Museo Guatelli, un tuffo nel passato

 TRADIZIONI • Il ricordo della visita alla cascina in cui Ettore (che compirebbe 100 anni) collezionò di tutto

Vanni Raineri

Avrebbe compiuto 100 anni in questo 2021 Ettore Guatelli, personaggio singolare, eccentrico e affascinante cui si deve un unicum come il Museo Guatelli di Ozzano al Taro, presso Fornovo sulle prime rampe dell’Appennino Parmense. Ed è giusto che lo si celebri, come sta facendo la sua Provincia, per quell’eredità che ogni anno viene scoperta da tantissimi visitatori.
Ho avuto la fortuna di conoscere Ettore Guatelli che mi fece scoprire gli angoli della cascina prima della sua scomparsa, quando aveva circa 80 anni ma era vitale, stimolante, persino visionario. Ettore ha patito da giovane problemi di salute che gli hanno impedito di frequentare la scuola con costanza e poi di condurre l’azienda agricola che gestiva la sua famiglia di mezzadri a Ozzano Taro. Per prepararsi all’esame magistrale lo aiutò Attilio Bertolucci: in cambio lui scriveva a macchina i testi che il poeta parmense gli dettava. Ma soprattutto Ettore iniziò in fretta a collezionare: all’osservatore distratto poteva apparire un raccoglitore compulsivo, ma la sua volontà era quella di salvare il mondo antico dei piccoli paesi, dalle cascine ai laboratori degli artigiani. Si è calcolato che gli oggetti da lui collezionati sarebbero oltre 60mila. Nonostante la malattia fu arruolato nel ’42 nell’esercito, ma dopo l’8 settembre del ’43 disertò per unirsi agli antifascisti, e fu in quegli anni che conobbe Attilio Bertolucci, padre dei registi Giuseppe e Bernardo, che segnò la sua crescita culturale. La malattia lo accompagnò per sempre, lui insegnò alle elementari fino alla pensione nel ’77. E intanto la massa di oggetti accumulati nella sua pur grande cascina cresceva a vista d’occhio, si iniziò a scrivere qualche articolo su questa stravaganza, qualche studioso di storia locale si interessò di questa persona che procedeva controcorrente rispetto alla cultura materialista degli anni Ottanta che buttava tutto ciò che era vecchio.
Ettore Guatelli morì nel 2000, dopo poco dal nostro incontro, e aveva allestito il suo museo personale, tanto che parecchie stanze sono rimaste come lui le ha concepite, con oggetti accumulati in ogni parete che non lasciano un centimetro all’intonaco. Tre anni dopo, nel 2003, nacque la Fondazione Guatelli che oggi gestisce il museo.
Arrivai alla cascina di Ettore verso sera con amici e amiche, verso le quali lui subito dimostrò grande interesse, in modo cortese ma sanguigno. Collezionava roba vecchia ma non voleva certo sentirsi lui un vecchio arnese, un oggetto da ammirare vivente solo per luce riflessa di quel che fu in un lontano passato. Amava profondamente la vita, e le sue riflessioni sapevano essere profonde. Se tu avevi un hobby qualsiasi non potevi non condividerlo con lui, e così un mio amico che si disse oplofilo (amante delle armi) scoprì all’istante le radici greche di quella parola. Ettore Guatelli mi diede l’impressione di discorrere alla stessa maniera col contadino e col professore, e collezionava davvero di tutto, con gran cumuli di materiale esposti alle bizze del meteo, ché al coperto non ci stava più nulla. Non badava neanche ai doppioni: se una cosa lo interessava ne portava a casa copie finché ne trovava, e il problema è che gli interessava tutto ciò che aveva un passato. Ricordo le insegne pubblicitarie dei vecchi negozi a centinaia, spesso all’aria aperta, e poi l’incredibile stanza delle sveglie, e quella dei giochini che si davano prima della guerra ai bambini: credo abbiano tolto i topolini secchi, che oggi schiferebbero i visitatori, non certo lui.
Sul sito del museo ci sono alcune sue riflessioni che ben descrivono la personalità e il pensiero che lo spingeva: “Io vorrei un museo dall’estremo ieri all’estremo domani”; e ancora: “Tutti sono capaci di fare un museo con le cose belle, più difficile è crearne uno bello con le cose umili come le mie”.

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