La corsa ai mutui a tasso fisso? Occhio, spesso non convengono

E’ la scelta del 90% degli italiani. Sentiamo il parere del consulente Rodolfo Ghisani 


di Federico Pani 
Si sa che, in certi casi, la sicurezza è tutto. Ma chi se lo aspettava che, stando ai dati dell’osservatorio di MutuiOnline, l’89% degli italiani avrebbe scelto quest’anno un mutuo a tasso fisso, e che il 92% lo avrebbe prediletto nelle operazioni di surroga? Una vera e propria febbre, tutta italiana, del tasso congelato. Rodolfo Ghisani è un consulente finanziario cremonese con un’esperienza decennale nel settore. A lui chiediamo qualche spiegazione. Dottor Ghisani, perché questa corsa al tasso fisso? 

«Per prima cosa, preciso che un tasso fisso non è sempre uguale e dipende principalmente dalla condizione patrimoniale del cliente, dalla cifra che ha richiesto e dal valore dell’immobile. C’è da dire poi che il tasso fisso puro, in alcune banche, non esiste nemmeno: esistono, piuttosto, versioni combinate e offerte per incentivare il credito. Certo, negli ultimi anni sono state proprio le banche a erogare molti prestiti a tasso fisso e a trarne vantaggio: questo per migliorare le qualità del credito; un mutuo a tasso fisso, in certe condizioni, aumenta la qualità del credito e gli indicatori di solidità di una banca». 

Lei che consigli darebbe: meglio fisso o variabile?
«Escludo la possibilità di poter dare un’indicazione in assoluto: ognuno ha la propria predisposizione alla volatilità. Ci sono clienti, però, che preferendo il tasso fisso compiono un autentico errore di matematica finanziaria. Prendiamo un mutuo da 100mila euro su 15 anni. Se il tasso è fisso, questo si aggirerà all’incirca attorno al 2%, e dopo 5 anni il cliente avrà pagato un interesse di 8546 euro. Bene, con un tasso variabile dell’1% pagherebbe 4227 euro nello stesso arco di tempo. Anche se i tassi dovessero alzarsi – cosa che potrebbe succedere, certo – sarebbe comunque difficile per un tasso fisso coprire il vantaggio accumulato da uno variabile. Invece, esistono casi nei quali il tasso fisso è raccomandabile, cioè situazioni d’incertezza dove non ci si può permettere che il rapporto della rata sul reddito superi una certa cifra. In questo caso, mi permetto di dire, esistono comunque anche delle assicurazioni, o la possibilità di pagare i rialzi – senza variale il tasso – con mensilità aggiuntive, pur avendo scelto un tasso variabile». 

I tassi cresceranno se l’economia dovesse peggiorare?
«I tassi dei mutui sono legati all’Euribor, un indice che è correlato alla politica monetaria europea, cioè alla Banca Centrale. In vista di una congiuntura economica regressiva, la regola sarebbe quella – al contrario di quanto si potrebbe pensare – di abbassare i tassi d’interesse, per concedere alle imprese e ai privati un maggior accesso al credito: così ha fatto in questi anni Mario Draghi, per esempio. Questo per evitare il rischio di deflazione. Invece, proprio un periodo di crescita dovrebbe incidere maggiormente sui tassi con forme di rialzo, perché altrimenti la produzione di denaro in eccesso si tradurrebbe in inflazione, cioè in perdita di valore del denaro». 

I tassi dipendono dall’andamento dello spread? «Lo spread non c’entra con l’andamento dei tassi; o almeno, solo in parte. Lo spread – differenziale tra i titoli di stato italiani decennali (i Btp) e i Bund tedeschi – certifica la solidità finanziaria di uno Stato. Il tasso Euribor è un tasso interbancario e non ne è direttamente influenzato. È anche vero, però, che sul mercato interbancario la tenuta dello Stato di appartenenza di una banca potrebbe causarle maggiori costi di approvvigionamento. Mi spiego: una banca, ancorché solida, potrebbe scontare la crisi di fiducia dell’economia nazionale e farsi richiedere più garanzie per l’acquisto di denaro. In questo caso, i costi sì potrebbero riverberarsi nei prestiti riservati ai clienti. Anche se, finora, i grossi istituti di credito italiano, percepiti come affidabili, non hanno mai davvero risentito di problemi del genere». 

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