«Parlate sempre coi fiori e con la luna»

Pace, libertà, amore, nostalgia, speranza nella poesia occitana di Piero Raina, autodidatta classe ’21 


di vittorio dotti

Ubicata in alta Val Maira a 1637 metri, cinta da alte montagne e dal profumo balsamico di pinete resinose, Elva è un villaggio alpino che ha conservato fino ai nostri giorni le sue caratteristiche essenziali: “Un angolo di sogno, dove la montagna ha il respiro dei larici e degli abeti; un paese fra cielo e verde, oltre le strade battute, dove il silenzio è più dolce e la solitudine non pesa.” Così la dipinge Piero Raina ne “I canti della mia terra”, opera prima del poeta autodidatta nato a borgata Brione nel 1921. Apicultore, pastore, coltivatore di genepì, amministratore e sindaco del suo amato paese, Raina, in prosa e lirica italiana ma soprattutto nel dialetto occitano di Elva, fa assurgere l’anima verticale dei monti ad archetipo di forza e vitalità insite nella millenaria cultura contadina. Con “poesie semplici e disadorne / scritte la sera / al ritorno dal lavoro dei campi”, il poeta-contadino ci conduce in un mondo dove "i vecchi erano i saggi del paese", in cui si mangiava cibi semplici quel che si aveva: ah quel latte!”, quando “eravamo poveri, ma la gente era serena e non malediva”; un mondo i cui valori fondanti sono la purezza, la pace, la libertà, l’amore, la poesia. Con l’incisività e il rilievo della sintassi vernacolare, Raina conia “stampi immaginativi” (Pavese) coi quali fa vivere “il mondo dei vinti” (Nuto Revelli) che non si rassegnano a sentirsi vinti: “Questa è la Maira: uomini animosi e saldi / D’una virtù spartana. / Instinctu naturali; aborrentes servitutem / Et amantes libertatem”. Eroe di questa epopea è il pastore, di cui il poeta scrive: “Non hai visto / Che cieli puliti, / Colori del paradiso / Attraverso i pascoli del sole. / Non hai ascoltato / Altri rumori / Che risonanze di acque, / Tocchi leggeri di campani. / Non hai raccolto altri odori / Che aromi di timo e di ginepro. / Non hai visto / Il grigio del cemento / Sotto il cielo nero dello smog. (...) Ma soprattutto non hai provato / A sentirti solo, / Stretto / In mezzo alla folla.” E’ nelle città, dove l’uomo di montagna “solo amico di Rocce e d’alture” spesso è costretto a emigrare per cercare lavoro, che “il delirio dei Potenti / Le brame dei Tiranni / Le voglie dei mercanti / Avean tratto l’inferno in su la terra” inscenando con la guerra “il volto nuovo della barbarie antica”.

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