«Ho aperto la mia casa a degli ospiti speciali»

LA STORIA • Andrea, 34 anni, insegna la vita a un gruppo di 8 ragazzi autistici 


VANNI RAINERI 
Andrea ha 10 occhi e 10 orecchie, non gli sfugge nulla. Ha in casa sei ragazzi autistici, e alterna le risposte all’intervista con le attenzioni che richiedono i suoi ragazzi speciali, richiamandoli perché non devono assumere certe posizioni, non devono mettersi le dita nel naso, devono stare attenti a maneggiare certi strumenti, devono comportarsi in modo “civile”. 
Andrea Grandi sembra un angelo moderno, senza esagerare. Ha 34 anni, e un bel giorno ha deciso che fare l’educatore nella scuola non aiutava questi ragazzi abbastanza, e così ha messo a punto una via assai pratica per insegnare loro la vita, affiancandosi al ruolo dei genitori e fornendo loro un contributo essenziale. 
Ecco la sua storia: «Ho iniziato nel 2009 a lavorare per le cooperative, e nel 2010 ho iniziato a seguire in parallelo con l’attività della cooperativa alcuni ragazzini.
Anche il concorso di educazione cinofila mi ha aiutato ad agevolare il rapporto coi ragazzi: qui in casa abbiamo due cani, li ho educati e si sono abituati ad interagire con loro. Fatto sta che mi sono reso conto in fretta di quali risultati avremmo potuto ottenere, e così ho messo a disposizione la mia casa». 
La casa è un appartamento in zona Po. La fortuna è che nelle altre unità abitative della palazzina risiedono suoi parenti, così riesce a utilizzare anche gli ampi spazi esterni per organizzare ogni sorta di attività. 
Oggi dunque affianca l’attività nella cooperativa con quella nuova, e inedita, nella propria abitazione: «Con la coop lavoro 38 ore a settimana quale educatore di due di questi ragazzi. Con la nuova attività supero i limiti della cooperativa, i ragazzi imparano tante cose e qui il rapporto non è più uno ad uno». Basta ascoltare con quale entusiasmo parla per capire come Andrea si sia tuffato a corpo morto in questa splendida, quanto ostica, avventura: «Sono 8 i ragazzi che vengono da me, anche se oggi ce ne sono solo 6. Sono tutti autistici, anche se con disturbi, patologie, ritardi e disfunzioni varie. Vengono tre giorni la settimana: il martedì, il giovedì e il venerdì, dalle 13 fino a sera. Appena arrivano andiamo tutti assieme a fare la spesa, poi organizziamo il pranzo e facciamo tante cose. Ho la fortuna di avere una casa in montagna, in una zona isolata del Parmense, e una volta al mese ci passiamo l’intero weekend, dal venerdì alla domenica sera: quella di questo week end sarà la 17a vacanza». Alessandro, Andrea, Fabio, Giovanni, Kevin, Luca, Peppo e Simone: sono questi i ragazzi seguiti da Andrea Grandi. «Questo è l’appartamento in cui vivo con mia moglie e i miei tre figli: siamo tutti contenti del gruppo di ragazzi anche se si fa fatica. Qui riproduciamo la vita casalinga, ma si fa di tutto: giardinaggio, ordine della casa, musica, lettura di libri, falegnameria senza rischi, anche sport, uscendo spesso all’aria aperta: il tutto amplia le loro abilità. Alcuni di loro fanno cavallo, karate, piscina: sono molto più attivi della media della loro età. Il 2 aprile, giornata di consapevolezza sull’autismo, sono rimasti da me per due giorni e fatto kickboxing con la mia squadra. Puliamo il giardino, e spesso anche il marciapiedi del quartiere. Devo ringraziare Michele Brancaccio, che mi dà un grande aiuto». 
Esistono centri diurni, ma di riproduzione di vita reale come questa non si ha conoscenza. 
E tra di loro? «L’approccio non è facile, ma qui, inseriti in un gruppo, imparano a parlare e a volersi bene». Il rapporto coi genitori non è sempre facile. «Non con tutti, perché serve collaborazione. Se ad esempio io insegno loro a fare la lavatrice, quando vanno a casa vogliono fare lo stesso, e gli deve essere consentito. Tra l’altro preferisco che i genitori mentre siamo qui non mi chiamino. Chi ha i ragazzi qui deve fidarsi di me. Il fatto è che molti genitori provano una sorta di senso di colpa ingiustificato, per questo spesso i limiti, sia pur involontariamente, sono più i loro, che si sentono in dovere di proteggerli spesso sbagliando. Io spesso rimango fermo aspettando che qualcuno di loro abbia un comportamento, per intervenire e correggerlo: non sempre vanno assecondati. Vanno lasciati tranquilli senza fare troppe domande, non serve essere apprensivi perché li manda in agitazione. I genitori devono capire che non sono stupidi, sono solo autistici. Atri esempi: abbiamo anche simulato una risonanza magnetica in condizioni peggiori della realtà, per evitare che debbano essere anestetizzati, in quanto tendono ad agitarsi. Uno di loro non mangiava nulla di colore rosso: gli ho fatto mangiare carne rossa bendato e ha superato l’ostacolo. Il fine ultimo è sempre velato. Ai genitori poi non chiedo che tipo di disabilità abbiano, ma solo le difficoltà particolari: ad esempio uno di loro ha paura dei cani, paura che lentamente sta superando. Il fatto è che a volte potrebbero fare cose che loro stessi non immaginano, influenzando i loro genitori». 
Forse hanno più limiti certi genitori dei ragazzi. «Non bisogna porsi limiti che a volte sono dei genitori e della scuola: qui si aprono riuscendo anche a rilassarsi in un ambiente loro non abituale. E’ per loro una palestra di vita. Facendo la spesa ad esempio hanno ampliato la die- ta, e per le mamme è importante. Uscendo in campagna e in golena, e l’aria aperta gli piace molto, hanno imparato a stare in fila. Lui ha già 33 anni ma questo week end per la prima volta dormirà fuori di casa. Un altro non entrava mai in un posto nuovo, ma con calma ha superato questo problema». Oltre al loro sostegno, immagino che l’esperienza serva anche a far rifiatare i famigliari. «Certo, loro ti risucchiano, la vita sociale rischia di azzerarsi anche perché amici e parenti vengono sempre meno a casa tua, non per egoismo ma per timore di creare scompensi, e tu non puoi permetterti le uscite per altri normali». 
Qui a Cremona si è molto discusso di quella stupida scritta contro i troppi posti per disabili. «Un gesto di bassissimo livello, ma io posso portare tante testimonianze in senso opposto. Un ristorante una sera ci ha offerta la cena. Un giorno poi siamo entrati in gruppo in un bar, e subito 5 mamme coi loro figli sono uscite senza consumare. Il barista, vista la situazione, non solo ci ha offerto la colazione, ma è uscito in strada e, con grande gentilezza, ha invitato quelle signore a non tornare mai più nel suo bar. Il loro era stato un messaggio orribile ai propri figli, per il messaggio di diffidenza che trasmetteva». 

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