Chi è Gabriele Cervi : l’impegno in due libri: “la famiglia negata” e “diario di una scuola lager”
Gabriele Cervi è nato a Cremona nel 1956, si è poi trasferito a Castelverde dove vive tuttora. È impiegato in una scuola professionale cremonese. Ha un diploma di contabile d’azienda, e un altro, ottenuto nel 2005 alla scuola serale del Beltrami, di dirigente di comunità in attività sociali. Per difendersi dal mobbing subito sul posto di lavoro, dopo il ruolo di delegato Cisl Scuola ha fondato alla fine degli anni ’90 l’associazione onlus Gruppo di Autoaiuto Contro Mobbing di Cremona, che ha presieduto per dieci anni. Ha al suo attivo due libri: “La famiglia negata” (una sorta di diario, con lettere scritte dal 1995 al 2003, finalizzato a far chiudere gli orfanotrofi in Italia, con tanto di ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) e “Diario di una scuola lager” (sottotitolo “1988-1994: il business delle scuole convenzionate”).
«Ho trascorso anni terribili, ma sono sopravvissuto al mobbing che ho subito in quegli anni terribili; ritengo la cascinetta didattica da me fondata, come educatore, la mia personale realizzazione, sociale e umana che come lavoratore onesto non si era mai realizzata».
A parlare è Gabriele Cervi, presidente dell’Associazione “In cammino con San Francesco” la cascinetta didattica onlus, una realtà presente da 8 anni a Castelverde, sganciata dalle istituzioni ma calata nella realtà, capace di rispondere alle esigenze della società in modo semplice ma per questo insostituibile.
Ma come nacque l’idea della cascinetta?
«Il progetto è datato 2014. Il mio desiderio era realizzare dei laboratori per ragazzi perché mancava la manualità nelle scuole. Non avevo la sede, ma fui fortunato. Abitavo a Castelverde, e proprio di fronte a casa mia c’era questa cascina, dismessa da anni: scoprii che era dell’Opera Pia ospizio di Castelverde. Preparai un progetto e uno statuto e lo inviai al presidente dell’Opera Pia, al vescovo che allora era Lafranconi e ho avuto anche l’idea di inviarlo a Papa Francesco. Nessuno mi rispose, senonché il Papa scrisse al vescovo dicendo di appoggiare il progetto. Un vero colpo di fortuna, che mi ha consentito di avere la cascina in comodato d’uso per 5 anni».
Immaginiamo che ci sarà stato da lavorare per renderla utilizzabile.
«Quella cascina di fine Ottocento era diventata una vera discarica, ma le stanze erano a posto ed è diventato presto un laboratorio. Ho provveduto io a pulire, sistemare e tinteggiare con l’aiuto di alcuni amici nomadi. Fatto sta che nel 2015 abbiamo potuto iniziare l’attività con un primo corso di ciclomeccanica».
Insomma, si aggiustavano biciclette.
«Certo. Strada facendo ho trovato volontari bravi a riparare moto e scooter, a fare l’orto e i laboratori sono cresciuti. Gli allievi di quel primo corso erano per la maggior parte ospiti della Caritas di Cremona allora diretta da don Antonio Pezzetti. Il corso andò benissimo, eravamo tutti contenti dell’esperienza. Io non conoscevo la realtà degli immigrati, parlando con loro scoprii che alcuni erano alla casa dell’accoglienza da 3-4 anni ad attendere il permesso di soggiorno senza poter fare nulla. Quegli immigrati non potevano né essere assunti né studiare, mentre noi, gestendo dei laboratori, abbiamo potuto averli come allievi. Tutta questione di burocrazia, fatto sta che mi sono preso a cuore questa battaglia di diritto al lavoro e iniziai a scrivere in giro: inviai anche un’informativa alla Comunità Europea. Tutti problemi che sono rimasti, anche se qualche pratica si è velocizzata».
Non solo laboratori, però.
«Nel 2016 ci fu il terremoto ad Amatrice. Pensai di aiutare i bambini del posto e feci un appello sui giornali locali chiedendo biciclette in disuso da aggiustare: funzionò, ne arrivarono a decine. Con l’aiuto della Caritas portai le bici a Camerino, che è il paese di provenienza di monsignor Antonio Napolioni, che nel frattempo era diventato il nostro vescovo, che fu presente alla consegna, assieme all’amministrazione comunale e ai volontari del posto. Una bella iniziativa».
Poco dopo, una conoscenza di quelle che ti cambiano la vita.
«Nel 2017 scoprii don Lorenzo Milani, un personaggio straordinario, un vero rivoluzionario. Ho comprato tutti i suoi libri, ho dedicato a lui il laboratorio di meccanica dell’anno successivo, ho fondato un gruppo Facebook intitolato “Amici di don Lorenzo Milani” ottenendo la collaborazione di Edoardo Martinelli, che è tra gli amministratori, che fu un allievo del prete della scuola di Barbiana».
Ora che i laboratori sono chiusi per il periodo invernale, lei sta dedicando i suoi sforzi a combattere una piaga sociale come il gioco d’azzardo.
«Accadde che nel 2018 conobbi amici affetti da ludopatia. Papa Francesco ha definito le slot machine strumenti del diavolo, ha detto che azzardo e usura creano fallimenti familiari, che sono un cancro istituzionale, e ha ragione: dobbiamo lottare senza tregua. Anche il vescovo Napolioni ha sottolineato la necessità di contrastare le slot che rovinano le famiglie. Sull’argomento ho scritto al direttore di Avvenire Marco Tarquinio che ha risposto alla mia lettera usando parole molto dure: “Le lobby del gioco d’azzardo trovano troppo spesso il sorriso acquiescente di molti che siedono in Parlamento”. Io proprio ai parlamentari ho inviato nel 2019 informative documentate di danni e patologie, senza avere alcuna risposta. Ho scritto anche al sindaco di Cremona Gianluca Galimberti, e recentemente anche al sindaco di Castelverde Graziella Locci. Purtroppo siamo la maglia nera d’Europa, ma proprio i politici hanno creato questa malattia, e trovo che sia un controsenso che ora investano denaro per aiutare i malati da gioco».
Regione Lombardia nel 2014 ha approvato una delibera contro l’installazione di nuove slot machine entro 500 metri dai punti sensibili.
«Peccato che non sia una legge retroattiva. Purtroppo il gioco è entrato nel cervello della gente. Io mi sto occupando della difesa dei punti sensibili: è assurdo vedere questi apparecchi vicino alle scuole. Propongo di mettere flipper al loro posto».
Immagino sia una provocazione: difficile convincere un gestore a sostituire una slot con un flipper.
«No. Ci sono gestori di bar che hanno messo calcio-balilla invece delle slot anche nella nostra provincia. La nostra proposta rientra in un progetto che invieremo ai parlamentari».
Intanto cresce il gioco d’azzardo tra le mura domestiche, che difficilmente si può tenere monitorato, soprattutto per i giovani.
«È pericolosissimo, e il Covid tenendoci in casa ha aumentato il giro d’affari. Purtroppo la politica non ha etica, ed è difficile perseguire il bene collettivo. Ognuno promette cose che poi il sistema non consente di fare: io continuo la mia battaglia ma sono sfiduciato».
Torniamo alla cascinetta. Come finanziate le attività?
«Innanzitutto non vogliamo contributi pubblici: tutto è frutto del volontariato. Ci si autofinanzia, accettando doni come bici da riparare, pane per i nostri animaletti, il resto lo mettiamo noi. Non sono solo, ci sono alcuni soci e nella semplicità abbiamo la nostra forza, con passione, onestà ed etica».
Chi tiene i corsi?
«Posso contare su un buon numero di volontari, anche laureati. Io stesso come educatore insegno cultura generale e realizzo progetti didattici mirati come quello sulla vita e le opere di don Milani: i libri di don Milani li uso come libri di testo. I laboratori inizieranno a fine marzo: partiremo con la riparazione delle bici e il restauro di bici d’epoca. Poi proseguiremo con la riparazione degli scooter, i lavori dell’orto eccetera».
Ha parlato di animaletti.
«Non ci sono corsi in tema di allevamento, ma anni fa abbiamo fatto un bel progetto con le scuole primarie di Castelverde che comprendeva anche l’orto e la riparazione delle bici».
Come arrivano a voi i ragazzi che frequentano i corsi?
«Nei primi anni c’erano anche ragazzi cremonesi, poi l’alternanza scuola-lavoro ha consentito loro di stare in officina e la mia utenza è calata: almeno avevo creato qualcosa che non c’era prima. Oggi l’utenza scolastica l’ho persa ed è rimasto il contatto con la Caritas: il corso di ciclomeccanica lo faremo con la loro collaborazione, e così più avanti il corso di riparazione auto».
Ma per quello che fa ha preso spunto da qualche esperienza?
«Non mi risulta che ci siano in giro casi come il nostro. Siamo contenti del cammino fatto grazie alla nostra passione, con spirito di solidarietà vera. Non facciamo progetti finalizzati a intercettare fondi pubblici. La mia è una missione per sentirmi vivo».
Lei si ispira spesso a Papa Francesco, a San Francesco e a don Milani. Si sente un uomo di fede?
«Dove ci sono onestà ed etica ci sono brave persone, ci possono essere errori ma non c’è ipocrisia. Io ho una fede semplice, di terra, che è quella di Gesù. Alla Papa Francesco».
Si appella all’etica e all’onestà. Non si sente fuori moda?
«Sì, sono decisamente fuori moda. Non sono “allineato” ma mi salva l’autoironia».
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