Car-T, è la svolta sui tumori? Passalacqua: «Terapia fantastica»

SALUTE • «Questa metodica è limitata a lifomi e mielomi, ma si lavora per allargarla». Il nodo dei costi

Il dottor Rodolfo Passalacqua dirige da 16 anni Oncologia a Cremona, ed ha svolto svariate ricerche nel settore 

di Vanni Raineri 
Capita, di tanto in tanto, che grande rilievo mediatico venga dato agli sviluppi di una ricerca contro il cancro che promette di rappresentare una svolta epocale. Annunci che sistematicamente danno luogo a grandi aspettative, che altrettanto sistematicamente vengono deluse. La ricerca prosegue in modo molto efficace, e ogni anno che passa si fanno grandi progressi nella lotta contro i tumori, ma purtroppo non è una battaglia semplice, che si possa vincere con una sola scoperta, una soluzione definitiva L’ultima speranza, cui la stampa ha dato nei giorni scorsi grande enfasi, è rappresentata dal cosiddetto Car-T, un procedimento complesso (da qui la necessità di semplificare da parte dei mezzi d’informazione) che consiste nel prelevare le cellule da un paziente, modificarle geneticamente in laboratorio per “insegnare” loro a riconoscere, una volta reintrodotte nel paziente, le cellule tumorali. 
Un approccio terapeutico che per la verità nasce da un’idea vecchia di parecchi anni; la novità sta nel fatto che l’Ema (Agenzia Europea per i Medicinali) la scorsa settimana ha dato il via libera ai primi due farmaci, ed il primo Paese ad approvare la terapia è stato, mercoledì, il Regno Unito. 
Di speranze, di realismo, di contenuti, parliamo con il dottor Rodolfo Passalacqua, che dirige da ben 16 anni il reparto di Oncologia dell’ospedale di Cremona, ed ha all’attivo un lunga attività di ricerca, responsabile e componente di diversi progetti internazionali, oltre che fondatore a Cremona di MedeA, di cui è stato per anni presidente, autore di decine di lavori scientifici e relatore in centinaia di congressi nazionali e internazionali.
«I limiti di applicazione non sono solo nel prezzo elevato, ma anche nel fatto che il metodo non è applicabile nella maggior parte dei tumori. Questa metodica è stata introdotta in America per il trattamento di alcuni linfomi, tumori del sangue, soprattutto leucemie infantili, e recentemente mielomi, ma ancora nel nostro Paese non è arrivata, se non per pochissimi casi. Il motivo è semplice: ancora non c’è dimostrazione che funzioni nei tumori solidi, che rappresentano la maggioranza delle patologie oncologiche, e che sono quelli che curo io, mentre dei tumori del sangue si occupa il mio collega ematologo. Oggi non esiste una cellula Car-T contro il tumore della mammella, dello stomaco o del polmone. Resta il fatto che si tratta di un meccanismo fantastico». 

C’è speranza che la ricerca possa allargare la cura alle altre patologie? 
«Certo, e ci stanno lavorando decine di laboratori di altissimo livello nel mondo. Non si tratta di una ricerca facile: si tratta di armare i linfociti per arrivare a colpire dopo essersi riprodotti nel corpo. Tutta la terapia è una sola flebo, reinfusa con cellule viventi: per questo lo si chiama anche “farmaco vivente”. Il principio è eccezionale, si tratterà nei prossimi anni, attraverso la ricerca in laboratorio, di produrre linfociti armati anche contro i tumori solidi, mentre per le cellule del sangue è più facile perché originano degli stessi precursori ematopoietici, quindi portano molecole per armare contro gli antigeni CD19».

Qui andiamo sul difficile. Lasciamo agli esperti la terminologia scientifica accontentandoci del fatto che si stanno facendo ulteriori passi per intervenire su cellule non solo del sangue. 
Un problema non indifferente è il costo della terapia. Il singolo farmaco, secondo il costo definito dal governo britannico, supera i 300mila euro. Ovviamente la domanda è più politica che scientifica, ma è evidente che al momento il Servizio Sanitario Nazionale non si può permettere un suo impiego massiccio. 
«Non sappiamo quando questa cura potrà essere disponibile. Riguarda una minoranza, che però è di migliaia di casi. Il problema della spesa ovviamente non è indifferente, ma come già avvenuto in passato, ci sarà un affinamento delle metodiche, e altre industrie avranno il loro Car-T (al momento sono solo due, ndr), e di conseguenza le spese caleranno». 

Altri aspetti problematici vengono individuati nella possibilità di recidiva e negli effetti collaterali rilevanti. 
«Purtroppo non tutti guariscono, ma i tumori non hanno quasi mai un unico meccanismo di sopravvivenza, e il discorso vale anche in questo caso. Quelli che anche in piccola parte non hanno sulla membrana l’antigene, o lo mascherano, sopravvivono. Quanto agli effetti collaterali, è vero, e alcuni sono importanti come avviene per le immunoterapie: hanno una tossicità diversa rispetto alla chemioterapia, ma le molecole immuni immettono un meccanismo di autodistruzione di tessuti sani, e quindi si deve poi intervenire per frenare l’effetto. Si tratta di casi rari ma che ci sono, e sono presenti anche disturbi ghiandolari». 

Complessivamente comunque, come giudica questa nuova terapia?
«Si tratta di un’ottima notizia, è una terapia fantastica. Se fossimo a dieci anni fa parleremmo di fantascienza. Pensiamoci: in laboratorio viene creata un’arma biologica appartenente allo stesso individuo che circola per il sangue uccidendo le cellule tumorali. E’ un messaggio per una realtà anche come quella Cremonese: almeno in un grosso ospedale ci devono essere laboratori di ricerca per partecipare alle ricerche e applicarle. Ci stiamo lavorando, anche a Cremona, con la nostra attività di ricerca clinica». 






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