed azzurri come i tuoi occhi, o Annie”, i versi che Carducci le aveva dedicato tanti anni prima, riconoscendone il valore letterario.

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