SANITA' Tra passaggio dalle Asl ad Ats e Asst, autonomia regionale, veri o presunti medici in fuga verso il privato, la sanità lombarda e cremonese in particolare sta vivendo momenti delicati.
PUBBLICO-PRIVATO
«Chiaro che il privato, non dovendo gestire l’emergenza, può permettersi standard differenti ed è attrattivo per alcuni medici»
OGLIO PO
«Pensiamo a potenziare il pronto soccorso. La sua autonomia gestionale merita costante considerazione.
Pedrazzini? Rimane»
VANNI RAINERI
Tra passaggio dalle Asl ad Ats e Asst, autonomia regionale, veri o presunti medici in fuga verso il privato, la sanità lombarda e cremonese in particolare sta vivendo momenti delicati. Ne parliamo con il direttore generale dell’Asst di Cremona Giuseppe Rossi, che ha da poco superato la soglia dei 200 giorni dall’insediamento, che avvenne il 2 gennaio scorso.
Partiamo da uno degli obiettivi che si pose quel giorno: la differenziazione tra i percorsi di emergenza-urgenza e le attività programmate.
«Questo è uno dei problemi della sanità pubblica, caratterizzata da un sistema organizzativo complesso obbligato a fare sintesi fra l’attività d’emergenza - che è il nostro compito primario – e l’attività in elezione (attività programmata ndr). Le due modalità entrano spesso in conflitto. Chiaro che il privato, non dovendo gestire l’emergenza (questo accade nella grande maggioranza dei casi), può permettersi standard di offerta differenti ed è uno dei motivi per cui alcuni medici lo ritengono attrattivo. Differenziare i due percorsi è uno dei primi obiettivi, tenendo presente che entrambe le istanze – urgenza ed elezione - sono prioritarie per garantire la salute dei cittadini».
Possiamo dire che la situazione legislativa odierna favorisce il settore privato?
«Posso dire che gli strumenti di governance sono diversi: si pensi al fatto che noi abbiamo entrate e uscite verificate ma non abbiamo la possibilità di reinvestire gli eventuali utili».
Venerdì il Giornale ha pubblicato un interessante fondo del professor Carlo Lottieri sul tema dei furbetti del cartellino scovati a Napoli e a Monopoli: lui sostiene che tutti questi casi accadono nel settore pubblico in quanto può permettersi di non fare utili, non offre gratificazioni e ignora il merito, mentre nel privato la competizione migliora il servizio. Il fenomeno dei furbetti del cartellino (non solo nella sanità, chiaro) solo nel pubblico sono quindi frutto dello statalismo.
«Nelle mie esperienze di lavoro all’estero ho potuto sperimentare sistemi organizzativi che non prevedono la timbratura del cartellino: le persone lavorano in base agli obiettivi assegnati e sono valutate rispetto al loro raggiungimento e non per il numero di ore lavorate. Nel nostro Paese la pubblica amministrazione impiega parametri differenti, sia di valutazione sia di controllo, molto più burocratizzati».
Veniamo a un altro aspetto cui crede molto: la problematica delle lunghe liste di attesa su molti esami. Lei ha subito chiesto che la prenotazione sia fatta dal medico specialista, per semplificare e rendere efficace la gestione. Come sta procedendo?
«Il problema è complicato e di difficile soluzione in tutti i sistemi con accesso universale. La lista di attesa è incomprimibile: più si amplia l’offerta più il vaso si riempie. Serve puntare sul concetto di appropriatezza: il servizio è gestito come se si fosse alla cassa di un supermercato, mentre andrebbe gestito come il sistema del triage del pronto soccorso (il sistema di accettazione che valuta il livello di gravità e urgenza-emergenza caso per caso ndr). Ad esempio, in un sistema efficiente lo specialista oltre alla prescrizione effettua direttamente la prenotazione della prestazione. Questo evita al paziente di rivolgersi al Cup e soprattutto di non incappare in un’attesa incongrua. Ad esempio, sarà il cardiologo a organizzare, prenotare e definire i tempi dell’intero percorso terapeutico; l’ortopedico avrà il compito valutare, ma anche di prenotare la risonanza e via dicendo. Questa modalità, fondata su criteri di priorità, consentirebbe il governo delle liste di attesa grazie alla sincronia fra il medico prescrittore e la struttura erogante».
Una sorta di presa in carico del paziente.
«Ovvio, anzi è la vera presa in carico».
E chi vi si oppone? I medici?
«Il vero ostacolo è determinato da un fatto culturale e di metodo. Gli strumenti ci sono già, serve uno sforzo sinergico di tutta l’organizzazione, sforzo che ritengo indispensabile per migliorare la qualità dei servizi. Chiaro che per lo specialista è più semplice scrivere la ricetta rossa e lasciare che sia il paziente a provvedere al bisogno».
Sono trascorsi 3 anni e mezzo dall’avvio della sperimentazione della sanità lombarda, da quando cioé Ats e Asst hanno sostituito le vecchie Asl. A lei, che ha accumulato grande esperienza in diverse aree della regione, chiedo come procede il percorso.
«Le premesse della riforma regionale (Legge 23/2015) sono ottime, ma è necessario un cambiamento culturale più che organizzativo, negli operatori così come nei pazienti: solo con il tempo la riforma darà i suoi effetti reali, ne sono convinto. Ai fini di un risultato positivo giocherà un ruolo determinante l’integrazione fra ospedale e servizi territoriali che devono lavorare sempre di più fianco a fianco. Soprattutto sarà necessario trovare un punto di incontro fra due approcci completamente differenti: l’ospedale è attivo 24 ore al giorno 7 giorni su 7, i servizi territoriali hanno tempi e caratteristiche diverse che rispondono a bisogni diversi.».
Di questo avete parlato, lei e il direttore amministrativo Gianluca Bracchi, nel recente incontro col sindaco Gianluca Galimberti e l’assessore Rosita Viola?
«Certo. E’ stato un lungo colloquio. Abbiamo affrontato diverse importanti questioni, di certo il confronto costante con il Comune e con i servizi al cittadino lo ritengo indispensabile per l’Asst. Condividere problematiche e cercare soluzioni congiunte credo sia un bene per la collettività».
Il caso soprattutto dell’addio del primario di Ortopedia Budassi assieme a buona parte della sua équipe ha scatenato ipotesi di “medici in fuga” dalla sanità pubblica. In realtà, più che un problema cremonese, quello dell’appeal del privato è un problema della sanità italiana. Recentemente l’ex primario Luigi Borghesi da noi intervistato disse che, più che motivi economici, lo squilibrio nasce dalla possibilità, offerta dal privato, di evitare turni notturni e festivi pianificando meglio la propria attività.
«Il dottor Budassi ha fatto una scelta personale più che legittima. Non parlerei affatto di medici in fuga. L’avvicendamento dei primari può rappresentare un’opportunità di cambiamento anche positivo, consente di puntare su nuove competenze e portare dentro l’ospedale esperienze diverse e arricchenti».
Esiste il rischio che il privato attiri i nomi più noti?
“Ci sono diversi motivi anche per sperare che i più bravi scelgano il settore pubblico. Molto dipende dalla squadra e dalle opportunità che vengono messe a disposizione dalla struttura. Paradossalmente il lavoro di emergenza urgenza H24 di un ospedale, che abbiamo definito per certi aspetti impegnativo, per un professionista è una grande palestra per accrescere la propria conoscenza e le proprie abilità interventistiche”.
Parliamo di un tema caldo come quello dell’autonomia regionale. La sanità in verità è già molto regionalizzata; cosa cambierebbe in caso di accordo tra Lombardia e Stato?
«Vero, la sanità è già regionalizzata, rispetto a scelte e approcci organizzativi, l’accordo consentirebbe una maggiore autonomia finanziaria e la possibilità di reinvestire gli utili in modo mirato sulla singola realtà».
Una parte del Paese si oppone proprio per questioni economiche.
«E’ proprio in quelle regioni che l’autonomia porterebbe maggiori risultati in termini di responsabilizzazione. Si pensi che il Niguarda di Milano ha 4500 dipendenti, mentre il Cardarelli di Napoli, che ha le stesse dimensioni, ne ha 14mila».
L’Asst di Cremona gestisce anche l’ospedale Oglio Po. Lei già a Ldi gestiva diversi presidi ospedalieri. Nel Casalasco c’è il timore di perdere servizi e non vedere sostituiti i primariati vacanti.
«A Lodi c’erano 4 presidi, ma la dislocazione geografica era molto diversa. L’Oglio Po è oggettivamente molto distante dal presidio principale, quindi non può valere la logica dell’hub and spoke (un ospedale centro di riferimento e un ospedale satellite, ndr). Per questo stiamo pensando al potenziamento della linea emergenza- urgenza, del pronto soccorso e dei servizi connessi».
Sui primariati scoperti?
«In generale, non è la presenza del Primario a determinare la qualità e l’efficienza di un servizio. Certo, per la sua posizione geografica, l’Oglio Po è a tutti gli effetti un ospedale e la sua autonomia gestionale è un aspetto che merita costante attenzione e considerazione, anche per garantire la presenza di figure di riferimento sul posto. Questo accade già».
Qualcuno teme che la necessità di un nuovo team di Ortopedia nel capoluogo possa essere risolta dal trasloco del dottor Pedrazzini, un’eccellenza dell’Oglio Po. E poi c’è Anestesia che dopo il pensionamento del primario Borghesi (4 anni fa) è rimasta scoperta.
«Il dottor Pedrazzini rimane all’Oglio Po. Quanto ad Anestesia, la struttura semplice dipartimentale di fatto è un primariato, Il Dr. Riccio ha completa autonomia gestionale».
Lei ha 65 anni, probabilmente vicino alla pensione, tanto che al suo insediamento fu messo indubbio che avrebbe concluso il mandato quinquennale.
«La pensione per ora non è la mia priorità, porterò a termine il mandato. Il lavoro mi piace moltissimo e non ho motivi personali che mi portino ad interromperlo. Mi auguro, come successo nel precedente mandato a Lodi, di poter lasciare qualcosa di positivo nella costruzione di progetti di aiuto al territorio».
Lei ammise di non conoscere Cremona, che idea si è fatto in questi 200 giorni?
«Ho trovato un territorio fantastico, con un amore verso le nostre strutture che si evidenzia in fatti concreti come donazioni e associazionismo di altissima qualità. Ho incontrato tutte le associazioni e sono rimasto impressionato dal grado di committment (identificazione e impegno, ndr) nei confronti dell’ospedale sia a Cremona sia a Casalmaggiore e dal bene che i cittadini vogliono a queste strutture. In questo Cremona è molto diversa da Lodi, dove non ho trovato questo afflato, una motivazione in più, anche personale, per migliorare la qualità del servizio da offrire».
Tra i tanti progetti che ha in mente, ce ne può anticipare qualcuno?
«Lavoriamo a diverse idee e progetti, ma siamo in attesa che la Regione emani le linee guida: la veste e l’orientamento dell’azienda vengono definiti dal Piano di organizzazione (POAS). Posso però dire che stiamo puntando alla diffusione della metodica point of care, cioé all’ecografia fatta dal clinico direttamente al letto del paziente, nel reparto dove è ricoverato o al Pronto Soccorso. Per raggiungere questo obiettivo è necessario che l’ospedale sia dotato di ecografi e che il personale sia debitamente formato. Si tratta di un importante aiuto per il medico che può fare diagnosi immediate ed è un vantaggio per il paziente che evita così spostamenti da un reparto all’altro. In tal senso ci sono ampi spazi di miglioramento».
Commenti
Posta un commento