Un’81enne di Cremona domenica ha chiamato i Carabinieri segnalando una rapina inventata, cercava solo compagnia. Il 9 luglio stesso episodio a Napoli. Cosa sta succedendo?
Potendo scartare da subito l’ipotesi emulazione, possiamo dire che la doppia notizia dell’anziana che simula il furto in casa chiamando le forze dell’ordine solo per poter parlare con qualcuno rappresenta qualcosa più di un campanello d’allarme. Che la solitudine degli anziani che versano in certe situazioni nel nostro Paese sia un dramma vissuto spesso senza clamore se ne è già parlato e scritto in abbondanza, ma quando accadono cose di questo genere forse è bene fermarsi per una riflessione più profonda.
A Napoli il 9 luglio scorso è accaduto che il 112 squillasse per la chiamata di una anziana che denunciava un furto subito in casa. La donna risulterà poi essere Ester, una donna di ben 91 anni. All’arrivo degli agenti di Polizia giunti nella sua abitazione a Secondigliano la donna, manifestando una strana calma, spiega loro di aver subito il furto e li fa salire nell’appartamento. Qui i poliziotti raccontano di aver visto una somma di denaro sul tavolo, e, già insospettiti dall’assenza di segni di effrazione, capiscono in fretta la verità. Ester prova prima a giustificarsi («I ladri avevano le chiavi di casa») poi cede: «Vi ho chiamato perché volevo uscire a bere un caffé». Gli agenti scendono con lei, che non si accontenta del bar più vicino, ma vuole fare un giretto in compagnia. Dopo il caffé arrivano fino alla parrocchia, dove viene coinvolto il prete nella necessità di garantire compagnia all’anziana. Passano pochi giorni, siamo a Cremona. E’ il 22 luglio, soprattutto è domenica, giorno solitamente dedicato agli affetti. Una pensionata che vive in un appartamento in zona Po telefona al 112, denunciando il furto in atto in quel momento. A rispondere alla chiamata sono stavolta i Carabinieri, che si recano subito sul posto guidati dal maggiore Rocco Papaleo. In questo caso la donna, di 81 anni, non prova nemmeno a fingere l’emergenza, ma scoppia subito a piangere, scusandosi per aver provocato un inutile allarme. Probabilmente nel breve periodo intercorso tra la chiamata e l’arrivo dei militari ha fatto mente locale e compreso il gesto. Aveva solo bisogno di qualcuno con cui parlare, e anche qui i carabinieri hanno ben com- preso il vero dramma che si nascondeva dietro la patina di un finto reato, e si sono offerti di accompagnarla a prendere un gelato, promettendo che sarebbero tornati presto. I due casi sono accaduti a distanza di pochi giorni e di molti chilometri. Può essere che, magari inconsciamente, l’evento di Napoli abbia influenzato il comportamento della donna cremonese, ma quel che conta è quanto sia arduo il percorso di una persona che arriva ad assumere un comportamento simile. La napoletana Ester non ha avuto figli, l’81enne cremonese sì, ma la solitudine è la stessa. Due appartamenti ben tenuti, che non evidenziano segni di degrado, ma che ospitano due esistenze che non riescono ad interagire con gli altri, due storie invisibili anche per chi si occupa di servizi sociali. E’ da qui che si comprende come forse la prima malattia della terza età sia la solitudine.
L’antidoto alla solitudine? Le relazioni
Emilio Tanzi, direttore di Cremona Solidale, avverte: «La mancanza di compagnia non va sottovalutata». Il rimedio? «Suonare i campanelli delle persone sole»
Emilio Tanzi, da tre anni direttore generale di Cremona Solidale, di Ostiano, insegna alla Bocconi di Milano e alla Cattolica di Brescia e ha scritto e svolto ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale. E’ esperto nel campo della conoscenza e analisi comparata di sistemi welfare socio assistenziali in Lombardia. Tra le pubblicazioni, “I costi del- la vecchiaia. Il settore del long-term care di fronte alle sfide del futuro" e “La carta dei servizi in sanità”. Per prima cosa chiediamo cosa sia possibile fare per fronteggiare un fenomeno così invisibile.
«Realtà come la nostra si prendono cura dell’anziano quando si manifestano bisogni sanitari o assistenziali, attraverso le ras, le strutture residenziali o riabilitative, l’assistenza domiciliare integrata eccetera. Effettivamente il nostro sistema di welfare, data la scarsità di risorse, è focalizzato a dare risposte ai bisogni urgenti, più tangibili. La solitudine è però il grosso problema, dato dalla mancanza di relazione, perché spesso si tratta di vedovi, single o soli, e il fatto di essere anziani limita il movimento, la possibilità di spostarsi e l’autonomia per incontrare gli amici. Spesso la solitudine è dettata dal fatto che i figli sono lontani, o sono impegnati».
Ci si domanda cosa si possa fare, ed è un discorso difficile: Che servizio possiamo dare? Un servizio di compagnia? E certificato da cosa?
«La solitudine non va sottovalutata, può sfociare in depressione o non cura di sé, quindi in problematiche di natura assistenziale o sanitaria. Da un convegno che abbiamo fatto è emerso come noi, in veste di realtà di servizi, possiamo farci promotori di reti di relazioni di quartiere. Il problema si acuisce con l’impoverimento sociale che caratterizza le nostre città, dove il negozio di vicinato scompare, e quindi la scomparsa del panettiere, del fornaio, del macellaio, determinano ulteriori motivi per cui le persone non sono spronate ad uscire. Noi sperimentiamo una rete di relazioni con il complesso di via 11 febbraio (il cantiere è in corso per la realizzazione di mini alloggi sperimentali per anziani, ndr), con centro diurno, forme di aggregazione per anziani, il civico 81, scuole, parrocchia eccetera. Abbiamo utilizzato un ragazzo del servizio civile in Casa Barbieri per fare il maggiordomo di condominio, la persona che passa a suonare i campanelli di persone sole e anziane accompagnandole a fare la spesa o in farmacia o anche facendo con loro due chiacchiere. Ovvio che questa è un’attività che deve essere svolta dal volontariato, ad esempio ci sono tanti soci Auser anziani ma in buona salute che possono pure svolgere questo tipo di attività. Si possono anche sperimentare soluzioni di housing sociale, proponendo che vicino di casa dell’anziano sia magari uno studente che si interessa delle sue esigenze: un wel-fare informale ma non per questo meno prezioso. Poi è importante avere centri di aggregazione per anziani, e a Cremona ci sono. Altro problema è la cura delle relazioni».
Tra l’altro il fenomeno appare in crescita, dato il nu- mero medio di figli che cala, i casi di separazione in aumento e il trasferimento di tanti figli all’estero. L’impressione è che questa emergenza sia destinata ad acuirsi.
«Certo, e ribadisco la sperimentazione che portiamo avanti con gli appartamenti protetti di via 11 febbra- io, creando un polo con via Bonomelli e sinergie col mondo delle cooperative. Questo in una commistio- ne generazionale (per questo lavoriamo con le scuo- le) che risulta utile ad entrambi e può creare legami, relazioni che vanno oltre la sperimentazione. Detto ciò, noi possiamo facilitare l’incontro, poi sono le persone a costruire la relazione. Certamente una so- luzione che può aiutare l’abbiamo ed è la comunità “Duemiglia” di alloggio anziani che accoglie persone con fragilità sociali: non sono più nelle condizioni di restare a casa da sole e sono potenzialmente a ri- schio. Ovvio che è loro la scelta di non abitare a casa. Si potrebbe anche pensare ad un servizio di- verso ma a pagamento (a carico delle famiglie): og- gi si assume una badante solo quando si manifesta un bisogno forte, potremmo pensare a una “badan- te light” che si preoccupi di passare ogni tanto nel- le abitazioni delle persone sole: a Milano la chiama- no badante di condominio, o di quartiere».
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