Gussola, da Adelmo Cervi una lezione di sinistra

Non conta il colore politico, serve l’Idea


GUSSOLA – Momenti di altri tempi. Quelli in cui la politica muoveva da ideali alti più che da scontri da stadio o di piazza, reale o virtuale che sia, e non a caso sapeva coinvolgere le persone convincendole a dedicare una larga parte del loro prezioso tempo. Per farlo serve una causa comune di libertà, di giustizia, di solidarietà, e non conta il colore politico, serve l’Idea. 
Come disse De André, “un uomo senza sogni, utopie e ideali sarebbe un mostruoso animale, un cinghiale laureato in matematica pura”. Lui usava il condizionale, immaginava solo il mondo a venire. Coniugata a sinistra, l’Idea che muoveva legioni di volontari negli anni Settanta si è rimaterializzata a Gussola, come accade ogni luglio da una decina di anni da parte di un gruppo di “reduci” che non si sono arresi ai tempi dell’individualismo. Un gruppo di 70- 80 volontari capitanato da Sante Gerelli, che martedì sera, al termine dei 10 giorni di festa, si è riunito per una cena finale al parco alla quale erano presenti Fausto Tenca e altri musicisti e cui si è unito un vecchio amico, Adelmo Cervi. Adelmo è figlio di Aldo Cervi, il più politicizzato dei 7 fratelli Cervi torturati e uccisi dai fascisti nel poligono di Reggio Emilia nel ’43. Da anni porta avanti la memoria della famiglia cercando di privilegiare i contenuti alla retorica. Non è un caso che dopo la sua visita gussolese di un anno fa (quando presentò il libro “Io che conosco il tuo cuore”) si sia legato agli organizzatori di Sinistra in Festa. 
Sono stati dieci giorni di musica liscio e ballo in pista, di dibattiti (sulle riserve in golena e sullo sport), di gastronomia di qualità, e soprattutto di amicizia. Li ha ben riassunti Gerelli in una lettera aperta che ha letto alla fine della serata, qualche ora prima di iniziare lo smontaggio. Dopo di lui, prima del congedo, è intervenuto Adelmo Cervi con il consueto fervore: «L’anno scorso mi dissero che il nome Sinistra in festa è precedente al nome degli ultimi partiti nati, e questo mi ha legato a Gussola dove ho trovato tanti amici. Col mio libro ho girato l’Italia e pure Svizzera, Germania e Austria, vendendo oltre 5000 copie solo nelle presentazioni: credo sia un record mondiale. In questo piccolo paese c’erano più persone che nelle grandi città, dove mi dicevano “Siamo pochi ma buoni”. Pochi ma buoni? Essere buoni ma pochi non conta un c...o». 
Adelmo Cervi è poi tornato sulla storia della sua famiglia: «Non ho vissuto quel mondo diverso: quando a 11 anni il figlio di eroi deve andare a lavorare nei campi non è figlio di eroi. Papà e gli zii erano mezzadri, quando i contadini non contavano. Contavano gli altri, persino le classi operaie ma i contadini erano l’ultima ruota del carro. Ma la mia famiglia aveva coscienza di quel poco che contavano i contadini, cui si chiedeva solo il rispetto del padrone. Papà Aldo non studiò, ma disse che la prigione (a Gaeta, ndr) fu la sua università politica». 
Lungo il suo elenco delle cose che non vanno: «La burocrazia: il burocrate è un danno per tutti. E poi sentire l’inno di Mameli alle feste della sinistra non mi piace. Assieme a don Gallo portai avanti questa battaglia: l’inno è Bella ciao, quello ufficiale è l’inno dei potenti e non mi interessa. Dobbiamo portare avanti i nostri valori senza cadere nella trappola, cosa che quando la sinistra è stata al governo non ha saputo fare. Se mio padre oggi fosse tra noi sarebbe molto arrabbiato: non contano i soldi che hai in tasca ma ambire a un mondo di giustizia, più umano. Questo fu l’intento di chi diede la sua vita, non quello di passare da una dittatura all’altra, ma far capire che serve stare vicino a chi ha bisogno. E’ una vergogna vedere deputati di sinistra fare appelli contro la decurtazione delle loro pensioni da 4mila euro. Le tasse vanno pagate da tutti, ancor più di oggi se serve per sostenere i poveri. Tanta gente non le paga, ma se chiedessero a me indicherei senza esitare chi sono i reggiani che truffano». E qui si infervora. «Serve ribellarsi a queste situazioni per ottenere giustizia. Quando pensiamo a chi ha dato la vita, bisogna combattere, senza polemizzare con Salvini: lui non è fascista, è al servizio di questa società; è un furbo ma non sappiamo rispondergli. Sui migranti ad esempio dovremmo dire che da una vita sosteniamo che ognuno deve vivere nel proprio paese ma lì deve essere libero. Dovremmo essere stanchi di sopportare tutto questo». 
L’ultimo appello è per la Costituzione: «Non dobbiamo più delegare, ma unirci attorno ai suoi principi fondamentali che non sono mai stati seriamente applicati. Facciamo della Carta la nostra bandiera, la nostra battaglia, non aspettiamo una guerra rivoluzionaria, ma con gli strumenti della democrazia cerchiamo di cambiare le cose». 



















VANNI RAINERI 

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