Tra Draghi e Pnrr, la riforma fiscale: se non ora quando?

ECONOMIA • Questo è il momento più propizio se si vuole davvero combattere l’evasione nel nostro Paese


VANNI RAINERI
Combattere l’evasione fiscale: un mantra, una parola d’ordine che gli italiani si sentono ripetere a ogni giro di giostra, vale a dire in ogni programma elettorale o ogni qualvolta si tratti di stabilire dove prendere risorse per finanziare interventi del governo. Pescare nel mare magnum delle tasse che gli italiani non pagano, in varie forme: questa la promessa fatta dai politici da diversi decenni senza mai cavare un ragno dal buco.

Diciamocelo, si è consentito di fatto a larghe fasce della popolazione di poter fare i furbetti senza correre troppi rischi, in modo da ritrovarci in un Paese in cui un po’ tutti siamo sottoposti a una forma di “ricatto legale”: gran parte di noi ha scheletri nell’armadio, così da diventare comodo bersaglio all’occorrenza.

Il motivo per cui si tende a “lasciar correre” è la sensazione che ci siano settori economici che, se si dovesse improvvisamente diventare fiscali nel vero senso della parola, non sopravviverebbero. Un cane che si morde la coda: i decenni di trascuratezza hanno creato un equilibrio che però mette in pericolo soprattutto i cittadini più disciplinati.

Sullo sfondo quello che forse è il più grande male italiano, da cui discendono tante nefandezze: ci solleviamo quando veniamo toccati nel portafoglio ma non sentiamo come nostro il bene comune. La cosa pubblica non la sentiamo nostra, e così se dallo Stato escono soldi non li percepiamo come nostri, col risultato che non ci arrabbiamo più di tanto se sono spesi male. Conseguenza è che i politici possono guardare al consenso senza preoccuparsi troppo di intervenire per limitare un’evasione fiscale vergognosa, col rischio concreto di scontentare più persone di quelle che apprezzerebbero lo sforzo.

Oggi torniamo sull’argomento evergreen non per ricorsi ciclici, tipo i dati sulle dichiarazioni dei redditi presentate dagli italiani che indignano per un giorno o due poi danno appuntamento all’anno dopo, magari digerendo nel frattempo l’ennesima sanatoria. Nel 2021 solo il 4% dei contribuenti ha dichiarato più di 70mila euro lordi, e risulta che il reddito medio degli imprenditori è lievemente più alto rispetto a quello dei pensionati e più basso, udite udite, rispetto a quello medio dei loro dipendenti.

No, non è per quello, ma perché dagli ambienti economici ci si chiede “se non ora, quando?”. Ci sono infatti alcune condizioni che favorirebbero un intervento del governo in direzione di una giustizia fiscale che consenta ai conti pubblici di fare affidamento su una parte dell’immenso nero prodotto nel nostro Paese: la presenza a capo del governo di Mario Draghi, senza un partito alle spalle e senza l’intenzione di candidarsi alle elezioni, quindi senza necessità di vivere di consenso, e ancor più il Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza finanziato copiosamente dall’Unione Europea e che è chiamato ad intervenire proprio per risolvere i problemi strutturali. E cosa c’è di più strutturale in Italia del problema dei redditi sommersi?

E così diversi economisti fanno la loro analisi e propongono ricette per un intervento efficace. Interessante ad esempio la posizione di Giuseppe Pisauro, docente di Scienza delle Finanze già consulente di istituzioni economiche italiane e internazionali e membro della Commissione tecnica per la spesa pubblica. Fondamentale, secondo lui, sarà la capacità dell’amministrazione di incrociare le banche dati (fiscali e finanziarie) per individuare i possibili evasori. Il macigno da spostare è quello della privacy degli utenti.

«L’evasione tollerata - afferma Pisauro - si traduce in un sussidio implicito ai settori meno efficienti dell’economia che, a sua volta, implica un aggravio di pressione fiscale (per raccogliere il volume di gettito ritenuto comunque necessario) e una perdita di competitività per i settori più efficienti». Sul Pnrr: «Le misure previste nel decreto legge approvato dal Governo negli scorsi giorni, tra cui l’estensione della fattura elettronica ai contribuenti forfettari e gli incentivi alla diffusione di mezzi tracciati di pagamento, rientrano nel quadro di contrasto all’evasione. Per la riforma sarà fondamentale la capacità dell’amministrazione di incrociare le banche dati al fine di condurre analisi dei rischi per selezionare i contribuenti ai quali inviare “lettere di conformità” con cui segnalare discrepanze. È in atto da tempo un laborioso, se non estenuante, confronto tra amministrazione finanziaria e Garante della privacy. Il punto di partenza è che è possibile incrociare i dati solo per i contribuenti già sottoposti, per qualche motivo, ad accertamento. Non sarebbe invece consentito procedere, come si potrebbe ingenuamente pensare, ad incroci a tappeto per individuare i contribuenti da accertare. La tensione tra protezione dei dati personali e contrasto dell’evasione è oggettiva, ma va evitato che la prima esigenza vanifichi la possibilità di perseguire la seconda».

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