«L’italiano è una lingua di artisti»

CULTURA • Lo afferma Veronica Ricotta, ricercatrice all’Università per Stranieri di Siena

FEDERICO PANI
L’italiano è una lingua artistica o una lingua di artisti? Proviamo a rispondere, tornando alle origini del linguaggio dall’arte, segnatamente dell’arte figurativa e pittorica, rivolgendo la domanda a Veronica Ricotta (nella foto), ricercatrice di Storia della lingua italiana all’Università per Stranieri di Siena. La studiosa, tra i suoi lavori, vanta infatti anche la cura dell’edizione critica del primo testo in volgare italiano sul linguaggio dell’arte, il “Libro dell’arte” di Cennino Cennini, composto tra la fine del ’300 e i primi anni del ’400.

«Potremmo dire che l’italiano è sicuramente una lingua di artisti. Nella sua storia, la lingua letteraria è stata dominantenella questione della lingua e nella ricerca di un italiano unitario. E, come le altre lingue, potremmo dire che è artistica per la sua naturale evoluzione: conosce una perenne spinta al neologismo, alla nascita di nuove parole attraverso consueti meccanismi di formazione, all’assegnazione di nuovi significati a parole già esistenti».

Come cominciò a svilupparsi il linguaggio dell’arte in volgare, sul finire del Medioevo?

«Essendo un linguaggio tecnico, legato a unsapere pratico, le prime testimonianze scritte del lessico pittorico e figurativo sono più tarde rispetto alla circolazione orale; si trattava, insomma, di un linguaggio che necessariamente già circolava tra gli operai che lavoravano ai cicli di affreschi nei cantieri, così come tra gli artigiani e gli apprendisti che lavoravano nelle botteghe. Tra le testimonianze più antiche di questi termini in volgare italiano troviamo il “Libro dell’arte” di Cennino Cennini, testo già maturo nella sua composizione, tanto che ancora oggi è adottato in contesti contemporanei, come le scuole di restauro e alcune botteghe artigiane. Ci sono poi altre fonti, più avventizie direi, come i contratti che i committenti stipulavano con gli artisti o, meglio, con gli artefici, come si diceva allora; sono testi pratici: contratti o cedole di pagamento,dove compaiono i nomi delle tecniche e dei materiali impiegati, come i coloranti e, più in generale, ciò che serviva per realizzare l’opera. In generale, se il lessico architettonico ha molti più debiti col linguaggio dotto, quello dell’arte figurativa è invece ben più legato agli ambienti di bottega».

Possiamo vedere la storia di almeno un paio di parole nate allora, poi magari specializzatesi, e arrivate fino ai giorni nostri? Ma prima un piccolo dubbio: perché si sente dire sia acquerello sia acquarello?

«In italiano antico il vocabolo acquerello esisteva già prima del Libro dell’arte (dove peraltro compare quasi sempre nella forma femminile acquerella), ma con il significato di “vinello leggero (ricavato dall’acqua passata sulle vinacce)”, in realtà non così distante, per consistenza, dall’acquerello o acquerella di Cennino, dove indica un composto di inchiostro stemperato con acqua. La differenza tra acquerello, variante preferibile, e acquarello è dovuta alla preferenza assegnatale dal sistema fonologico toscano. Menzionerei subito il verbo disegnare, che originariamente aveva il significato, per così dire, neutro di delimitare; fu proprio Dante, peraltro, a usare il verbo in maniera matura e consapevole con il significato artistico che oggi conosciamo. Un altro termine che si è specializzato è tempera, che indicava la modalità di fare un colore, e che poi è passato a indicare il manufatto stesso: la tempera originariamente era la colla o il rosso d’uovo adoperati per rendere il colore più brillante e facilitarne la stesura».

Ci sono altre parole, anche molto comuni, nate più tardi?

«Certamente, e alcune parole che potremmo pensare come antiche sono invece più recenti; penso al termine affresco, che viene datato al 1809 (anche se qualche attestazione si può recuperare tra ’600 e ’700), anno dell’ultima redazione della “Storia pittorica della Italia” dell’abate Luigi Lanzi, dove la parola appare per la prima volta univerbata. La prima attestazione del termine legato a quella tecnica, però, compare proprio nel volume di Cennino, benché nella locuzione in fresco. Quadro, invece, ha una storia particolare: i quadri, o le quadre, vengono già nominati nei testi tre-quattrocenteschi; e anche in Cennino si parla di quadri, ma in riferimento a opere dalla sola forma quadrata. L’uso del termine per come lo conosciamo noi è una parola quattro-cinquecentesca: prima, si ricorreva più volentieri a tavola, dato che la forma poteva anche essere tonda o ogivale».

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