Il femminismo precoce nell’auto di Stefania Turr

 CULTURA - Nata a Roma di origini ungheresi, fu corrispondente di guerra e amante delle 4 ruote. Cancellata dalla macchia fascista


ALESSANDRO ZONTINI

 

La letteratura di viaggio, specifico segmento che si occupa di viaggi, delle motivazioni dei viaggi, sia fisici e reali che immaginari e metafisici, appare, superficialmente, come appannaggio di scrittori di sesso maschile: Omero, Marco Polo, Robert Louis Stevenson, Johann Wolfgang von Goethe, Paul Theroux, Bruce Chatwin, Jack Kerouac, Tiziano Terzani ma, anche, Dante autore del viaggio metafisico-iniziatico compiuto e descritto nella Divina Commedia. 

E le donne? Al solito sembra che la cultura imperante si sia scordata in blocco dei contributi, importantissimi, che il gentil sesso ha consegnato al settore. Tanto per citare un nome celebre, noto specie nel mondo anglosassone, una scrittrice/viaggiatrice come Alexandra David Neel, la prima donna occidentale ad entrare, abilmente camuffata, nel 1924 a Lhasa, la capitale del Tibet interdetta agli stranieri, sembra del tutto obliterata nel nostro Paese a maggior vantaggio di mediocri scrittrici funzionali a qualche effimera moda destinata rapidamente a scomparire dall’orizzonte oppure in linea con il mediocre, imperante, agone politico. 

Talvolta, tuttavia, nel corso della storia, è stata proprio un’adesione politica a delegittimare qualche autrice la cui esperienza, viceversa, avrebbe dovuto essere custodita come faro illuminante sia della letteratura - anche quella di viaggio – che, in termini più generali, dell’emancipazione femminile. Caso emblematico di questo censurabile orientamento è la vicenda di Stefania Turr la cui adesione al fascismo ne ha comportato, nonostante le istanze sinceramente protofemministe e le richieste di uguaglianza e parità nei diritti tra uomo e donna, la riprovevole “cancellazione” da una cultura miope che ha valorizzato solo il dato – sincero o opportunistico che fosse – politico obliterando il valore artistico. Stefania Turr, di origini ungheresi, è nata a Roma nel 1885 e, già sposa e madre, non ha avuto tentennamenti nel partire per il fronte, durante la Prima Guerra Mondiale ove, autentica anticipatrice di Oriana Fallaci, ha rivestito il ruolo di intrepida corrispondente riuscendo ad incontrare ed intervistare sia il re Vittorio Emanuele III e il generale Cadorna che gli umili fanti nelle fangose trincee dei teatri di guerra. La Turr, genio poliedrico, fondava e dirigeva anche il mensile “La Madre Italiana. Rivista mensile pro orfani di guerra”, pagina con tendenze militariste che contempera sia l’esigenza dell’azione bellica che l’esigenza per la donna di cogliere una nuova consapevolezza del ruolo che stava assumendo nella società moderna: gli uomini, infatti, erano al fronte e, quindi, era compito delle donne ricoprire quei ruoli che, fin ad allora, erano di precipua competenza dei propri padri, mariti, figli, fidanzati e fratelli. Le donne non dovevano svolgere solo funzioni di crocerossine ma rivestire ruoli di operaie, vivandiere e supportare la logistica militare. Sono, secondo le intenzioni di Stefania, le eroine, perfettamente inserite nella nuova società della nuova Italia che sorgerà dopo la vittoria. L’esperienza delle trincee della guerra, tuttavia, non basta all’intrepida Stefania che, conclusosi il conflitto mondiale, decide di dedicarsi ai viaggi, più come esploratrice che come turista. Le indiscusse qualità di scrittrice, affinate nel corso del conflitto, indirizzano la Turr alla redazione di tre volumi, rari da trovare nell’edizione italiana, ma magnifici per intenzione e respiro: “I viaggi meravigliosi: Danimarca, Norvegia, Spitzberg, Svezia, Finlandia” (Tipografia Giuntina, Firenze, 1926), “Le impressioni di una automobilista” (Editore Franceschini, Firenze, 1930) e “Il Collaudo della Colombina Due” (Bemporad e Figlio, Firenze, 1931). Questi libri sono un’amalgama, molto ben riuscita, di narrazioni dei luoghi visitati sotto forma di affreschi vivi ed affascinanti, di precise caratterizzazioni dei vari personaggi che la Turr incontra sul suo cammino, annotazioni personali, elogi al Duce d’Italia e alla grandezza della Patria, descrizioni incuriosite dei popoli di luoghi visitati - apparentemente - lontani. Peraltro, gli anni in cui Stefania Turr viaggiava coincidevano con quelli della diffusione di un tardo Futurismo, corrente artistica che, più d’ogni altra, doveva influenzare il costume, la moda e la società dell’epoca. L’autrice, con la consueta dose di lungimiranza che la connotava, compreso perfettamente l’aspetto così dinamicamente rivoluzionario del Futurismo, proprio come F. T. Marinetti che, all’inizio del secolo, scorrazzava per le strade di Parigi a bordo del proprio veicolo, intraprendeva i suoi viaggi di avventurosa esploratrice sempre a bordo di una rombante, futuristica, automobile. Il primo mezzo utilizzato da Stefania per compiere i suoi pionieristici viaggi era una Fiat 509, la “Colombina” 1, cui seguiva una berlinetta Alfa Romeo 6C 1750 GT, la “Colombina” 2. In particolare colpisce la passione per un mondo, quello dell’automobilismo, apparentemente appannaggio del sesso maschile, da parte di una giovane, dinamica, donna che dimostra una perfetta conoscenza dei motori, delle tecniche di guida, della manutenzione del mezzo che conduceva, macinando migliaia di chilometri per tutta l’Europa. La Turr, dalle sue pagine, dispensa utili suggerimenti: “il migliore tra i lubrificanti è appena buono abbastanza per la vostra macchina. Non esitate mai sul prezzo e quindi sulla qualità dei lubrificanti” e, ancora, “ogni duemila chilometri d’estate, ogni mille chilometri d’inverno si cambi l’olio, ripulendo il carter con olio fluido. Contemporaneamente si verifichi il funzionamento delle valvole della pompa e si ripuliscano i filtri”. Come farà, nel 1932, Massimo Bontempelli che, nel suo romanzo “522”, umanizza quasi come un componente famigliare la vettura, la Turr si rivolge direttamente al suo mezzo: “l’ingresso della Colombina a Parigi è semplicemente trionfale. Avvicinandosi alla “Porte d’Italie” le ho tenuto un discorsetto di cui essa ha capito tutta l’importanza”. Allo stesso mezzo dedica delicate, grandi attenzioni, quasi materne: “la Colombina reclama acqua, olio e benzina…”. La vettura, umanizzata, diventa il necessario viatico per l’affermazione della vitalità della donna e di come, al pari dell’uomo, questa debba avere il suo spazio nella società. “L’automobile deve diventare la compagna quotidiana, l’amica sincera della donna italiana, - signora, professionista, impiegata che sia, - per arrivare prima a destinazione, sbrigare più velocemente i propri affari, ……” e con sinceri slanci protofemministi chiosa: “sta a voi Costruttori Italiani accaparrare anche queste signore, (…) perché si sa che se la donna adocchia un’automobile, le piace, la vuole, e le viene consegnata senza chiedere oneri troppo gravosi (…) questa donna diventerà certamente una cliente affezionata”. Una donna, in sostanza, che vive le rombanti emozioni che la storia le accorda. E, queste emozioni, la Turr le narra, a metà tra il parafuturismo e la cronaca turistica: “da Lodi la strada è un biliardo, filo a ottanta chilometri. Le tempie mi battono forte, forte: nel cuore si forma il vuoto quando infilo la curva senza rallentare con quel che segue…”. Numerosi i richiami alla grandezza della Patria ed ai suoi eroi: “Costeggio la bella pineta di Classe che fornì legname alle navi di Roma, ispirò poeti, più degli altri Dante”, Carducci e la Versilia, addirittura Pinocchio e il Capo del Governo: “Guarda anche Mussolini, che di velocità se ne intende, non ha mai voluto altra macchina che l’Alfa”. Grande amor di patria, militarismo, passione politica, dinamica azione, nazionalismo conducono la Turr sulle strade d’Italia e d’Europa ma, anche, quale profetica anticipatrice del mondo moderno: “L’automobile anche da noi dovrà imporsi ed essere considerata come un mezzo di lavoro e produzione, e non come un oggetto di lusso irraggiungibile, quando in tutto il mondo sta diventando un bisogno universale”. 

La Turr, nel 1940 a soli 55 anni, a seguito di una grave malattia, partiva per l’ultimo viaggio sempre a bordo di una delle sue “Colombina”. Non le sarebbe piaciuto questo mondo, frutto della globalizzazione e di connubi politico/economici frammentati e poco lineari, dove le nazioni smarriscono le loro particolarità. Decisa e detonante, infatti, affermava: “Signori uomini acquistando un’automobile piccola o grande, semplice o lussuosa, compratela soltanto italiana”. L’amore per l’Italia era totale.

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