I venti di guerra grande e il ritorno del nucleare


L’INTERVENTO • I candidati parlano con leggerezza di ricorso all’energia da fonte nucleare mentre Putin minaccia il mondo


MARCO PEZZONI
In questi giorni concitati, in questi momenti che forse in futuro verranno dichiarati “storici” è legittimo chiederci quanto caos o quanta pazzia ci siano nel mondo: “siamo di fronte ad un film o ad una realtà drammatica?”. Molti dei candidati al prossimo Parlamento in rappresentanza del nostro territorio, da Daniela Santanchè a Carlo Cottarelli, sembrano raccontarsi dentro il film della propria propaganda, rimuovono il tema della guerra in Ucraina e di come porvi fine, parlano con grande leggerezza dell’indispensabile ricorso all’energia da fonte nucleare forse ignorando il “dual use”, il doppio uso che si fa a fini militari riutilizzando il plutonio e riprocessando l’uranio utilizzato nelle centrali nucleari. Non c’è consapevolezza che siamo di fronte al rischio di una “guerra grande” come l’ha definita la rivista di geopolitica Limes, anzi che ci stiamo già entrando. Carlo Cottarelli rivendica la sua coerenza di sostenitore del nucleare civile ricordando il suo voto ai referendum del 1987 per mantenere aperta Caorso e le altre 3 centrali nucleari italiane. Al contrario i movimenti ecologisti e pacifisti di allora erano già consapevoli del nesso stretto tra nucleare civile e nucleare militare quando organizzarono la lunga catena umana che collegava la centrale elettronucleare di Caorso alla base militare di San Damiano. Daniela Santanchè propone la posizione della sua leader Giorgia Meloni critica dell’Unione Europea e fedele alla Nato come se la Nato non riducesse la sovranità popolare dell’Italia molto più che la debole integrazione europea. Nessuno di loro che si chieda quale sia l’interesse del nostro territorio riguardo all’inquinamento e alla lotta ai cambiamenti climatici, riguardo al nucleare o riguardo al Po da salvaguardare il più possibile a corrente libera. Nessuno che ricordi il pacifismo di don Primo Mazzolari o il voto contrario alla guerra “inutile strage” dell’on. Guido Miglioli o l’educazione alla pace del maestro Mario Lodi. D’altra parte anche tra i potenti della Terra nessuno sembra ascoltare davvero papa Francesco che invita ad assumere un altro punto di vista che non sia quello di identificarsi totalmente in un blocco politico-militare contro un altro blocco: solo così si potrebbero aprire negoziati. Nessuno tra i potenti che ascolti il monito a cessare la corsa al riarmo nucleare e l’invito a trovare una soluzione politica del vecchio Kissinger, tra gli ispiratori del golpe in Cile ma anche tra i negoziatori per la fine della guerra in Vietnam. Forse la Cina di Xi Jinping, alle prese con forti difficoltà interne e in vista del XX Congresso del Pcc, è interessata a relazioni internazionali più stabili e a porre un freno al crescente disordine internazionale ma c’è il caso di Taiwan, pedina fondamentale nel duro confronto geopolitico in atto nel Pacifico.
Insomma, oggi la guerra in Ucraina, se non viene fermata, ha e avrà effetti sull’intero sistema mondiale più gravi della guerra in Vietnam. Non solo perché gli equilibri mondiali sono cambiati ma perché è entrato in crisi l’ordine internazionale che faticosamente si era assestato attorno all’Onu e al primato formale del Diritto internazionale persino durante la Guerra Fredda: le due superpotenze si combattevano ma si riconoscevano e temevano. Oggi la disunità del mondo è arrivata al punto che ciascuna grande e media potenza persegue l’aumento della propria potenza militare e pone l’uso della forza prima del rispetto del Diritto internazionale. È in questo contesto che va inserito il rilancio dell’uso del nucleare civile anche nella prospettiva militare. Non solo l’Iran ragiona così, ma anche la Turchia, l’Egitto, l’Arabia Saudita e i Paesi del Golfo.
Il discorso di Putin di mercoledì 21 settembre è davvero preoccupante: indizione di referendum popolari in Donbass per l’annessione alla Russia delle zone occupate dal suo esercito e difesa dei nuovi confini anche con armi nucleari tattiche. Ma la minaccia di ricorso alle armi nucleari tattiche non viene dalla sua “pazzia” ma da un regime che in Russia controlla apparati, economia, finanza, esercito, informazione e che è pronto a tutto pur di restare in piedi. Tanto è vero che lo stesso Biden, nel suo discorso all’Onu, ha subito cercato di circoscrivere il numero degli attori in guerra per il futuro dell’Ucraina come se gli Stati Uniti non fossero i maggiori sostenitori politici e militari di Zelensky e della svolta filo occidentale e filo-Nato dell’Ucraina fin dal 2014; come se Liz Truss, attuale Primo Ministro del Regno Unito, non avesse dichiarato solo due mesi fa, da Ministro degli Esteri britannico, di essere favorevole al ricorso di armi nucleari tattiche sui campi di battaglia per fermare l’avanzata dell’esercito russo. Ecco perché non possiamo più dormire sonni tranquilli nemmeno noi italiani che siamo alle prese in apparenza “solo” con le elezioni per un nuovo Parlamento e un nuovo Governo; che dobbiamo fare i conti in apparenza“solo” con la crisi energetica, le bollette che crescono, le prescrizioni per consumare di meno questo inverno, il Covid che può riaccendersi, le imprese che minacciano di chiudere.
“Solo” si fa per dire. Infatti non possiamo stare tranquilli perché in realtà da tempo e non da ora sono stati assunti orientamenti di fondo dai Governi occidentali che purtroppo non hanno messo e non mettono al primo posto la soluzione politica e negoziata del conflitto. Le prove sono sotto i nostri occhi: stiamo affrontando l’emergenza energetica che colpisce soprattutto l’Europa come se non ci fosse più rimedio alla rottura e allo scontro frontale con la Russia, nostra fornitrice di gas per decenni. Rimedio che solo una ricucitura attraverso il negoziato politico avrebbe reso possibile. Anzi, i Governi europei hanno inasprito le sanzioni su input degli Stati Uniti e programmato di chiudere ogni rapporto energetico con la Russia entro i prossimi due anni e in modo definitivo: a questo fine stanno mobilitando ingenti risorse. Anche l’Italia ha deciso di chiudere del tutto il proprio approvvigionamento di gas russo entro 2 anni così da eliminare la propria dipendenza da Stati esteri, anche se poi è costretta a rivolgersi ad Algeria, Egitto, Azerbaijan, Qatar, Congo, Angola, Stati in gran parte sensibili all’influenza e all’interscambio con la Russia.
Un altro orientamento di fondo è stato quello di assumere la prospettiva del riarmo in modo accelerato e con finalità nuove a partire da marzo 2022 con una importante Circolare dello Stato Maggiore della Difesa Italiano che dichiarava l’allerta delle nostre Forze Armate di fronte agli sconvolgimenti portati dalla guerra in Ucraina: la prospettiva di un conflitto su larga scala. Conflitto che richiede lo spiegamento complessivo e di pronto intervento di tutto il nostro potenziale militare tecnologico e professionale, non bastando più l’uso di singoli reparti in Missioni specifiche all’estero come finora è avvenuto.
L’industria militare italiana risulta fondamentale in questo quadro, in particolare società come Leonardo, ex Finmeccanica, attiva nei settori dell’aerospazio e della difesa, elicotteri e aerei Eurofighter Typhoon attualmente già operativi nei cieli della Polonia e Romania; Consorzio Iveco- Oto Melara, leader in cannoni navali e lanciamissili; Ansaldo Energia e Ansaldo Nucleare, impegnato nel riprocessamento delle barre di uranio dismessi in Italia e portate in Francia e in Inghilterra, ma anche nella progettazione di Mini-Reattori nucleari ancora a fissione ma di piccola taglia da imporre più facilmente ai territori.
Come ha riconosciuto la Società Leonardo, la tenuta del proprio giro d’affari sopra i 13 miliardi all’anno è “dovuta a importanti ordinativi in ambito militare/governativo”. Stesso ragionamento sta facendo Ansaldo rimettendosi a fare utili dopo anni di deficit nel proprio bilancio. Ecco allora una delle spiegazioni non dette: il rilancio del nucleare civile non serve a coprire l’attuale deficit energetico perché per i nuovi impianti grandi o mini ci vorranno anni, ma serve al rilancio di quel comparto tecnologico e militare che ormai domina la politica della sicurezza ma ci toglie anche la speranza di un futuro di pace.

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