L’Islanda su di un pedale di Andrea Devicenzi

l'intervista
«ORA POSSO DIRLO: HO DOVUTO INTERROMPERE UNA DELLE PRIME TAPPE PER UNA BRUTTA CADUTA PROVOCATA DALLE FOLATE DI VENTO»
«IL VERO MESSAGGIO È NON RITENERE CHE TUTTO SIA IMPOSSIBILE, MENTRE VEDO CHE A VOLTE
LE PERSONE RINUNCIANO CON TROPPA FACILITÀ»


DAI PODI AZZURRI ALLE GRANDI IMPRESE


Andrea Devicenzi ha 49 anni, e all’età di 17 perse la gamba sinistra a seguito di un grave incidente in moto. La forza di volontà trasformò un tragico evento nell’occasione di mostrare come la determinazione possa essere anche messa al servizio degli altri, aiutandoli a trovare dentro di sé risorse insospettabili: oggi, oltre che grande atleta, è performance coach e formatore esperienziale, al servizio di sportivi e aziende ma anche molto spesso nelle scuole di tutta Italia. Dal punto di vista sportivo ha ottenuto grandi risultati, sia con la maglia azzurra (argento e bronzo agli Europei di Paratriathlon) sia grazie ad imprese che gli hanno fatto guadagnare i riflettori nazionali: primo amputato di gamba a raggiungere in bici la vetta di Kardlung La in India (5602 metri), primo amputato a concludere la Parigi-Brest-Parigi sotto il tempo massimo, la salita in solitaria con le stampelle dei 42 km che portano al Machu Picchu in Perù dopo 1200 km in bici dalla capitale Lima. Negli ultimi 5 anni si è dedicato ai Cammini, tornando alla bici lo scorso luglio per percorrere il perimetro dell’Islanda (circa 2200 km) in 21 tappe. Vive con la moglie e le due figlie a Martignana di Po.


VANNI RAINERI 
Andrea, ci eravamo visti alla vigilia, nella conferenza stampa di Rivarolo del Re poco prima della partenza per Reykjavik. Ti accingevi a percorrere oltre 2000 km in 21 giorni, e non nascondevi i timori sulle particolari condizioni atmosferiche. Come è andata?

«Benissimo. È stata un’avventura pazzesca, incredibile. Avevo prepa- rato come sempre tutto nei detta- gli, ma sono stato comunque sor- preso dalla bellezza dei panorami e mi ha messo alla prova il vento, cui pure ero predisposto. Ma non ero pronto a sopportare 24 ore di vento al giorno».

Tra l’altro proprio a causa del vento hai dovuto accorciare una delle prime tappe, recuperando poi nei giorni successivi.
«Ora posso dire la verità: quella tappa dovetti interromperla a causa di una caduta. Responsabili furono proprio due folate di vento che mi hanno costretto a buttarmi a terra: il timore era legato alla presenza di auto dei turisti che sfrecciano ad alta velocità. Poi ho imparato a dominare il vento, anche nei mo- menti di pausa, quando provvedevo io a preparare la cena e la colazione anche per i miei compagni di viaggio, e a montare la tenda. Abbiamo sempre dormito in tenda, e nel 60% dei casi abbiamo fatto free camping».

Nelle tue dirette hai raccontato che in un caso avete dovuto sloggiare a causa di un proprietario poco accomodante.
«Sì. Ci eravamo piazzati nella sua proprietà dopo aver chiesto a una signora che ci aveva dato l’ok, poi abbiamo scoperto che si trattava di una turista. Quell’uomo non ne ha voluto sapere e così alle 11 di sera abbiamo dovuto smontare le e cercare posto 7 km più avanti. È stato però l’unico momento in cui abbiamo avuto problemi di accoglienza, per il resto tutto è andato per il meglio. Erano anche zone in cui è difficile incrociare gente. Per fortuna ho bucato solo a Reykjavik, in centro, a pochi km dall’arrivo do- po averne percorsi 2200». Eravamo in tanti a seguirti sulle dirette social. Ricordiamo che con te erano Simone Pinzolo e Andrea Baglio, con telecamera e drone per le immagini, mentre Alessandro Bocchi e Stefania Chiarini gestivano dall’Italia gli audio e i collegamenti coi social. «Nonostante siano saltati tanti piani rispetto a quanto avevamo previsto devo dire che le dirette sono andate benissimo, tanto che abbiamo sfiorato il milione di persone contattate. A me piace programmare, ma la lunghezza variabile delle tappe e le due ore di differenza di fuso orario con l’Italia hanno creato dei problemi. Poi ogni giornata è particolare, devi montare la tenda poi preparare la cena. Pur- troppo non ho potuto portare come me tutti i prodotti che ci avevano consegnato a causa delle cifre folli per il trasporto del bancale e del- le spese di dogana. Comunque ho cucinato spesso pasta con passata, ottimo olio e tutto ciò che ci eravamo portati dal nostro territorio».

Nessuna dieta particolare.
«Non sono un fondamentalista dell’alimentazione. Io credo nel 10- 20% di libertà mentale di mangiare quel che vuoi».

Anche l’accoglienza istituzionale non si è fatta mancare.
«All’arrivo nella capitale è venuta a incontrarmi la console italiana, grazie a Chiara Isola del Comites di Oslo che ha tenuto i contatti».

Islanda è la traduzione di “terra del ghiaccio”...
«La temperatura media era di 11,5 gradi, con poca escursione termica: si andava dai 7 ai 17. Fin verso le 23 c’era luce. L’unica giornata in cui ho veramente sofferto il freddo è sta- ta quando ho fatto il bagno nell’Atlantico: non potevo tornare senza provarci, e mi ha permesso poi di sopportare il freddo».

Il tuffo nell’oceano si vede anche nel bellissimo trailer che hai pubblicato in attesa del film, poi seguirà un libro.
«Il film di Andrea Baglio durerà 40 minuti. Il libro sarà il mio terzo e si intitolerà “La mia Islanda su di un pedale”: sarà illustrato con tante foto. Tra l’altro l’associazione fotografica Arketipo ha saputo dell’avventura e mi ha chiesto delle foto, che dall’1 al 9 ottobre saranno esposte in una mostra a San Raffaele Alto, in provincia di Torino, che poi sarà itinerante. Le presentazioni del libro e del film oltre alla mostra inizieranno il 5 novembre».

La tua idea alla partenza era quella di raccogliere le riflessioni nel corso delle tappe e di inviarle. 
«È andata così, e me ne sono venute tantissime. Attivavo attraverso la plancia il vocale su whatsapp, e le mandavo ad Alessandro Bocchi. Poi le abbiamo sistemate: ne sono uscite 30mila battute di materiale, che si aggiungeranno alle foto del libro, e che in parte costituiranno i testi della voce fuori campo del film».

Oltre alle presentazioni c’è il progetto teatrale affidato a Tommaso Rotella. Sei pronto all’esordio come attore?
«Ci stiamo lavorando, teniamo moltissimo anche a questo pro- getto che pure inizierà nel Torinese. Rotella, che aveva letto il mio secondo libro “Credere nell’impossibile”, ha detto che nel materiale che abbiamo preparato c’è già lo spettacolo, che seguirà uno schema non strettamente cronologico, ma i punti fermi saranno l’inizio con l’avventura islandese e la conclusione che risale al mio incidente».

 L’Islanda è l’inizio del “Progetto 22-26”: 5 imprese in 5 anni e 5 libri. Ci puoi anticipare qualcosa sulla prossima del 2023?
«Posso dire che andrò ancora verso nord, e lo farò in solitaria come quella del 2016 in Perù».

Sempre in bici?
«Sì, in questo momento mi vedo in bici, con tenda e sacco a pelo. Abbasserò i km quotidiani, e mi piacerebbe non rispettare la regolarità del giorno e della notte».

Credo che qualcuno possa non compra cosa significhi fare 2200 km in bicicletta senza una gamba. Basterebbe provare ad andare con una sola gamba per farsi un’idea della difficoltà di procedere in piano, figurarsi in salita. La tua è una bici speciale? 
«L’unico accorgimento è che ho tagliato il pedale sinistro per motivi di estetica e di sicurezza. Per il resto è una bicicletta normalissima». 

Gli ultimi anni li hai dedicati ai cammini in Italia, e all’importante progetto del Cammino del Po. 
«Ho percorso la via di Francesco, la via Francigena e la via Postumia, poi è nata la collaborazione per realizzare il Cammino del Po con tante idee. Volevamo bruciare le tappe poi ci siamo accorti che serve la collaborazione con le istituzioni e abbiamo dovuto rallentare, ma pian piano il progetto procede. Intanto abbiamo il sito (camminodelpo.it), logo e simbolo e lavoriamo. Insomma, abbiamo ritardato i tempi ma una volta che riusciremo a completarlo, il cammino sarà in cassaforte. Non potrà accadere quanto ho verificato sulla via di Francesco, dove uno si alza una mattina e decide di fare una variante modificando la segnaletica e la direzione dei bivi mettendo tutti in difficoltà. La prima parte che abbiamo analizzato è quella tra Cremona e Casalmaggiore, poi procederemo; ci vorrà tempo, e il vero decollo ci sarà quando i pellegrini si passeranno parola: i timbri, le credenziali, le date impresse dei cammini hanno un loro fascino per chi li percorre». 

Intanto possiamo dire che il battesimo del Cammino del Po c’è stato in occasione della Discesa del Po del 10-11 settembre: il sabato il tratto Torricella del Pizzo-Casalmaggiore e la domenica Casalmaggiore-Viadana. C’eravamo anche noi: l’impressione è che le maggiori difficoltà iniziali riguardino l’assenza per alcuni tratti della via alzaia e le mancate sfalciature che non consentono il transito dei pedoni nei tratti più suggestivi.
«Le difficoltà principali riguardano la gestione, la capacità di mante- nere la coordinazione di tutti i re- ferenti locali nel corso dei 650 km. Non è semplice ma non demordo. Anche in Islanda non sono mancati gli scontri, cui sono preparatissimo: il 5° giorno abbiamo avuto un mo- mento delicato. Sono uno che alza sempre l’asticella, pretendevo un lavoro con riprese video di qualità perché ci ho messo la mia faccia, e con Andrea avevamo visioni diverse, ci siamo anche scontrati poi però abbiamo trovato un punto di incontro che ci ha portati sino alla fine. Ho avuto un crollo all’arrivo, ma più di testa che fisico».

Tu che sei abituato all’asfalto rattoppato delle nostre strade, come hai trovato quelle islandesi?
«Ottimo, è un asfalto ruvido molto aderente e drenante, l’unico problema sono i tratti di asfalto alternati ad altri in sterrato».

Cosa ti ha dato questa avventura di diverso rispetto alle altre?
«La piena consapevolezza di ogni metro vissuto. Quando penso all’India, al Perù, dico che avrei potuto vivere diversamente quelle esperienze. Qui ho goduto di ogni singolo momento: mi capitava di incontrare turisti in auto che rimpiangevano di avere a disposizione solo pochi giorni di vacanza, per dare l’idea della bellezza di quei luoghi. Le difficoltà sono state grandi ma, ripeto, ho avuto la grande fortuna di vivere quest’esperienza con consapevolezza».

Parli di fortuna, ma ai nostri occhi è difficile considerare fortuna quel che ti è capitato.
«Parlo di fortuna ma dietro ci sono lavoro ed impegno costanti. Oggi posso dire di aver superato completamente la mia disabilità, d’altra parte prima te ne fai una ragione e meglio è. Diciamo che più che fortuna c’è tanto lavoro».

Ed è quel che insegni a tanti come mental coach.
«Importante è anche avere una strategia. Come nel caso riporta- to prima dei contrasti con Andrea, se condividi un obiettivo ci si viene incontro per arrivare col massimo successo. Se subentra lo scontro poi prevale la stanchezza. Anche nella formazione aziendale si sente sempre più la necessità di testimonianze concrete».

Da segnalare che dal 7 al 9 ottobre alla Fiera dell’Innovazione a Roma parlerai di innovazione mentale. Con te tanti protagonisti dell’innovazione da tutto il mondo.
«Parlerò di come non porsi mai barriere e andare avanti sempre: fermarsi è retrocedere».

So che te l’avranno già chiesto in tanti, ma pensi ogni tanto a chi sarebbe oggi Andrea senza quell’incidente a 17 anni?
«Non me lo chiedo perché non potrei avere risposte: le nostre vite cambiano ad ogni incrocio in cui dai o non dai la precedenza. Ero un ragazzo che faceva sport e con poca voglia di studiare ma tanta voglia di lavorare: ero già manovale professionista, e avevo in mente di elevare il lavoro di mio padre (il piastrellista) aggiungendo punti vendita all’attività di posa delle mattonelle. Il vero messaggio è non ritenere che tutto sia impossibile, mentre vedo che a volte le persone rinunciano con troppa facilità».

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