CULTURA - Matteo Zola, direttore di East Journal, ci spiega i veri motivi della guerra in Ucraina
FEDERICO PANI
Prima della notte tra il 23 e il 24 febbraio del 2022 sarebbe stato ancora lecito chiedersi perché occuparsi in modo approfondito dell’Est Europa? Da quella notte la sola domanda lecita è: come fare a informarsi in modo completo su quella porzione d’Europa? East Journal è una rivista online che si occupa proprio di fornire un’informazione accurata e competente su quel che accade ai nostri vicini orientali. Il direttore della rivista è Matteo Zola (nella foto), a cui va ascritta anche la cura del volume appena pubblicato, “Ucraina. Alle radici della guerra”, che vanta peraltro la prefazione di Anna Zafesova, giornalista della “Stampa”. L’introduzione è stata scritta dal cremonese Giovanni Catelli, che affianca alla sua produzione letteraria, un’intensa attività giornalistica sulla rivista e non solo.
Al direttore Matteo Zola abbiamo rivolto un paio di domande, per capire meglio lo spirito della testata, ma anche quello del volume appena pubblicato.
Come nasce, si struttura e si sviluppa “East Journal”?
«East Journal nasce per gioco, una notte di tredici anni fa, quando misi un annuncio su quello che era il
mio blog personale chiedendo se c’era qualcuno che volesse portarlo avanti con me. All’epoca frequentavo ancora il master in giornalismo di Torino e avevo sviluppato un interesse per l’Europa centro-orientale. Accadde che una ragazza rispose, era fresca di laurea in giornalismo e viveva a Budapest. Fu così che tutto cominciò. Da allora il progetto è cresciuto insieme alla professionalità delle persone che ne fanno parte: eravamo studenti, oggi siamo docenti, lavoriamo per le organizzazioni internazionali, ma lo spirito è lo stesso di sempre: raccontare quella parte di mondo, che eravamo convinti fosse centrale per il futuro dell’Europa, a un pubblico di non addetti ai lavori, in modo semplice ma non banale, preciso ma non pedante, chiaro ma profondo. Accanto a molti giovani, cui diamo lo spazio che altrove non troverebbero, c’è un nucleo storico ormai esperto che verifica e supervisiona il lavoro. Un lavoro davvero non facile, perché condotto sempre in modo volontario, da tutti, me compreso. La gratuità di East Journal è stata la sua forza, perché a unirci è stato il comune interesse e la comune visione della politica internazionale, non la convenienza economica. E ci ha dato libertà. La libertà di scrivere quello che vogliamo, facendo i conti solo con la nostra coscienza e la nostra professionalità».
mio blog personale chiedendo se c’era qualcuno che volesse portarlo avanti con me. All’epoca frequentavo ancora il master in giornalismo di Torino e avevo sviluppato un interesse per l’Europa centro-orientale. Accadde che una ragazza rispose, era fresca di laurea in giornalismo e viveva a Budapest. Fu così che tutto cominciò. Da allora il progetto è cresciuto insieme alla professionalità delle persone che ne fanno parte: eravamo studenti, oggi siamo docenti, lavoriamo per le organizzazioni internazionali, ma lo spirito è lo stesso di sempre: raccontare quella parte di mondo, che eravamo convinti fosse centrale per il futuro dell’Europa, a un pubblico di non addetti ai lavori, in modo semplice ma non banale, preciso ma non pedante, chiaro ma profondo. Accanto a molti giovani, cui diamo lo spazio che altrove non troverebbero, c’è un nucleo storico ormai esperto che verifica e supervisiona il lavoro. Un lavoro davvero non facile, perché condotto sempre in modo volontario, da tutti, me compreso. La gratuità di East Journal è stata la sua forza, perché a unirci è stato il comune interesse e la comune visione della politica internazionale, non la convenienza economica. E ci ha dato libertà. La libertà di scrivere quello che vogliamo, facendo i conti solo con la nostra coscienza e la nostra professionalità».
Anche a partire dai contributi raccolti nel libro, quali sono i punti che sarebbe meglio fossero chiariti quando si parla della guerra russa in Ucraina? Quali sono, diciamo, le premesse fondamentali per un dibattito che abbia senso?
«Anzitutto dovremmo liberarci dall’idea che il conflitto in Ucraina sia una guerra civile. Non lo è, non lo è mai stato. E poi dovremmo smettere di guardare a quel Paese con quel paternalismo, un po’ coloniale, che ci fa dire che gli ucraini in fondo sono russi, che dovrebbero arrendersi, che i piccoli Paesi vanno sacrificati nel nome dei pacifici rapporti tra le potenze, considerando questa guerra (e le precedenti rivoluzioni, ben tre) come espressione di volontà d’oltreoceano, eterodirette e fittizie. L’Ucraina esiste, e non da oggi. Se non ce ne siamo mai accorti, è perché abbiamo sempre guardato al mondo post-sovietico dal punto di vista russo. È ora di affrancarsi da questa visione, novecentesca e parziale, aprendoci a un dibattito che, benché plurale e critico, resti fondato sui fatti e non sulle balzane teorie, o prezzolate bugie, di sedicenti esperti da talk-show. Ci sono persone in Italia che studiano da anni l’Ucraina, ma raramente le ho viste invitate in televisione. I propagandisti del Cremlino, però, ci vanno sempre. Addirittura, Vladimir Solov’ëv, anchorman della tv di stato russa (non certo un media libero e indipendente) è stato invitato in tv a parlare della guerra senza contraddittorio. I media devono garantire il diritto a un’informazione corretta e rispettosa dell’intelligenza delle persone. È quello che questo libro, nel suo piccolo, cerca di fare».
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