Il fascino oscuro del dialoghista di Disney

CULTURA - Nunziante Valoroso ci racconta la caratteristiche del suo lavoro dietro le quinte, ma importante


FEDERICO PANI
Traduzione, adattamento e doppiaggio sono lavori che restano in ombra: si potrebbe persino pensare che meno li si percepisce, più siano riusciti. Ma le cose stanno davvero così? Ne parliamo con Nunziante Valoroso (nella foto), traduttore, adattatore, dialoghista e massimo esperto del doppiaggio italiano dei classici della Disney.

Come dobbiamo immaginarci il suo lavoro, il dietro le quinte del lavoro sui testi che poi finiscono in sala di doppiaggio? È davvero un lavoro nell’ombra?

«Direi di sì, il lavoro del dialoghista è veramente un po’ nell’ombra a mio parere. Si parla molto di più del direttore del doppiaggio (e spesso le due figure coincidono, forse il problema è anche questo). Noi in genere lavoriamo in solitudine vicino ad un pc e tra le scartoffie, cercando di far coincidere tempi di consegna sempre più stretti e qualità artistica. Nel mio piccolo ho sempre cercato di portare avanti la nostra figura professionale, citando il più possibile i nomi. Dopotutto, se non ci fosse il dialoghista, il direttore non avrebbe il materiale per dirigere e l’attore le battute da recitare».

Ci può dire qualcosa di Roberto de Leonardis, il traduttore dei classici Disney a cui ha dedicato il suo libro “Un comandante alla corte di Walt Disney”?

«De Leonardis era un genio, un poeta della scrittura e sono convinto che in massima parte la fortuna che hanno avuto le produzioni Disney in Italia sia dovuta a lui, alla sua arguzia ed alla sua capacità di trasfondere nella nostra lingua e cultura il mondo disneyano, un po’ come ha fatto, con la carta stampata, l’editore Arnoldo Mondadori con la sua Casa. Non a caso entrambi sono stati insigniti del premio “Disney Legend”, che viene assegnato dalla Disney Company alle figure che hanno dato lustro alla società nel corso degli anni. Non dimentichiamo che Roberto era anche paroliere. Capolavori dei testi italiani come quelli di “Mary Poppins” o “Alice nel paese delle meraviglie” sono merito suo».

Recentemente, si è occupato anche della traduzione delle biografie di John Belushi e di Jerry Lewis: perché ritiene sia utile ricordare le storie di questi due uomini fuori dal comune?

«In effetti la traduzione mi è stata proposta da Carlo Amatetti, proprietario della casa editrice Sagoma. Ovviamente conoscevo i due attori, ma mi ha stupito che le biografie fossero essenzialmente storie molto personali e drammatiche di due persone, devo dire, anche molto piene di sé e, tutto sommato, poco simpatiche nella vita, soprattutto Jerry Lewis. In particolare, il volume su Jerry Lewis l’ho trovato davvero troppo impostato sul personale, mentre avrei voluto scoprire più dettagli sulla carriera cinematografica dell’attore. Ho comunque potuto collaborare in prima persona al testo inserendo un capitolo finale su Carlo Romano, il leggendario doppiatore di Jerry. Credo sia comunque importante ricordare sia Jerry che John perché dai loro comportamenti ed anche dagli errori si possono ricavare delle ottime lezioni di vita».

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