Mezzadri, dai totem al film di Gianni Amelio

la scelta di vita
«A 40 ANNI SENTII IL BISOGNO DI TROVARE UNA VIA
CHE DESSE UN SENSO ALLA MIA VITA. LASCIAI L’AZIENDA DI FAMIGLIA, VENDETTI L’AUTO E COMPRAI UN FURGONE
le opere nel film di Amelio
«INCONTRAI IL REGISTA NEL CASTELLO DI MONTANARO CHE OSPITA LE MIE OPERE. LE PIÙ VISIBILI SONO LE 35 SCALE, CHE RAPPRESENTANO PERSONE INCONTRATE»


UN ARTISTA POLIEDRICO
Paolo Mezzadri cresce professionalmente nell’azienda di famiglia di carpenteria metallica. Inizia a lavorare il ferro appena raggiunta la maggior età e prosegue l’attività fino a 40 anni, quando d’un tratto decide di cambiare vita. Diventa artista a tutto tondo: l’arte appresa in officina è il fulcro, ma il suo vivo interesse per la vita si manifesta in altre forme, dalla scrittura alla fotografia. Oggi, a 56 anni, è residente a Cremona, anzi vive a Sospiro, anzi trascorre gran parte del suo tempo nel castello di Cadeo, anzi ne passa ancor di più nel castello di Montanaro, entrambi manieri sul Piacentino, do- ve decine di stanze ospitano le sue esposizioni. La sua vocazione? Dopo l’intervista la riassumeremmo cosi: coniugare la rigidità del ferro con la fragilità umana.

VANNI RAINERI
Incontrare Paolo Mezzadri è un po’ come far visita a una persona che vive in un capanno su una spiaggia selvaggia, e che volentieri accoglie chi gli fa visita offrendo un bicchiere di vino per parlare dell’essenza delle cose. Le futilità sono bandi- te, ma non per evitare argomenti scomodi: perché non hanno alcun valore.
Sono opera sua le lettere che campeggiano da qualche giorno nelle quattro porte della città: Cremona Porta Po, Cremona Porta Venezia, Cremona Porta Romana e Cremona Porta Milano. Sono i totem che da quando sono stati posizionati hanno scatenato le consuete polemiche social.

Mezzadri, anche stavolta si conferma che sui social commenta soprattutto chi contesta. Gran parte delle reazioni è di tono negativo.
«Faccio come gli inglesi che si mettevano addosso il grasso di foca e l’acqua scivolava via. Anche quella è acqua che in poche ore è assorbita dal terreno. Sono polemiche che servono solo a certe persone ad accreditarsi una certa importanza. Io non entro in quell’ingranaggio perché non ho tempo, e non mi interessa quel tempo».

Il tempo, concetto basilare per l’artista cremonese.
«Le cose importanti sono quel- le che durano nel tempo, mentre il fuoco che appicchi al cartoccio della pannocchia dura per 30 secondi. Probabilmente sarebbe stato auspicabile chiedere ai cittadini di portare loro progetti per essere selezionati e scegliere poi quello da realizzare»

Non avrebbero risposto in tanti. È molto più facile criticare che fare. 
«È vero, ma più persone coinvolgi più smonti il caso».

Come sono nati i 4 totem?
«Di notte, come quasi tutto nel mio lavoro. Sono stato contattato dagli architetti cui si deve il pro- getto. Io mi sono occupato della realizzazione delle lettere, insomma la finitura. Non giudico la bellezza dell’opera né altro, ho messo il mio impegno per realizzarli lavorando di notte, perché per usare quel- le colle doveva esserci la corretta temperatura. Non è stato facile, anzi è stato logorante completare quelle 69 lettere».

Paolo Mezzadri ha modi affabili e “non se la tira”, però i riconoscimenti per il suo talento si stanno impennando, tanto che alcune sue opere fanno bella mostra di sé nell’ultimo film di Gianni Amelio, “Il signore delle formiche”. Si possono vedere anche nel trailer del film, candidato il mese scorso quale miglior film al Leon d’Oro al Festival di Venezia.
«Ho incontrato Gianni Amelio nel castello di Montanaro che ospita le mie opere in ben 28 stanze che mi sono state messe a disposizione dalla famiglia Spaggiari, proprietaria. Siamo stati assieme per un paio di giorni attraversando le varie stanze spostando le opere alla ricerca delle luci e delle ombre ideali. È stata un’esperienza meravigliosa. Hanno selezionato alcuni pezzi e hanno girato in Castello per 15 giorni. Le mie opere che sono più visibili nel film sono le mie 35 scale, ognuna delle quali rappresenta una persona che ho conosciuto nella vita. Sono persone che ho amato per un minuto, che mi hanno deluso per dieci anni, che ho conosciuto al bar, ma tutte che mi hanno detto qualcosa. Sono scale fragili, che rischiano di cadere come rischiamo di farlo noi. I pioli rappresentano le opportunità che la vita ti dà: sta a te scegliere se deformarti per seguirle, sapendo che se lo fai non sarai più lo stesso».

Ci parli di un paio di scale.
«Una rappresenta un pescato- re conosciuto in Bretagna. Mi ha preparato cozze e sidro e mi ha raccontato le sue storie davanti al- la moglie che le avrà sentite mille volte. Un’altra scala rappresenta una donna che incontrai in un bar in cui mi fermai mentre ero diretto alla Malpensa per prendere un aereo in direzione Grecia. Mi fermai a bere un caffè e lei mi chiese un consiglio su come comportarsi col marito che aveva appena tradito. Le risposi che se quel tradimento era d’amore doveva parlargli, se un episodio allora poteva tacere. Certi incontri durano due minuti ma ti segnano. Forse lei era lì non per avere da me una risposta, ma per lasciarmi quei pensieri. Questa scala l’ho immaginata incrociata».

Torniamo indietro di qualche anno, a quando un imprenditore di 40 anni decide di mollare tutto e diventare artista.
«Una scelta fatta per non morire: sentii il bisogno di trovare una via che desse un senso alla mia vita. Ognuno di noi ha davanti una strada da percorrere. C’è chi se ne accorge a18anni e chi a70 ma succede a tutti, e quando accade devi avere il coraggio di vivere questa svolta. Io ho affrontato questo viaggio che mi porta nel silenzio, nella lettura, nella poesia e nei colori a 40 anni. Quando avevo 10 anni volevo fare l’archeologo, anzi l’esploratore. Mio padre mi chiese di lavorare con lui in azienda per pochi anni: ci rimasi dai 18 fino ai 40 anni. Poi ho fatto la scelta in funzione del tempo, lasciai l’azienda e mio padre mi disse “se ci credi vai coi tuoi piedi”. E così ho venduto l’auto e mi sono comprato un furgone con cui mi diressi in Normandia, da solo, che è la maniera migliore per fare incontri. A Mont Saint Michel, col cielo grigio, l’oceano grigio e la sabbia grigia mi ritrovai a piangere, pensando che la vita forse mi aveva ribaltato. Per dirla alla cremonese, mi ritrovai “a cül in sö”. Era un viaggio senza meta, poi mi sono tranquillizzato. Era l’estate 2006, l’Italia aveva appena battuto la Francia ai Mondiali e io finisco in mezzo ai campi senza benzina e senza contanti. I bar sono chiusi, entro in un locale dove mi accoglie una donna di 70 anni, bellissima. Chiedo da mangiare, ha solo da bere, poi le chiedo una stanza. Mi accompagna su per la scala a chiocciola, arrivo in una stanza con letto gigante e un grande specchio, e lì inizio a capire: era un bordello. Mi indica un bistrot per mangiare qualcosa, poi rientro e il locale non è più vuoto ma pieno di persone brutte, in disarmo. Scoprono che sono italiano, gli azzurri avevano appena beffato la Francia di Zidane e a quel punto faccio l’italiano vero: offro birra a tutti i presenti, facendomeli amici. È stato un viaggio profondo, che mi ha incoraggiato a procedere nel mio percorso. Ancora oggi mi porto dentro i pezzi (le sue opere, ndr) che escono ogni volta che attraverso un momento brutto. Un giorno uno psicoterapeuta mi disse che sono il prototipo ideale dell’alcolista e cocainomane, ma che mi salvo riuscendo a buttare tutto fuori, nei miei pezzi».

Fatto sta che lì inizia il suo nuovo rapporto col metallo.
«Nonno faceva cancelli e inferra- te e ho sempre amato il ferro, che per la gente pesa, puzza e sporca, che per me sono fattori motivanti. La ruggine non è che cambiamento, come cambiamo noi col tempo. Non riesco ad eseguire ordini, tutto quello che faccio è frutto dei miei pensieri, nasce dalla condivisione, il contrario della volgarità che non sopporto. Io non ho clienti, non riesco a parlare subito di lavoro, prima devo trovare sintonia. Vivo negli spazi espositivi del castello di Cadeo del 1200 e di Montanaro del 1100, senza acqua e corrente, vivendo completamente l’esperienza della stagione: coi bracieri accesi in cortile divento il guerriero del castello».

Ha realizzato fra l’altro uno splendido pannello che è una mappa storica della città di Parma. «Due anni fa la Fondazione Cariparma si presentò al castello con una delegazione di cui faceva par- te Francesca Magri, che è nel cda. Li accompagno e dopo un po’ vedo che lei piange, commossa dalle mie parole. Ho fatto quel pannello, ma il mio piacere è stato entrare nel- lo stesso fascio di luce con quella persona».

Il suo lato artistico coinvolge anche la fotografia e la scrittura. «Ho scritto “Mino, storie di un uomo che non ha mai capito nulla”: una compagnia teatrale lo porterà in scena, in un progetto col Teatro Parenti di Milano e uno in Salento. Nino è un oste che ho conosciuto dalle parti di Borgotaro, in realtà non conosco il suo nome anche se lo frequento da dieci anni: è superfluo, conta la sintonia che si è creata. Ho anche un progetto per mettere le mie opere sugli spiaggioni del fiume Po, e anche nei campi che accompagnano il Po da Cremona a Casalmaggiore: dobbiamo lavorare con la materia del territorio, quindi giocare con nebbie e silenzi, non certo con montagne e mare. Poi ho due sogni: “portare a casa il ferro”, cioè farlo sciogliere in un vulcano, e lasciare pezzi in spiaggia all’isola del Giglio, che amo, trasformandomi in un Robinson Crusoe che attende i visitatori che arrivano in barca».

Cos’è l’arte?
«Quando vado a vedere una mostra devo uscire con un pugno nel- lo stomaco, per entrare in simbiosi con l’autore. La mostra deve creare dubbi pazzeschi. Ecco, penso che l’arte debba essere spiegata non dai critici ma dagli psicologi, che ti danno una visione. Prima bisogna capire perché un’opera è stata fatta, poi si può giudicare, manca l’educazione».

Già, a proposito dei totem...
«Ho anche messo lettere nei vasi per conserve: le lettere alimentano l’anima. Un giorno, aprendo quelle scatole, si troveranno le lettere che ci sono mancate».

C’è qualcuno nella vita che invidia?
«Invidio solo non aver fatto la mia scelta prima, ma se è arrivata a 40 anni vuol dire che quello era il tempo maturo. E poi cosa dovrei invidiare? Non sappiamo gli altri cosa si portano dietro. Ma quando si aprono con te, è come leggere un libro».

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