Dante e il rap, un connubio non casuale



CULTURA • Il docente Luca Bellone ci spiega perché i rapper scelgono soprattutto brani dell’Inferno


FEDERICO PANI
Parlare di versatilità per la Commedia dantesca non è retorica e lo dimostra la straordinaria influenza dei versi del poeta in ambiti apparentemente lontani, come la canzone e il rap. Ne abbiamo parlato con Luca Bellone, professore di Linguistica Italiana all’Università di Torino. Bellone, che nella sua ricerca vanta approfonditi lavori sui linguaggi giovanili, ha condotto uno studio sulla presenza di Dante nella musica rap italiana.

Anticipiamo uno dei risultati del suo studio: Dante è capillarmente presente negli autori rap italiani; come spiega una presenza così forte? Che sia dovuta a reminiscenze scolastiche?

«Credo che una delle ragioni stia nell’adattabilità del poema alle diverse modalità della narrazione: dalle più tradizionali, come il romanzo e il racconto, fino alle più moderne, come il fumetto, le serie tv, la canzone e, appunto, anche il rap. Il genere ricorre al testo dantesco in modo consapevole, sia per le storie che racconta, sia per il modo in cui le racconta, un parlare ritmato che pare talvolta ricordare i metri narrativi della poesia italiana, e tra questi, in particolare, proprio la terzina. Inoltre, è senza dubbio il genere più adatto per recuperare e riscrivere gli episodi infernali della Commedia: le storie del rap sono spesso dedicate alla realtà “della strada”, a storie difficili e alle diverse manifestazioni del disagio giovanile proprie delle periferie delle grandi città. Non può essere allora un caso che tutti i riferimenti danteschi siano legati alla sola cantica dell’Inferno. Per spiegare il successo di Dante nel rap non credo però basti la conoscenza del testo per tramite scolastico. Non c’è infatti autore rap, di ieri o di oggi, che non abbia in qualche modo evocato Dante, inserendolo almeno una volta nella sua opera. Ma oltre alla ragione tematica, ce n’è una stilistica. Si dice che i brani rap non vadano mai a capo, proprio per la natura del loro testo articolato: è in effetti spesso difficile individuare i confini tra le barre (così vengono chiamati i versi nel gergo dell’hip hop); si configurano piuttosto come poemi in prosa. Questo racconto messo in canzone deve dunque usare delle figure di suono come la rima, l’allitterazione e l’anafora, che sono proprie della poesia. Credo che il successo dell’opera dantesca, perciò, arrivi dall’incrocio di ragioni stilistiche e tematiche, a cui certo si somma l’approfondimento scolastico».

Quali sono i canti più citati e gli episodi di rilettura a suo giudizio più notevoli?

«Tra i canti più rappresentati – e qui le reminiscenze scolastiche, certo, giocano un qualche ruolo – c’è il primo con la “selva oscura”, e il terzo con la celeberrima iscrizione sulla porta dell’Inferno (Per me si va nella città dolente…); poi troviamo naturalmente il quinto canto, il primo a essere ripreso nel rap grazie a “Serenata rap” (1994) di Jovanotti e alla celebre coppia di versi “Amor che a nullo amato amar perdona porco cane/ lo scriverò sui muri e sulle metropolitane”. Tra i rapper che hanno mostrato più affezione nei confronti di Dante, ricordiamo Caparezza e Tedua. Tuttavia, un’attenzione specifica va dedicata a Murubutu e Claver Gold, esponenti del cosiddetto “rap didattico” o “letteratura rap”, un filone che ha dei tratti originali: conserva la struttura stilistica e testuale del genere, ma utilizza come fonti dei variegati modelli letterari. Aggiungo a margine un particolare non trascurabile: Murubutu, il cui vero nome è Alessio Mariani, è professore di storia e filosofia nella scuola superiore. Il disco dei due artisti, uscito nel 2020, si chiama “Infernum”, ed è una riscrittura della cantica, in cui ogni brano riprende e riattualizza un episodio dell’Inferno per descrivere il presente».

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