Jim, vita e leggenda del Re Lucertola

LA STORIA • Nel luglio del 1971 ci lasciava Morrison, leader dei Doors, morto a Parigi alla fatidica età di 27 anni 

francesco agostino poli 
“Gli eroi son tutti giovani e belli” (Francesco Guccini). Ed un eroe, almeno per una generazione, è stato Jim Morrison. Talmente grande, che, come per Emiliano Zapata e per Elvis, gira ancora la voce che non sia morto, ma che abbia vissuto e, forse, ancora viva, in incognito. Jim avrebbe 76 anni: chissà, a ben cercare forse lo troveremmo davvero alle Seychelles, come dice la leggenda. Nella realtà, James Douglas Morrison, detto Jim , moriva a Parigi, all’alba del 3 luglio 1971. Aveva 27 anni: giovanissimo, come, l’anno prima, Jimi Hendrix, che se era andato a 28 anni, Janis Joplin, anch’ella morta nel 1970 ventisettenne, e, nel 1969, Brian Jones, anch’egli ventisettenne, dei Rolling Stones. Genio e sregolatezza, forse, o forse una profonda angoscia esistenziale, nonostante il successo, nonostante che tutti fossero veri e propri miti: erano nati durante la seconda guerra mondiale, avevano vissuto il boom del dopoguerra, la stagione della contestazione rispetto all’ordine dato, il rifiuto del perbenismo, dell’autoritarismo, del patriarcato. E poi, c’erano le sostanze psicotrope. Jim, bellissimo, seduttivo, molto intelligente, poeta raffinato, musicista eccellente e capace di performance indimenticabili, in cui la musica e il canto si facevano tutt’uno con il suo modo di usare il corpo, anzi, si facevano corpo, ne faceva largo uso. Era figlio di un ammiraglio, e possiamo immaginare il tipo di educazione che aveva ricevuto, nell’America degli anni Sessanta. Ad un certo punto, lui non ci stette più. Non si recò alla cerimonia della consegna dei diplomi, iniziarono le peripezie e gli arresti legati all’assunzione di alcool. Tagliò i ponti con la famiglia quando aveva 21 anni. Era la ribellione, era la protesta, comune a moltissimi e moltissime altre giovani, in tutto l’Occidente. Stiamo aspettando il sole, “Waiting for the Sun”, come titola una delle sue canzoni più belle. Un altro mondo era possibile, e Jim lo voleva. “We want the world and we want it now!” (“Vogliamo il mondo, e lo vogliamo adesso!”): un grido potente, il climax del brano “When the Music’s Over”, del 1967. Jim Morrison arrivò all’Università della California di Los Angeles all’inizio del 1964, dove si iscrisse a cinematografia e conobbe Ray Manzarek, che nel luglio del 1965 propose a Morrison di formare una band: iniziava la storia travolgente dei Doors (il gruppo era composto da Jim Morrison, cantante, Robby Krieger, chitarrista, Ray Manzarek, organista, e John Densmore, batterista, e si sciolse nel 1973, due anni dopo la morte di Morrison). Il nome “The Doors” (“Le Porte”) fu scelto dallo stesso Jim, citando i versi di una poesia di William Blake: “If the doors of perception were cleansed, everything would appear to man as it is: infinite” (“Se le porte della percezione fossero purificate, ogni cosa apparirebbe all’uomo com’è: infinita”). Una volta, Morrison dichiarò: “Ci sono cose che si conoscono e altre che non si conoscono. Esiste il noto e l’ignoto, e in mezzo ci sono Le Porte, The Doors. I Doors sono i sacerdoti del regno dell’ignoto che interagisce con la realtà fisica, perché l’uomo non è soltanto spirito, ma anche sensualità. La sensualità e il male sono immagini molto attraenti, ma dobbiamo pensare a esse come alla pelle di un serpente di cui ci si libererà”. Forse Jim giocava con la morte: nella perturbante, pazzesca, meravigliosa canzone “The end”, canta “This is the end, my only friend, the end”, “La fine, mia sola amica”. Musica che si faceva corpo e corpo che si faceva musica, ed ecco cosa scrisse Frank Lisciandro, fotografo e suo amico dai tempi dell’Ucla: “In scena Jim subiva una completa metamorfosi: la sua voce dolce e garbata diveniva roca, aspra, profonda e potente; la sua posa dinoccolata si faceva arrogante, baldanzosa; il suo quieto volto si trasformava in migliaia di maschere di tensione e di emozione; e i suoi occhi, di solito così penetranti e attenti, diventavano vacui e lontani, fino a tramutarsi in due finestre illuminate davanti al pubblico. Con questo sguardo chiaroveggente Jim sembrava scrutare sia nel futuro sia nel passato. Emetteva strani suoni animaleschi, urlava, strepitava come se soffrisse. I suoi abiti di cuoio o di pelle di serpente crepitavano e gemevano quando si muoveva. Le sue movenze e i suoi gesti si facevano spasmodici, frenetici, come se si fosse trattato di una persona in preda a una crisi epilettica. Danzava, non in modo fluido e aggraziato, ma con brevi passi saltellanti e moto a stantuffo, sporto in avanti, la testa che scattava su e giù. Si muoveva come un indiano d’America in una danza rituale. Sul palco Jim diventava lo Sciamano. Nel corso dell’esibizione, come un festante dionisiaco, cantava dei miti moderni, e come uno sciamano evocava un panico sensuale per rendere significative le parole di questi miti. Agiva come se un concerto fosse un rito, una cerimonia, una seduta spiritica, e lui era lo strumento per la comunicazione con il sovrannaturale. Tentava di strappare gli spettatori dai loro posti a sedere, dai loro ruoli, dalle loro menti, così che potessero vedere l’altro lato della realtà, anche solo per una breve occhiata. Il suo messaggio era: apriti un varco comunque ti sia possibile, ma fallo adesso. Spesso il messaggio era sfocato e così si perdeva tra la musica, i miti, la magia e la follia”. Affascinato dai rettili, Jim era il Re Lucertola, the Lizard King. Ma la lucertola non può attraversare indenne il fuoco. Le sue intemperanze diventarono sempre più leggendarie: in scena si scatenava e scatenava il pubblico; fu fermato per atti contrari alla morale, simulazione di atti osceni (Jim si avvinghiava con tutto il corpo al microfono), ubriachezza, molestie. Il suo stato fisico e psichico peggiorava, i concerti dei Doors erano ormai a rischio, per l’imprevedibilità del comportamento di Jim e la possibilità che venissero interrotti dalle forze dell’ordine. Poco prima che uscisse l’ultimo album registrato dai Doors prima della morte del cantante, “L.A. Woman”, Jim raggiunse a Parigi la compagna Pamela: era il febbraio 1971. Si dice che volesse staccarsi dai Doors e dedicarsi unicamente alla poesia, ma la depressione e l’abuso di sostanze e di alcool costituivano un mix micidiale. Le ultime foto ce lo mostrano barbuto, gonfio, perso. Il 3 luglio 1971, Jim Morrison venne trovato privo di vita nella vasca da bagno della loro casa da Pamela, ma sul corpo non fu eseguita nessuna autopsia, né fu data la notizia almeno fino alla data del 9 luglio, due giorni dopo la sepoltura, avvenuta nel cimitero parigino di Père-Lachaise. La frettolosità dell’inumazione ha dato la stura alle illazioni di cui parlavamo all’inizio: Jim Morrison non era morto, decise solamente di nascondersi dal mondo. In ogni caso, la sua tomba è tuttora meta di pellegrinaggio e coperta di fiori, oggetti, candele. Al funerale, Pamela aveva recitato i versi finali del poema di Jim, “Celebrazione della Lucertola”: “Ora sono tornato/Nella terra del giusto, del forte e del saggio/Fratelli e sorelle della pallida foresta/o bambini della notte/Chi tra voi vuole correre con la caccia?/Ora la notte arriva con la sua legione viola/Ritirati ora nelle tue tende e nei tuoi sogni/Domani entriamo nella mia città natale/voglio essere pronto”. Se ne andava un musicista eccezionale, iniziava una leggenda. “Se la mia poesia cerca di arrivare a qualcosa, è liberare la gente dai modi limitati in cui vede e sente”.



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