CULTURA • La professoressa Gabriella Alfieri fa un ritratto dello scrittore catanese a 100 anni dalla morte
FEDERICO PANI
In Italia, Giovanni Verga è giustamente considerato un monumento letterario. Tra pochi giorni, il 27 gennaio, si commemoreranno i cento anni dalla sua morte. Lo facciamo anche noi, uscendoperò dalla retorica scolastica, insieme a una delle massime specialiste inassoluto dello scrittore catanese, la presidente del Consiglio Scientifico della Fondazione Verga, Gabriella Alfieri (nella foto), docente di Linguistica italiana presso l’Università degli Studi di Catania.
Professoressa, perché vale ancora la pena studiare a scuola l’opera di Verga?
«Verga fu un autore lungimirante e geniale per molti versi. Vorrei però rispondere a questa domanda menzionando il lavorocritico che, in questo periodo, sta svolgendo la Fondazione Verga, in collaborazione col Centro Zola di Parigi: stiamo rileggendo i testi di Verga, inserendoli nel contesto più ampio del realismo europeo di quegli anni. Non solo, perciò, Émile Zola ma anche l’inglese Thomas Hardy, il tedesco Berthold Auerbach (dai cui Racconti rusticani della Foresta Nera, Verga trasse spunti tematici e stilistici), così come anche i russi Turgenev, Dostoevskij, Tolstòj, Gogol’ e Čechov. Questi autori, e molti altri in Europa, costituivano un’ideale comunità scientifica internazionale nel cui ambito, indipendentemente dagli effettivi contatti tra i singoli o dalla reale conoscenza dei testi, si condividevano nuclei tematici e strategie stilistiche. Da un’analisi stilistica comparata, per esempio, emerge che il ricorso ai proverbi, ai paragoni proverbiali o al codice gestuale non fosse una prerogativa soltanto dei Malavoglia: era una strategia condivisa anche da altri autori, come Hardy, Auerbach o la scrittrice francese George Sand. Il secondo aspetto per cui penso valga la pena leggere Verga a scuola sono gli argomenti di cui tratta, che in qualche modo continuano a riguardarci. Pensiamo all’immigrazione: nel finale dei Malavoglia, ‘Ntoni è costretto ad andarsene dal paese; oppure, nella novella Primavera troviamo la storia di un giovane musicista italiano che va a cercare fortuna negli Stati Uniti. Poi, c’è lo sfruttamento minorile e le rivendicazioni sindacali; Verga fu persino accusato di essere socialista per aver trattato temi come questi, un’accusa all’epoca equiparata a quella di sovversivo, dalla quale si difese nella prefazione del romanzo-dramma “Dal tuo al mio” di aver scritto solo con spirito “umanitario”. Possiamo poi ricordare lo stupro di una giovane contadina da parte del branco di balordi nella novella “Tentazione” o il femminicidio nel finale del “Marito di Elena”. In definitiva, sono molti gli spunti di attualità che l’opera verghiana offre, senza contare le allusioni alla storia d’Italia in maniera esplicita come in “Libertà”, novella che tratta della rivolta di Bronte, oppure con efficaci allusioni, come quella alla tassazione pressante e alla leva obbligatoria imposte da “questi Italiani” nei Malavoglia. Certo, per trasmettere queste nuove istanze è necessario aggiornare costantemente gli insegnanti. Da anni, la Fondazione Verga, sotto l’egida dell’Accademia dei Lincei, tiene dei corsi di lingua e letteratura finalizzati a proporre nuove strategie di lettura e interpretazione dei testi. Bisognerebbe far precedere la lettura dei testi allo studio dei manuali storico-critici. È fondamentale che si parta dal leggere in classe i testi, elaborando direttamente da essi l’interpretazione critica: se ne capirebbero i meccanismi stilistici, così come le istanze più profonde e trasversali delle diverse culture. Si comprenderebbe che il realismo fu un fenomeno europeo, al pari del romanticismo, che viene percepito e proposto correttamente come movimento intellettuale internazionale ma che fu ben più elitario del realismo. Bisognerebbe poi insegnare ai ragazzi che il realismo - e poi il verismo - fu un movimento artistico esteso, anche pittorico e musicale. Accostare i testi visivi a quelli verbali, com’è intuitivo, aiuterebbe le nuove generazioni a interessarsi ancora di più all’argomento».
Che opere consiglierebbe a chi, non più a scuola, volesse leggere Verga?
«Consiglierei tre letture, rappresentative di tre maniere o, meglio, di tre sperimentazioni letterarie di Verga. La prima è il romanzo “Eva”, che è di una modernità straordinaria, a partire dal linguaggio, ricco di dialoghi vivacissimi, quasi teatrali; lo consiglierei per comprendere appieno il realismo sociale e le piaghe che denunciava (la storia è quella di una ragazza che, alla fine, si ritrova a doversi prostituire per bisogno). Poi, naturalmente, “I Malavoglia”, il capolavoro assoluto di Verga. Infine, “Don Candeloro”, una raccolta di racconti, nei quali Verga recupera alcuni temi che aveva già trattato in gioventù, come la monacazione forzata di “Storia di una capinera”, ripreso qui nella “Vocazione di suor Agnese”, ma con più crudezza e scetticismo. Questa raccolta di novelle è il capolavoro tardo dello scrittore, un’opera che si avvicina alla scrittura modernista del Novecento. Verga, del resto, morì a 82 anni, un’età notevole per allora, la quale gli permise di attraversare la storia dell’Italia toccando, nei suoi estremi artistici, il romanticismo e il modernismo. Per questo è un autore che merita assolutamente una rivisitazione integrale e il centenario sarà un’ottima occasione per farla».
Commenti
Posta un commento