Il reddito di cittadinanza, ma quale? Per Van Parijs spetta a tutti i cittadini


INCONTRI • Il filosofo ed economista belga, uno dei massimi esperti, sarà a Cremona venerdì 18 per illustrare la sua proposta 


di Vanni Raineri 
Il Forum delle Idee ha organizzato due incontri di grande interesse per il prossimo fine settimana al fine di “Ripensare il welfare”. Venerdì (ore 21) sarà presente a Cremona Philippe Van Parijs, professore all’Universita belga di Lovanio per par-are del “Reddito di cittadinanza”, sabato 19 (alle 16,30) toccherà all’economista cremonese Carlo Cottarelli alle prese con “Debito pubblico e riforme”. Entrambi gli incontri si terranno in Sala Zanoni, via del Vecchio Passeggio 1. 
Cottarelli lo conosciamo tutti. Soffermiamoci dunque su Philippe Van Parijs, uno dei massimi teorici al mondo su un tema tanto attuale in Italia quale è il reddito di cittadinanza. Attuale perché punto di forza elettorale del Movimento 5 Stelle, e perché, con un mercato del lavoro che sta cambiando con grande rapidità e non riesce a garantire i livelli occupazionali del passato, i governi devono comunque preoccuparsi di chi rimane indietro. Ma il reddito di cittadinanza è solo una misura assistenziale? E di cosa si tratta esattamente? 
In attesa di incontrare l’illustre professore, anticipiamo il suo pensiero saccheggiando due interessanti interviste. La prima è stata fatta da Giuliano Battiston, la seconda dal giovane cremonese Daniele Aglio, del Forum delle Idee, che l’ha incontrato proprio a Lovanio. 
Van Parijs parte dalla necessità di introdurre un reddito di base che sia universale e incondizionato, per far fronte ad una società, quella del XXI secolo, in cui l’organizzazione del lavoro, sempre più tecnologico, si è trasformata. 
COS’E’ IL REDDITO BASE
La prima distinzione che va fatta è con il reddito di cittadinanza inteso dai 5S, che è condizionato dal reddito, dal nucleo familiare, dalla disponibilità ad accettare un lavoro nell’arco di qualche anno eccetera. Qui il discorso è diverso: «Ci sono tre tipologie di protezione sociale - afferma Van Parijs -: l’assistenza sociale, l’assicurazione sociale e il cosiddetto dividendo sociale. L’assistenza sociale è la più antica: si tratta di un aiuto ai poveri in maniera molto condizionale. Oggi il sistema di reddito minimo garantito che conosciamo in molti Paesi (non in Italia) fa parte di questa tipologia. L’assicurazione sociale invece non è un aiuto governativo ai poveri, ma un tipo di solidarietà tra i lavoratori, contro i rischi di malattia, vecchiaia, infortunio o disoccupazione involontaria: si pensi al peso delle pensioni come voce di spesa pubblica. Infine, il terzo modello, quello del dividendo sociale, è il reddito di base: un modello completamente diverso, che si fonda su un’eredità che riceviamo tutti dalle generazioni anteriori in combinazione con la natura. Tale eredità è incorporata soprattutto nei nostri salari: ad esempio, il reddito reale medio di un barbiere nel 2017 in Italia è molto più elevato di un barbiere di 100 anni fa o di uno in India e ciò è causato dall’accumulazione di capitale e allo sviluppo di istituzioni giuridiche e sociali che hanno incrementato la produttività del lavoro. Dunque, il dividendo sociale è dato a tutti sulla base di questa eredità che ci proviene dal passato. E’ simile all’assistenza sociale perché non è legato a contributi pagati, ma ha caratteristiche comuni anche con l’assicurazione sociale in quanto non è uno strumento di caritas ma un diritto». 
Van Parijs elenca una lunga serie di filosofi, economisti e rivoluzionari a corredo delle proprie teorie, ma non è questo lo spazio ideale per approfondirla. 
POSSIAMO CAMBIARE? 
Chiaro che il sistema di welfare dovrebbe essere modificato, e ci si domanda se siamo in grado di sostenere un tale peso. E quali conseguenze si prevedono sul mercato del lavoro? Inoltre, quali sono le critiche principali a tale modello? Sentiamo Van Parijs: «Molte proposte e versioni di reddito di base sono state avanzate. Nella mia idea, il reddito basico non è qualcosa che sostituisce gli altri due modelli di protezione sociale. Un reddito minimo garantito aiuta questi modelli a funzionare meglio, fornendo uno “zoccolo” alla base degli altri redditi sociali. Quantitativamente, noi abbiamo l’obiettivo del 25% del reddito pro capite come livello minimo di reddito incondizionato». Il che per l’Italia si tradurrebbe in una cifra di qualche centinaia di euro. 
LE POSSIBILI CONSEGUENZE 
Sulle conseguenze: «Alcuni dicono che i salari si alzeranno ed altri credono l’opposto: hanno ragione entrambi, a seconda di quali lavori si prendono in considerazione. Infatti, il reddito di base dà più possibilità per dire no ad alcuni lavori e sì ad altri. Un lavoro scadente può essere rifiutato con maggiore facilità, senza perdere il diritto al reddito basico. Ma allo stesso tempo, dato che il reddito di base si può combinare con altri redditi perché è universale, una persona può accettare un lavoro poco pagato ma interessante. Questo è molto importante per permettere ai giovani di formarsi. Una obiezione etica sostiene che non è giusto dare una rendita anche a chi sceglie di non lavorare. Questa è l’obiezione più diffusa e importante. Però, ammettiamo pure che la giustizia stia nel distribuire il reddito secondo quanto lavoro utile per la società si compie: un reddito basico sarebbe un progresso anche in tale direzione perché c’è molto lavoro utile che non è pagato nella società, ad esempio le casalinghe. Chi critica il fatto che si darebbe anche ai ricchi è invece superficiale: i ricchi finanzierebbero il loro reddito di base e quello di altri, quindi il reddito di base favorisce i poveri e non i ricchi». Obiezione comune: il diritto a un reddito deve essere legato al lavoro o alla disponibilità a lavorare. «Oggi ci troviamo a vivere in condizioni tecnologiche ed economiche molto diverse. Non è necessario fare del contributo alla produttività, dunque del lavoro, una condizione di accesso al reddito. Intendo dire che è possibile dare vita a un’organizzazione della società che non sia basata su questo tipo di etica del lavoro. So che per questo occorre lavorare molto, superando i tanti ostacoli culturali, sia a destra che a sinistra». 
DISOCCUPAZIONE, CHE FARE? 
E veniamo al problema di base: come risolvere il problema della disoccupazione senza crescita continua? «Siamo cresciuti molto negli ultimi decenni, ma la disoccupazione c’è ancora e la precarietà si è diffusa. Inoltre, la crescita è diventata ancor più problematica da sostenere. Allora e oggi, mi sembra che introdurre un reddito di base renda più facile per chi lavora troppo la diminuzione di ore lavorative e favorisca l’entrata di altri nel mondo del lavoro, anche solo part-time. Il secondo problema consiste, invece, nel fatto che per me vi era il problema di formulare un futuro possibile e desiderabile per le società capitaliste che non fosse solo una piccola riforma per problemi particolari, ma che fosse un’utopia alternativa all’utopia liberale e a quella socialista, che professano la sottomissione di tutti al mercato o allo stato. La mia è un’utopia di liberazione. Oggi c’è più che mai bisogno di una prospettiva, dato che stanno emergendo pericolose utopie alternative: populismi, jihadismo. In generale ritengo che il sussidio universale sia elemento centrale per promuovere un’alternativa al neoliberismo, ma non credo affatto che la sua introduzione avrebbe evitato la crisi. Però, se è vero che in alcuni Paesi la crisi risulta meno grave grazie a certe forme di protezione sociale, è altrettanto vero che se avessimo introdotto un sistema di sussidi universali avremmo potuto ulteriormente mitigarne gli effetti. Le condizioni per ripartire sarebbero state migliori rispetto a quelle attuali, in particolare nell’ambito dell’occupazione». 
LA SOGLIA DI POVERTA’ 
Il reddito di base dunque come sistema semplice per ridurre la povertà: «Chi sono i poveri? Adottando una definizione molto semplicistica della povertà in termini di differenze, qualcuno è povero quando il suo reddito è inferiore a una certa soglia, arbitraria, di povertà, definita come livello di reddito reale. E qual è il modo più efficace per eliminare questa povertà monetaria? Tassare un pochino i ricchi, senza renderli poveri, senza cioé che i ricchi finiscano al di sotto di quella soglia di povertà, usando i soldi così ricavati per darli alla gente povera, in modo che tutti siano in grado di oltrepassare la soglia. La formula più semplice e sistematica per dare vita a una politica del genere, anche se non l’unica, passa per il sussidio universale, attraverso un trasferimento lordo di uguale entità a tutti, sia che si lavori sia che non si lavori, in modo tale che laddove chi è povero decidesse di lavorare otterrebbe comunque un reddito più alto rispetto ai periodi in cui decidesse di non farlo». 
Questo in sintesi il pensiero di Philippe Van Parijs. Tra l’altro un reddito base per tutti risolverebbe quelle obiezioni al progetto del M5S che derivano dalla difficoltà nel nostro Paese di individuare i redditi veri e non denunciati, fino al radicamento del lavoro in nero. 


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